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Regione Puglia

Storia

La Storia di Caprarica di Lecce


Il territorio circostante fu abitato sin dall’Età del Bronzo come testimoniato dalla presenza del menhir di Ussano. In epoca bizantina, Caprarica ospitò un insediamento di basiliani, i quali costruirono una necropoli e una chiesa di cui si conservano alcuni frammenti di affreschi tra i quali si distingue un santo barbuto, forse San Paolo.

Caprarica viene menzionata per la prima volta in alcuni documenti risalenti all’XI secolo, quando era un piccolo casale appartenente alla Contea di Lecce  e al Principato di Taranto. Nel 1201 il casale passò sotto il dominio di Gualtieri III di Brienne e successivamente nel XIV secolo appartenne agli Orsini Del Balzo.

Nel 1480, Caprarica accolse i profughi della vicina città di Roca, saccheggiata e rasa al suolo dai Turchi in concomitanza dell’assedio di Otranto, e conobbe un aumento significativo della propria popolazione. Tra il XV e il XVII secolo il casale fu signoria di molte famiglie feudali, tra le quali i Bonsecolo, i Condò, i Guarino e i Principi Adorno.

Gli ultimi feudatari di Caprarica furono i Giustiniani, che ne acquisirono il possesso nel 1676, e i baroni Rossi.

 

Fonte: Wikipedia

Sezioni

Il nome compare per la prima volta in documenti del sec. XI, relativi al dominio Normanno dell'intera zona ed al Contado di Lecce di Goffredo d'Altavilla, Re di Sicilia, nel 1201 il Casale di Caprarica passò sotto il dominio di Gualtiero III di Brienne; nella seconda metà  del 1200, il Casale di Caprarica, staccato dalla contea di Lecce, risulta in possesso di Francesca Bonsecolo; nel 1939 passò nel possesso di Agostino Condò, discendente dai Conti Parigini di Villa Contenblas; successivamente, il Casale di Caprarica tornò a far parte della Contea di Lecce, sotto il dominio di Gualtiero VI di Brienne, alla cui morte subentrò la sorella Isabella; fino al 1533 restò in possesso dei Guarino, cui fu tolto dall'imperatore Carlo V, nel 1561 Caprarica passò sotto la Signoria dei Principi Adorno; fu poi acquistato, con atto notarile di Francesco Staliano di Lecce, dai Giustiniani, cui successivamente venne concesso il titolo di Marchesi di Caprarica; alla estinzione del casato Giustiniani, nella seconda metà  del XVII sec., Caprarica passò ai Baroni Rossi, il cui palazzo occupa l'intero lato est di Piazza Vittoria, al centro del Paese.

Nel Dicembre 2000, viene pubblicato un libro sulle origini di Caprarica di Lecce, a cura della Amministrazione Comunale, scritto dal Dott. Giovanni Pastore e da Giovanni Cisternino con il contributo prezioso della prof.ssa Maria Fedela Vantaggiato e qui di seguito pubblicato.

PREFAZIONE
PRESENTAZIONE DEGLI AUTORI
BIBLIOGRAFIA
GLOSSARIO

Note biografiche degli autori

(Chiesa del Crocefisso "Altare Maggiore")

ABBREVIAZIONI

A. C. C.= Archivio Comunale di Caprarica di Lecce
A. P. C.= Archivio Parrocchiale di Caprarica di Lecce
A. S. L.= Archivio di Stato di Lecce
B. P. L.= Biblioteca Provinciale di Lecce
A. G. O. C. R.= Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano di Roma

1. Premessa

Il territorio di Caprarica di Lecce è posto a nord-est della Serra di Galugnano, sopra un largo altipiano che si estende alle falde della collina e non molto lontano da questa.

Fin dall'ultima glaciazione il sottosuolo, su cui poggia, è formato da calcare magnesifero duro, detto pietra leccese, ma, a differenza di quella buona, non è adatta come materiale da costruzione, e come afferma Cosimo DE GIORGI (nel suo lavoro "Geografia fisica e descrittiva della provincia di Lecce", Vol. II, p. 33), "...per la sua ineguale durezza e per la poca omogeneità nella struttura...".

E' una roccia che si appoggia sul calcare compatto cretaceo della collinetta, ed è ricoperto nella piana, soprattutto verso Castro di Lecce e Calimera, dai sabbioni tufacei e dalle marne (1) sciolte.

La composizione del terreno risulta calcareo, nella parte più alta, marnoso e sabbioso nella parte bassa, ma è molto fertile.

L'altezza del paese, rispetto al livello del mare, risulta elevato a metri 55; mentre, l'elevazione media del suo territorio risulta da 50 a 60 metri; l'estensione del territorio comunale ammonta a complessivi 1.082 ettari.

2. Gli insediamenti megalitici ed i Menhir.

Per risalire all'origine di Caprarica si deve far un discorso articolato, andando molto a ritroso nel tempo e partire dalla preistoria

Il territorio della Serra di Caprarica si trova verso la limitrofa Serra di Ussano [che il DE GIORGI afferma (Op. cit., Vol. II, pp. 152, 285) nell'ottocento, apparteneva al Comune di Caprarica, attualmente fa parte del territorio comunale di Cavallino], ad occidente confina con la Serra di Galugnano e scende verso quella di San Donato, ad oriente guarda verso Castro di Lecce.

Questi territori (Castro di Lecce, Galugnano e Ussano) sono stati fortemente interessati, fin dall'età del bronzo (3.500-3.000 a.C.), da insediamenti umani e, questa lontanissima frequentazione, si può rilevare, ancora a tutt'oggi, attraverso la presenza dei megalitici Menhir.

I Menhir risalgono ad epoca preistorica e, insieme alle specchie ed ai dolmen, (3) sono chiamati megaliti, data la loro enormità e per questo si parla di movimento del megalitico.

Alcuni storici, come il WILKE, seguito dal KOSSINA ed anche l' EVANS fanno risalire il sistema della colonna plurilitica ed il consimile pilastro dei dolmen delle Baleari, di Malta e di Terra d'Otranto, legata alla natura calcarea del suolo al periodo compreso tra il XIX ed il XVIII sec. a. C. .

I Menhir, in generale, sono lunghi parallelepipedi a base rettangolare, squadrati piuttosto regolarmente. Stanno confitti al suolo, di solito nella roccia ed appunto perciò sono chiamati "pietrefitte".

Caratteristica comune a quasi tutti i Menhir della provincia di Lecce è che le loro facce più larghe sono orientate da nord a sud e bisogna aggiungere che molti di essi hanno una sensibile pendenza, la quale non sembra fatta ad hoc ma causata dal naturale cedimento del terreno.

Quanto allo scopo di simili megaliti, i pareri fra gli studiosi rimangono "...molto discordi...", scrive Giuseppe PALUMBO, ma l'opinione più diffusa è quella che vuol attribuire a questi enormi blocchi un significato religioso o funerario. Dice, infatti, il PALUMBO: "...gli antichi Menhir vennero dunque trasformati in Osanna... e verso di essi presero a convenire i sacerdoti ed il popolo per invocare, in occasione di ricorrenze festive, le grazie del cielo...".

E' possibile che tale pietra megalitica abbia avuto anche una funzione semaforica, data la sua altezza, rispetto alla vastità del territorio piuttosto pianeggiante o poco ondulato, perciò può essere stata ritenuta punto d'orientamento per le popolazioni.

A questa funzione rispondono i Menhir posti nei siti delle Serre di Galugnano, Ussano, Castro ecc.; ma come mai nel sito di Caprarica, che rientra nell'orbita degli altri siti, testè detti, non appare traccia di simili megaliti? E' possibile congetturare che, in questo periodo, non vi era in Caprarica frequentazione umana, oppure, sia stato abbattuto in epoche successive e mai più rialzato, a differenza del monolite di Ussano che è stato, sicuramente, rialzato considerando che, attualmente, si vede tagliato in diversi piccoli blocchi e poi ricostruiti uno sull'altro.

Molto probabilmente nasce, in questo periodo, nel sito di Caprarica un piccolo agglomerato di stazionamento per l'allevamento degli animali di pertinenza dei limitrofi insediamenti.

3. Il Menhir di "Ussano".

Un'indagine, su questo Menhir, è stata già fatta da Giovanni CISTERNINO sul libro "Lecce ed il Salento, nello sviluppo storico e filosofico" (in corso di pubblicazione); per questo, considerando che l'antico sito di Ussano è stato sempre molto vicino all'insediamento di Caprarica, è doveroso ritenere che, nei diversi tempi, numerosi rapporti sia sociali che economici sono intercorsi tra i due siti, coso come sono intercorsi col vicino sito di Cavallino; si constata, addirittura, che, il primo, era, nell'ottocento, parte integrante del territorio comunale del secondo, perciò anche su questo lavoro, è doveroso parlare di questo Menhir.

L'impressione che si ha al primo impatto, nell'osservare il villaggio di Ussano, dai reperti lasciati - nelle varie fasi storiche - dal passaggio dell'uomo, è quella che in questo sito c'è stato un accavallamento di più culture.

Dalla struttura ottagonale del Menhir si può congetturare che il villaggio sia stato fondato, addirittura, dai Fenici se, nel Libano, esistono strutture megalitiche con la medesima forma geometrica.

L'insediamento, roccioso e collinoso, detto "Ussano", posto tra Cavallino, San Donato e Caprarica, in età preistorica, deve essere stato un villaggio autonomo molto florido a giudicare dai resti di numerose tombe (tutte ormai profanate) ed alcune anche d'epoca messapica.

E' probabile che a causa delle dette numerose tombe, il sito è stato battezzato "Ussano" ossia ossario o meglio terra delle ossa o delle tombe; ma il toponimo pare riflettere, chiaramente, un'origine che si deve inquadrare in epoca romana in quanto tutti i toponimi che terminano col suffisso "ano" (che significano: terra, villaggio ecc.) ricordano tale matrice.

Il termine potrebbe derivare, più che dal nome di un ricco latifondista romano, dal verbo latino uro (uro-is-ussi-ustum-ere: che significa bruciare, tormentare, martoriare. Dallo stesso verbo ne è uscito fuori, nel vernacolo salentino, il nome uru che sta, appunto, ad indicare un folletto, uno spirito maligno che tormenta continuamente e non lascia in pace nessuno: nè le persone nè gli animali), il che farebbe supporre che il sito è stato più volte soggetto ad aggressioni da parte di nemici come, in effetti, come si vedrà , è stato.

Gli uomini, della protostoria salentina, hanno sempre scelto, per costruire i propri villaggi, siti sopraelevati e questo sito, in verità molto roccioso, è posto su di un'altura molto strategica per l'avvistamento e la difesa contro eventuali attacchi provenienti dall'esterno.

Sulla parte più elevata della collinetta appare un bellissimo megalitico Menhir a forma ottagonale, uno dei pochi se non l'unico del Salento che ha questa configurazione; anche se a malincuore, si deve affermare che a causa di una sua antica caduta, il monolito è stato tagliato, a causa del suo enorme peso, in piccoli blocchi per poi essere ripristinato nel suo antico sito.

Il prof. Nedim VLORA, archeoastronomo e docente di geografia presso la facoltà di Scienze della Formazione, dell'Università degli Studi di Bari ha congetturato che il possente maniero di Castel del Monte, a pianta ottagonale, fatto costruire, nel XIII sec. dall'imperatore Svevo Federico II (il quale si è circondato da valenti ingegneri ed architetti di varia estrazione culturale e religiosa come quella cattolica, ebraica, maomettana ecc.), risponde a principi che rimontano a concezioni geometrico-astronomici di una cultura egizia che risale a 4000-5000 anni fa.

Il Menhir ottagonale di "Ussano", perciò , risalendo all'incirca a 4000-5000 anni fa, potrebbe, anch'esso, rispondere agli stessi principi dell'ottagonale castel del Monte. Si aprirebbero, in questo modo, spazi di ricerca impensabili fino a questo momento.

Dal menhir del preistorico villaggio di Ussano, scendendo verso il basso Salento, appaiono tutta una serie di Menhir (che parrebbero collegati) a San Donato, a Sternatia, Zollino e coso via; ad un'analisi attenta i Menhir, posti fuori dei centri abitati, sembrerebbero essere una specie di cippi miliari, di romana memoria, che indicano il percorso da seguire da un villaggio ad un altro; inoltre, data la loro altezza, possono indicare, attraverso una sorta di funzione semaforica, l'orientamento della via da seguire.

A Sternatia, purtroppo, il menhir non esiste più (anche se il PALUMBO e il DE GIORGI lo hanno catalogato nelle loro opere) ma esiste la parte superiore (letteralmente buttato, purtroppo, sulla parte alta di un vecchio muro a secco) che rappresenta un monolito con impressa una croce greca.

E' possibile pensare che, con l'Editto dell'imperatore romano Costantino, promulgato nel 313 d.C., attraverso il quale è stata permessa libertà di culto ai cristiani, gli abitanti di questo villaggio, che dovevano essere evidentemente già di rito cattolico, hanno pensato bene di porre, sulla sommità del menhir, la croce di Cristo imperante.

Tornando al villaggio di Ussano, chiamato anche Ursario, si deve dire che, in epoca romana, ci doveva essere una imponente villa patrizia, almeno a giudicare dai grossi massi litici di base, presenti in questo territorio, siti nei pressi di un frantoio-ipogeo, probabilmente a servizio di tale villa e del vicino villaggio.

Ussano è stato molto attivo anche nell'alto medioevo; infatti, accanto alle tombe, appaiono numerosi sylos, scavati nella roccia, i quali sono serviti per il deposito delle derrate alimentari di mantenimento, soprattutto granaglie, delle famiglie.

Luigi DE SIMONE, nel suo lavoro ("Studi storici in Terra d'Otranto" p. 64), afferma che Ussano nel 1274 è stato spopolato a causa dei soprusi che il barone, Simone de BELLOVIDERE (coniugato con Isolda, figlia di Enrico DE NUCERIA), ha esercitato sui suoi abitanti; ma il colle è subito stato riabitato per intervento del re Carlo I d'Angiò .

Il FERRARI (nella sua "Apologia paradossica", p. 659) afferma che il feudo di Ussano viene concesso, da Carlo III d'Angiò Durazzo, alla famiglia baronale DE CATINIANO in persona di Goffrido, Nicolao e Carlo; nel 1378 viene venduto a Goffredo DE CURTENIACO.

Nel 1464 re Ferrante d'Aragona, essendo il feudo ritornato alla Regia Corte per la morte improle di Goffredo DE CURTENIACO, lo cede a Jacopo SARLO.

A quanto afferma L. A. MONTEFUSCO (nel suo lavoro "Le successioni feudali in Terra d'Otranto", p. 556), a Jacopo, sposato con Flora ALIFI, succede il figlio Roberto, che è padre di Giacomo e di Aldefina che riceve il feudo in occasione delle sue nozze con Antonio DELLA RATTA.

Adelfina, avendo sposato nel 1510 Antonio DELLA RATTA, diviene madre di quattro figli: Camilla, che poi sposa Mario CAPECE, barone di Barbarano, Donato, Angela, che sposa Niccolò DE VITO, Giovan Vincenzo, morto nel 1611, il quale sposa Aurania GHEZZI, dalla quale ha discendenza.

Alla morte di Adelfina, sul feudo di Ussano, succede il figlio Donato DELLA RATTA che sposa, nel 1543, Isabella D'ARUGA, morta nel 1571; Donato muore nel 1556 dopo aver venduto il feudo a Giovannantonio PANDOLFO che, a sua volta, il 22/09/1581, lo vende a Sigismondo CASTROMEDIANO per 9.300 ducati di carlini d'argento, con atto rogato per notar Cesare PANDOLFO.

In questo stesso XIV sec., il barone di Ussano fa costruire un frantoio ipogeo per suo beneficio e i coloni del contado sono costretti a molirvi le loro olive; il barone, però , molisce le olive dei coloni "quando gli pare et piace" e se i coloni le vanno a molire in altri frantoi, o fuori del contado, possono essere soggetti a multe o a pene financo corporali. Il frantoio ipogeo di Ussano è stato conosciuto, nel territorio di Cavallino, col toponimo "trappitu te Santuso ovverossia te Santu Simi".

In una delibera, apparsa sul registro decurionale del Comune di Cavallino, relativa agli anni 1857-1860 (recuperata dal prof. A. GARRISI e gentilmente concessaci), riguardante un inventario dei frantoi siti in detto Comune, a proposito del frantoio-ipogeo di Ussano, si legge: "Anno 1857, addo 29 giugno a Cavallino... riunito il Decurionato.... Il Sindaco disse.... Il signor D. Luigi DE LUCA, Agrimensore Cedolato, coll'assistenza degli Agenti comunali ha eseguito la presente operazione. 1à‚° e 2à‚° (omissis) 3à‚°: Un altro trappeto detto S. Simi, distante dal Comune un miglio, e terzo; cioè alla distanza maggiore assai del detto 1/10 di miglio e nella zona meridionale giusto rispetto al Comune stesso. 4à‚° (omissis): osservandosi che anco questi due ultimi trappeti sono al livello inferiore all'ingresso; mancanti di condotti per lo scolo della morchia, come i due prima, e che perciò le morchie si estraggono dai sentinarii e si trasportano altrove con vettura. Sono ancora con Molini a Strettoi secondo gli antichi sistemi. Compenso per la perizia ducati 1 e 80 grana. Pei decurioni analfabeti: Luigi CALO', Raffaele TOTARO FILA, Oronzo CICCARESE. Il Decurione segretario: Raffaele DE PASCALIS. Il perito agrimensore: Luigi DE LUCA. I Decurioni: O. N. INGROSSO, Chiliano CASTROMEDIANO, Vincenzo GRECO. Domenico BUCCARELLI, Sindaco".

Il villaggio a causa delle scorrerie dei Turchi e dei predoni che vengono dal mare scompare intorno al XV - XVII sec. restando, attualmente, a ricordo della sua gloriosa storia un'unica masseria che nei tempi andati doveva essere fortificata.

4. Caprarica in epoca romana e l'origine dei toponimi urbani del Salento.

Quando la macchina bellica di Roma invade il Salento, nel 273 a.C. (632 di Roma), mette presto in ginocchio il pur fiero popolo dei Messapi che abita le nostre contrade.

I Messapi mai del tutto domi, sempre per la loro sete di libertà , cercano di ribellarsi al giogo di Roma nel 90 a.C., approfittando della guerra sociale tra Mario e Silla. Il territorio, però , viene riconquistato dai romani nell'88 a.C.

Quando Silla nell'87 a.C. parte per l'Oriente, per portare la guerra a Mitridate, i seguaci di Mario prendono il sopravvento in Roma. Essi procedono alle assegnazioni di nuovi cittadini (clientes) e alla formazione di municipi romani. Lo scopo è di clientelizzare il più possibile i nuovi cives a fini politico-militari. Si può , in effetti, notare che i cittadini dell'Apulia e del Salento sono iscritti, su base etnica a tribù , che i mariani possono controllare.

Le ex città socie del Salento sono, molto probabilmente, fra le prime ad essere municipalizzate (4); portano il segno della lotta politica del momento che si conduce a Roma, ed i loro cittadini risultano iscritti nelle tribù controllate dalle partes mariana. Si trova, infatti, nel Salento prevalentemente la tribù Fabia.

I romani, dopo le grandi guerre, cercano, in tutti i modi, di ripopolare e rivitalizzare alcune città messapico-salentine da loro stessi impoverite, a causa della guerra annibalica, prima, e della guerra sociale, poi; rifondano diverse colonie (Syrbar-Lupiae (Roca), Hydruntum, Lycium, Rudiae, ecc.).

L'insediamento di Caprarica anche se non ha, ancora, assunto l'identità di un vero e proprio insediamento urbano o colonia romana, certamente sviluppa la sua caratteristica di emporium dove vengono allevati numerosi animali; altrimenti non si capisce come mai nei pressi di Ussano viene assegnato ad un veterano militare romano un territorio dove costruire la sua villa rustica; di questa villa si possono, ancora, vedere i resti nei pressi di un antico frantoio-ipogeo sotterraneo conosciuto col nome di "Santuso".

Tutto questo fermento di vita sulla serra di Caprarica è testimoniato dalla presenza di muri a secco e non a caso alcune contrade rurali di Caprarica (coso come appare sul suo "catasto onciario" del 1744) sono nominate "Sierro di Ottavio, Tiberio (in contrada "Li Tiberij") e Costantino", forse in ricordo degli imperatori omonimi o di veterani latifondisti locali, vi sono, ancora, resti di tombe romane scavate nella roccia ed i resti della, già nominata, villa romana sita in località Ussano. Tutti questi reperti sarebbero degni di maggiore attenzione ed oggetto di studio.

Le serre di Caprarica e Ussano, molto probabilmente, in epoca romana, oltre ad avere il terreno fertile per il pascolo degli animali, dovevano avere un territorio ricco di vegetazione e di alberi di alto fusto dove, una volta abbattuti alcuni alberi, vennero ubicati i primi insediamenti; come dice STRABONE (IV, 200 e conferma Luigi DE SIMONE in "Studi storici in Terra d'Otranto", p. 33), "...in mezzo a' boschi assiepano con quelli una vasta cerchia, ed ivi pongono le loro case, e le stalle pel bestiame loro..." alla maniera degli antichi popoli Britanni i quali "...in luogo di città hanno i boschi...".

Giacomantonio FERRARI, sulla base dei testi di CICERONE, FRONTINO, ZONARA, ha affermato che il cognomen dei veterani romani, che hanno avuto molta parte nella divisione e assegnazione dell'"agro lupiense", è rimasto per sempre nell'onomastica di moltissimi siti urbani del Salento.

Il FLECHIA nel 1874, a Torino, ha pubblicato un importante libretto sui nomi locali del Regno di Napoli e, per quanto riguarda il Salento, afferma che, per esempio, l'attuale Comune di Carpignano deriva dal nome del ricco proprietario terriero che lo possedeva: Carpennius. Coso è per molti altri: Castrignano da (Castrinius), Galugnano da (Galonius), Corigliano da (Corelius), lo stesso Ussano e coso di questo passo.

Intorno al IV-V secolo d.C. Caprarica doveva far parte del territorio del municipio di Soleto se PLINIO (S.N. Libro III, Cap. XI, p. 163, Vol. I) afferma che dopo Otranto segue, immediatamente, il territorio della città di Soleto, che è però deserta ("...ab Hydruntum Soletum desertum..."). Molto probabilmente, al tempo di PLINIO, il Salento ha subito delle scorrerie che venivano dal mare o dall'entroterra portando dovunque distruzioni.

Queste scorrerie provenienti dall'esterno ma che vengono anche dall'interno evidenziano, comunque, tra i secoli IV - VI una prosperità all'interno del Salento che diviene un polo di attrazione e di richiamo anche per bande armate di rapinatori, briganti e "abigeatari", cioè di addetti alla refurtiva di animali di allevamento: buoi, cavalli, maiali, capre, pecore ed animali da cortile.

All'interno della romana secunda regio augustea (Salento), perciò , avviene un popolamento, tra i secoli IV - V, per la presenza di allevamenti di bestiame e di un certo benessere che fa da contraltare alla congiuntura economica recessiva che vi è nel resto dell'Italia invaso dalle orde barbariche.

E' possibile, perciò , ipotizzare che l'insediamento di Caprarica che si va, sempre più , specializzando nell'allevamento delle capre e di altri animali da cortile avvenga proprio in questo periodo.

In questo stato di cose, l'imperatore Valentiniano I emana nel 364 d.C. le sue Costituzioni legislative che mirano a debellare la crescente criminalità del banditismo pugliese e delle altre regioni italiane.

L'attestazione della prosperità , almeno in alcuni più specifici luoghi salentini che ci riguardano, si ricava da alcune fonti letterarie, le quali danno la certezza, per esempio, a quanto attesta lo scrittore ecclesiastico ENNODIO (473-521), vescovo di Pavia, di una fiorentissima industria tessile a Taranto conosciuta con l'appellativo lanae Tharentinae laus Urbis, confermando, in questo, la raffinatezza delle lane tarantine richieste in tutta Italia. Non è improbabile, perciò , ritenere che anche l'emporim di Caprarica ha dato il suo contributo inviando le sue lane, tosate dalle capre, a Taranto.

D'altra parte la fabbrica tarantina trova i suoi punti di rifornimento, nella sua continua produzione, negli allevamenti ovini, caprini ecc. presenti nel Salento; e sono, proprio questi, che attirano il fenomeno della refurtiva.

In questo stato di cose si spiega l'attenzione dell'Imperatore Valentiniano I al problema di come difendere la risorse salentine e pugliesi destinate, poi, a prendere la via di Roma, se non ci fossero state le razzie dei fuorilegge i quali commettono ogni sorta di crimine per rapine.

Questo crescente fenomeno di latrones, secondo il DE ROBERTIS ed altri storici, incrementato dalle manifestazioni di delinquenza a carattere nazionale, è da interpretare come un risvolto negativo di un indubitabile sviluppo economico del Salento che, comunque, a partire dal VI sec. d. C. tende "a esaurirsi sotto la spinta che è già in atto e che, alla fine dell'Evo Antico, fa della Puglia e del Salento, una delle zone più ricche dell'Occidente" prima che i Goti giungano a prostrare anche Terra d'Otranto.

PLINIO, però , ci fa sapere che, in questo periodo, il territorio dell'urbs di Hydruntum(Otranto) ha per confini il mare da un lato e dagli altri lati è delimitato dagli agri dei municipi di Lupiae (Roca), Soletum (Soleto) e Castra Minervae (Castro). Caprarica, perciò , sembrerebbe far parte del territorio della urbs di Soletum.

Il testo di PLINIO, in verità , non è molto chiaro, per quanto riguarda i limiti territoriali delle città sopraddette che non appaiono ben configurati.

Caprarica, perciò , dai tempi di Roma e fino all'inizio del secondo millennio, non essendoci fino a questo momento documenti scritti o reperti archeologici ben configurati, ha seguito le sorti socio-politiche del Salento.

1. L'insediamento di Caprarica si popola e definisce il suo toponimo

Come si è visto, nel periodo che precede l'XI sec., il Salento è stato soggetto a grandi e continue devastazioni che non solo hanno messo in ginocchio l'economia locale ma hanno determinato anche un collasso demografico.

I grandi patrimoni (massae che daranno vita, successivamente, nel Salento, alle masserie agricole e a quelle fortificate) sono amministrati e tenuti a stento in piedi da enti ed istituzioni ecclesiastiche locali che sono le uniche organizzazioni che cercano, in qualche modo, di reagire al collasso totale; su questa base gli alti prelati prendono coscienza di sè, non solo dal punto di vista religioso ma anche economico-politico, divenendo vescovi-conti.

E' solo intorno al mille che, nei nostri siti, comincia a rinascere la "speranza" di una rinnovata economia rurale ma deve fare i conti con il degrado e la comparsa di zone paludose; il processo di ripresa della produzione agricola si va realizzando in terreni posti a ridosso di insediamenti urbani già esistenti o in corso di forte radicamento. Vi è l'aggressione da parte dell'incolto, della vegetazione spontanea e delle aree selvose e boschive; si cerca di alimentare le attività inerenti il pascolo ovino e caprino, l'allevamento rurale ecc. .

E' proprio nel medioevo che tutta la fascia costiera, che va da Brindisi a Santa Maria di Leuca (in quel periodo, con incluso anche Taranto, è unica provincia di Lecce), risulta essere zona boschiva. Foreste incontaminate ricoprono le coste dei due mari come l'interno della provincia. Oggi quei 300 chilometri quadrati di foresta e bosco, denominati "Foresta iuxta foeudum" (5), non esistono più. In Caprarica, vi è ancora una contrada, denominata "li Bosci", molto probabilmente contrazione di "Bosc(h)i", che sta a testimoniare, nel toponimo, il ricordo della presenza di questa grande foresta; tuttora restano delle tracce solo in determinati punti come, per esempio, il Bosco di Borgagne, il bosco sito nei pressi della masseria "Filare", posta tra Acaya e Lecce, e, tra le "Cesine" e Torre Specchia.

Lo spopolamento delle campagne ha rideterminato una concentrazione delle poche unità demografiche nell'area degli antichi insediamenti urbani, dove si cerca di riattivare quella che è la richiesta di un rinnovato sviluppo economico.

In questo quadro, insediamenti di piccole dimensioni - come è appunto Caprarica - trovano un punto di contatto per un ripopolamento rurale e sono indizio della possibilità di riprendere quell'attività agricola e pastorale che si completerà in epoca Normanna.

Questi piccoli insediamenti rurali sono condizionati dalle caratteristiche del territorio. A volte, delle piccole comunità trovano una giustificazione di permanenza grazie solo alla presenza di un pozzo, una o più paludi, boschi, Serre dove meglio, gli abitanti, si possono difendere, ecc. .

Nel caso in esame, il forte sviluppo dell'emporium di Caprarica trova giustificazione ed è agevolato dalla presenza di più centri urbani (anche se decaduti, come i già citati: Caballinum, Ussano, Soletum, Galugnano ecc., che risalgono all'età del bronzo) che fanno da corolla.

Queste aggregazioni alimentano la trasformazione dei prodotti e perciò sono costruiti frantoi scavati nella roccia, mulini ed altre strutture.

Degli elementi meno generici nascono dalla toponomastica che stabiliscono relazioni molto forti tra la realtà del territorio e la realtà produttiva.

La realtà di Caprarica, sorta e sviluppatasi intorno alla contrada "li Bosci", è, intorno al mille, basata tutta sull'agricoltura intensiva e l'allevamento del bestiame; è una realtà che deve fare i conti con le pestilenze e le numerose aggressioni che vengono dall'esterno ma, nonostante ciò, intorno all'XI-XII sec. d.C., il sito prende una sua fisionomia ben definita, sia dal punto di vista toponomastico che urbano, tanto è vero che il toponimo di Caprarica compare, per la prima volta, tra i documenti degli archivi di Napoli nel 1055 quando prende possesso della contea il normanno GOFFREDO d'ALTAVILLA.

Come tutta la contea, anche Caprarica ha goduto di 90 anni (XI-XII sec.) circa di prosperità e benessere, durante i quali ha ampliato, in modo considerevole, il suo livello demografico ed il suo casale; e ciò fino a quando non ha dovuto subire le devastazioni della soldataglia di Guglielmo, detto "Il Malo", il quale è inviato dal padre, il re Ruggiero, a combattere ed assediare in Lecce il suo consanguineo Roberto, ma per questo motivo viene privato della contea.

Non a caso, quindi, nella seconda metà del XIII sec., molti abitanti di Ussano abbandonano il loro casale (1274) perchè perseguitati dalle prepotenze del loro barone Simone DE BELLOVIDERE e si rifugiano a Caprarica, ormai considerato e configuratosi come un casale ben organizzato, contribuendo, così, all'espansione demografica di esso.

Il toponimo: Dato per scontato che il casale di Caprarica non è d'origine romana in quanto non ha il suffisso finale in "Ano" vediamo, allora, quale può essere la sua origine.

Il suffisso finale "Ica", del toponimo di Caprarica, denota una rarità nell'intricato novero dei casali del Salento; se nè contano appena quattro.

E' sintomatico il fatto, altresì, che ai casali posti presso Lecce, Caprarica ed Acquarica, seguano, presso il tacco del Salento, due consimili casali aventi la stessa onomastica: Acquarica del Capo e una masseria detta di "San Nicola" situata sulla Serra di Caprarica di Tricase.

L'esistenza di due coppie di casali posti, contemporaneamente, a nord e a sud del Salento denota come vi sia una continuità storico-culturale, economica e religiosa.

Dal punto di vista storico è stata fatta - nell'anno 1999 - da parte dell'èquipe del prof. D'ANDRIA, per conto dell'Università degli Studi di Lecce, una grandissima scoperta archeologica in Acquarica di Lecce rappresentata dal rinvenimento di una città risalente all'età del Bronzo; s'intravedono molto ben conservate parti dell'alzato delle mura perimetrali di base, fondamenta murarie di strutture abitative e vi è la presenza, all'interno delle mura della città , di una grande specchia. Numerose tombe, poste in zone limitrofe, risalenti a quel periodo, sono state già rilevate nel 1954-55 (C. DRAGO) e nel 1995 il prof. V. SCATTARELLA, dell'istituto di zoologia, dell'Università degli studi di Bari, ha effettuato delle relazioni e pubblicazioni su riviste come Taras.

Se, a seguito di questa scoperta, si deve dare rilevanza anche al suo toponimo (forse molto raro proprio perchè risalente alla preistoria del Salento) si deve affermare che tutti i casali che terminano con la parola finale "ICA" risalgono a questo periodo.

Ancora, dal punto di vista agricolo-economico è sintomatico il fatto come il casale agricolo-pastorale di Caprarica abbia avuto un'economia affine con la masseria di "San Nicola", posta sulla serra di Caprarica di Tricase.

Infine, dal punto di vista religioso, sia il casale di Caprarica che la omonima frazione di Tricase hanno come santo patrono "San Nicola".

Tutto questo rappresenta una continuità molto significativa.

2. I Normanni

Nel 1043, i Normanni proclamano, a Melfi, Guglielmo Braccio di Ferro conte di Puglia. Questo è, per la Puglia, un periodo sanguinosissimo e travagliato di guerre; molti sono gli aspiranti al trono di questo territorio, ma, le due questioni, la politica e la religiosa, indirettamente aiutano i Normanni.

Nel 1046 succede al "Braccio di Ferro", il fratello Drogone il quale, come dice il Pontieri, è: "Dux et magister Italiae comesque Normannorum totius Apuliae et Calabriae - Duce e cavaliere d'Italia, conte normanno di tutta la Puglia e la Calabria (in quel periodo l'Italia corrispondeva all'Italia meridionale, mentre, la Calabria corrispondeva al nostro Salento con Brindisi e Taranto) ".

A Drogone succede Umfredo; ma è quando prende il potere Roberto, detto il "Guiscardo", che i Normanni assumono decisamente un'identità ben definita.

Essi devono sostenere, ancora una volta, tremende battaglie contro i bizantini ma la presa di Otranto del 1071 sancisce definitivamente l'uscita di scena, dal palcoscenico italiano, dei greco-bizantini.

A tal proposito, il P. Marti scrive: "I Normanni, appena consolidato il loro dominio sulla regione salentina, tolsero ad Otranto - già centro della vita greca - il primato militare e civile, e fondarono in Lecce una Contea, che salì in breve a grande splendore, e che visse poi di una vita secolare e quasi indipendente".

Senza dubbio, uno dei più grandi re normanni è stato Ruggero II, il quale riesce ad unificare sotto un'unica Monarchia tutto il meridione d'Italia e la Sicilia che è in mano ai Saraceni. Egli conquista Malta, Corfù, Pantelleria e buona parte della Grecia, s'impossessa delle immense ricchezze che vi sono in Tebe e Corinto, giunge fino al Bosforo.

Ruggero II ammira e porta nella sua corte la laboriosità delle genti greco-orientali e come dice il VITERBO: "...tra le migliaia di prigionieri orientali, egli fece prescegliere i lavoratori dell'arte della seta e del drappo, al fine di perfezionare ancora più e diffondere, attraverso essi, l'industria serica nel suo Regno...".

La nuova organizzazione portata dai Normanni (1019-1200) modifica completamente la ormai fatiscente amministrazione del decadente Impero di Bisanzio (almeno in Terra d'Otranto), tanto che Lecce, animata soprattutto dall'impulso dato da re Tancredi, assurge al ruolo di protagonista, divenendo addirittura capitale della contea a scapito di Otranto che fino a questo momento l'ha fatta da padrona. Nasce, così, la contea di Lecce.

Tra i maggiori personaggi dei conti Normanni apparsi sullo scenario della contea di Lecce si ricordano: Acciardo o Accardo, Goffredo I che sposa Gumnora, Goffredo II, Accardo che sposa Matilia o Mabilia, Goffredo III e Roberto.

Nella seconda metà del XII sec. si staglia la grande figura del normanno Tancredi d'Altavilla, conte di Lecce (figlio - a quanto afferma il Ferrari - di Sibilla e di Ruggiero duca di Puglia, nato nel 1140).

Tancredi fa divenire la contea di Lecce ricca e opulenta dal punto di vista economico, e, luogo d'incontro mondano, dove abitualmente s'incontra tutta "la cavalleria pugliese".

I Normanni danno un enorme impulso di rilancio economico, sociale e religioso; numerosi sono i monumenti costruiti nel Salento: basti ricordare la costruzione degli imponenti monasteri di Cerrate presso Squinzano, di Casole presso Otranto e di San Niceta a Melendugno (1167).

3. Caprarica si consolida nella contea di Lecce

Nel XII sec. il "territorium Licii" corrisponde ad una vasta ed amena pianura, cosparsa di ville (vici), casali (casalia), castelli (castra), i quali insieme alla città di Lecce, la "urbs" per eccellenza divisa in quattro plessi (pittaggi, porte), costituiscono la "civitas Licii". Il Tanzi scrive: "...nella provincia i Normanni per la prima volta introdussero il sistema feudale...".

Lecce diviene il polo di riferimento politico della contea e dà il nome al conte che in essa prende possesso con la sua Corte; vi risiede il vescovo (il quale ha un potere non solo religioso ma anche politico su alcuni suoi territori, divenendo così vescovo-conte), il magistrato, ecc. .

Sotto i Normanni i confini del territorio leccese coincidono pressappoco con quelli che sono stati fin dalla colonizzazione romana e l'ordinamento municipale bizantino; la contea ha inizio dalla spiaggia dell'adriatico nei pressi della distrutta Valesio, tra il feudo di Santa Maria di Cerrate e quello delle Benedettine di Brindisi, e s'incunea negli attuali Torchiarolo, Squinzano e Campi; poi si delinea verso i territori di Novoli, Carmiano e Magliano; poi chiude con Monteroni, San Pietro, San Cesario, San Donato, Galugnano, Caprarica di Lecce, Castrifrancone, Vernole e Melendugno, formando una grande linea arcuata verso il mare; successivamente si prolunga a Roca, Anfiano, Stigliano, Cerceto, Serrano fino a Carpignano. Ma oltre ai Comuni confinanti, tra i più indicativi vi sono pure Trepuzzi, Surbo, Arnesano, Lequile, Cavallino, Lizzanello, Merine, Dragoni, Castroguarino, Pisignano, Acquarica, Strudà , Vanze, Acaja e Borgagne, e parte di Soleto; vi sono poi i casali di Padulecchia, Pasulo, San Salvatore, Cerceto, San Lorenzo, San Cosma, Ussano, Absiliano, Tramacere, Nubilo, Firmiliano, Afra, Bagnara, Terenzano, Sant'Elia, Calliano, Cisterni, San Giorgio di Surbo, Sant'Angelo di Termiteto, Aurio, San Nicla dello Pettorano, Porciliano, Casanella, Specchia, Erchie, Tafagnano, Segine ed altri piccoli centri abitati sorti e disfattti in epoche diverse. Dunque la contea di Lecce confina a nord con Brindisi, ad ovest con Oria e Nardò, a sud con Soleto ed Otranto.

Come si è detto, dunque, i "casalia" cominciano a configurarsi intorno al X - XI sec.; nella nostra provincia sorgono le contee o baronìe principali e le baronìe minori o suffeudi; infatti, viene coniata la massima: "civitates vel castra sunt feuda eo ipso quod castra et civitates sunt".

Gli abitanti dei villaggi godono gli stessi diritti e doveri degli abitanti delle città . Ma devono pagare le imposte al fisco o al feudatario, destinandole alla città , ricevendo in cambio da questa l'amministrazione e la giurisdizione.

Anche se le "Universitates" o Comuni, come coscienza sociale, sono nati nel sud d'Italia prima del nord, questi sono stati soffocati, come dice il Volpe, proprio dalla forza dei feudatari e dalla mancanza di una borghesia forte che invece al nord si fa sentire.

A Goffredo ubbidiscono le contee di Lecce ed Ostuni. Nella contea di Lecce, Goffredo trova un ricco demanio, fonte inesauribile di rendite, ed una grossa schiera di soldati soggetti direttamente a lui, per mezzo di una gerarchia organizzata molto bene.

I Normanni padroni assoluti della contea di Lecce procedono a vere e proprie fondazioni. E' evidente, perciò, che il patrimonio - per così dire - "personale" del conte di Lecce deve intendersi come un diritto di conquista dei beni tolti ai Greci-Bizantini soccombenti.

I nipoti gemelli di Goffredo, Boemondo e Ruggiero, intorno al 1090, si dividono il Regno; la parte che comprende Gallipoli, Otranto, Oria e varie altre terre fino a Siponto va a Boemondo

Pare che la prima fondazione è stata fatta, dai Normanni, in favore della chiesa di S. Maria dei Veterani in Lecce, voluta - a quanto afferma l'Infantino - da una Teodora, sorella del "comes" Goffredo, nel 1118, in ricordo "della pace fatta in casa del conte fra i suoi fratelli, parenti ed altri potenti".

Quando diviene conte di Lecce Tancredi d'Altavilla, futuro re dei Normanni, la contea acquista un periodo di benessere economico; il feudo di Caprarica è concesso nel 1190 alla contea di Lecce e Tancredi lo suddivide, poi, in due quote: di cui una è infeudata a Guglielmo BONSECOLO, l'altra rimane in possesso dei Conti di Lecce sino al 1369.

I Normanni danno, ancora, ampia libertà di culto sia al rito latino sia a quello greco. Il rito greco, come si sa, soprattutto con i monaci basiliani (6), incentiva molto il culto a San Nicola o Niccolò (basta ricordare le numerose abbazie e grancie dedicate a questo Santo); per questo si ritiene che è proprio in questo periodo che nasce con forza la devozione in Caprarica per San Nicola e l'amore per questo santo è così grande che a furor di popolo lo eleggono come loro protettore.

Nella primavera del 1201, il casale di Caprarica, facente parte della contea di Lecce, passa sotto il dominio di Gualtiero III di Brienne, marito di Albiria, figlia di re Tancredi. La stella di questo coraggioso cavaliere francese è di breve durata, giacchè pochi anni dopo, nel giugno del 1205, cade in una imboscata presso Sarno mentre, alla testa di un gran numero di cavalieri leccesi e del contado, muove le truppe di Costanza, comandate dal generale RIPOLA; oltraggiato dal vincitore, anzichè sottomettersi, preferisce strapparsi le bende che fasciano le molte ferite e muore dissanguato.

Con atto generoso, Costanza (forse per sdebitarsi verso la memoria di re Tancredi che, fattala prigioniera, l'aveva rimandata libera al marito Enrico VI) assegna la contea di Lecce al figliolo di costui, Gualtiero IV, nato nello stesso anno della morte del padre.

Ma il contino, alla morte della madre contessa Albiria, avvenuta in Lecce nel 1212, è richiamato dallo zio Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme, sicchè la contea torna in mano Sveva seguendo le sorti del travagliato impero di Federico II.

4. Il casato dei BONSECOLO

Ma tornando alle origini feudali di questo casale, si deve dire che il casato dei BONSECOLO, rappresenta la prima famiglia feudataria che si conosca a reggere le sorti di Caprarica.

E' un casato, questo, d'antica e nobile schiatta d'origine neretina che, prima di giungere a Caprarica, ha goduto nobiltà anche in Lecce, dove, probabilmente, si è trasferita, nel secolo XIII e dove si è estinta nel secolo XIV.

Com'è stato già detto e a quanto afferma Amilcare FOSCARINI ("Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d'Otranto estinte e viventi", Vol. I, p. 24), a questa famiglia Tancredi d'Altavilla, futuro re dei Normanni e conte di Lecce, concede il feudo di Caprarica nel 1190 e lo suddivide, poi, in due quote: di cui una è infeudata a Guglielmo BONSECOLO, l'altra rimane in possesso dei Conti di Lecce sino al 1369.

Quando l'influenza economica, politica e sociale di questo casato è così grande, uno dei suoi rampolli, nella persona di Teodoro BONSECOLO, diviene vescovo di Lecce, secondo il POSO, dal 1057 al 1101, mentre il normanno GOFFREDO risulta conte di Lecce.

Lo storico e nobile leccese Francescantonio DE GIORGI (nel suo lavoro "Famiglie nobili leccesi" scritte nel 1625, pp. 54-55) afferma che "Si tiene per certo, che li Bonsecoli (o Bonsecula) siano una stessa cosa, ed una sola fameglia, che li secoli e li trasecoli, e di loro a poche notizie ci semo abbattuti, per essere molto tempo che son mancati; furono sibbene molto chiari ed antichi in Lecce, come quelli dè quali si trova fatta menzione prima che fussero i Re nel nostro Regno, e si vede Teodoro Bonseculo l'anno 1056 essere vescovo di Lecce. Per quello che si ha delli libri del Regio Archivio l'anno 1239 Enrico Bonseculo viene annoverato tra i Baroni di Terra d'Otranto, a quali dall'Imperadore Federico 2à‚° dopo la vittoria avuta in Lombardia si commette la cura di alcuni istadici datili da quei Papali; e l'anno 1279 Ruberto Bonseculo viene dal Re Carlo I ornato del cingolo militare, ed in detta scrittura il Re lo chiama suo familiare, e benemerito. Per quello ancora che io avviso da altre memorie nell'anno 1328 fu tra i Baroni, che ricusano di andare alla custodia di Calabria per esserno feudatario del Conte di Lecce Francesco Bonseculo, e fu tra gli altri Baronaggi che loro ebbero quello di San Cesario, passato con somma felicità l'anno 1302 per la persona di FrancescaBonsecula nella Casa Guarina.Postilla

Nell'archivio della città di Lecce, nel libro rosso intitolato, a carte 31 si legge - 1369 Augustinus De Guarini tenet majorem partem San Cesari, medietatem casalis Castrì, et casalis Caprarice intitulato in Cedula Reginali, Terra quondam Guglielmi BONSECULI sub Comite Litij - Don Agostino GUARINI possiede la maggior parte di San Cesario, metà del casale di Castrì e del casale di Caprarica, tratte dalle concessioni regie, una volta feudi di Guglielmo BONSECOLO sotto la contea di Lecce.

Aggiunta di don Ermenegildo PERSONE'

Guglielmo BONSECOLO fu uno dè 20 ideati Cavalieri, dè quanti tante volte abbiam fatto menzione, e si dice che dal Re ebbe in dono Racale e Fellino. Ma quanto io vo considerando che Francescantonio De Giorgi, che scrisse intorno al 1625, di niun di coloro fa motto, son costruito a credere non solamente ch'egli notizia alcuna non dovette averne, ma nè anche colora delle istesse famiglie, come i Guarini sono, i Marescalli, i Montefuscoli ed altri, perciocchè quando costoro alcun barlume avuto avessero di questi valorosi guerrieri loro ascendenti, non iscriveva mica il Giorgi di là dall'altro emisfero, che menoma cognizione non ne avesse avuta senza che si farebbe ciascuno a suo potere sforzato perchè quello scrittore in questo suo libro menzion ne facesse. Onde sempreppiù si conosce di quante favole sien pieni il libro del Ferraro, e quel dell'Infantino, dove solamente questi Cavalieri vengono".

Il MONTEFUSCO (Op. cit., p. 20, 113-114) afferma che nel 1190 il normanno re Tancredi d'Altavilla concede al cavaliere Guglielmo BONSECOLO le terre di Castrio e Pollio (piccoli feudi disabitati posti nelle pertinenze di Copertino) Alliste, Racale e Felline che si aggiungono, così, alle tre testè dette dal DE GIORGI; come si vede numerosi sono i feudi in possesso di questa famiglia.

Guglielmo ha due figli, Caterina ed Enrico, suo successore. Ad Enrico succede sui feudi il figlio Guglielmo, padre di Francesca e di Roberto, suo successore. Roberto viene decorato, nel 1275, del Cingolo Militare da Carlo d'Angiò.

Alla sua morte improle, succede su tutti i feudi la sorella Francesca che sposa in prime nozze, nel 1268, Pasquale GUARINI, in seconde Nicola DE FRISIS, in terze nozze, nel 1303, Federico DE ROSEIS; ma Francesca, comunque, risulta essere l'ultima baronessa di Caprarica e di tutti i numerosi feudi appartenenti a questa famiglia.

Sulla base delle asserzioni del FOSCARINI e del DE GIORGI, possiede questa famiglia, dunque, il casale di San Cesario, metà di Castrì e Caprarica; tutti e tre, nel 1302, passano ai GUARINI per il matrimonio che Francesca BONSECOLO fa con Pasquale GUARINI.

ARMA DEL CASATO: Un Toro furioso accompagnato, nel capo, da un crescente.

5. Gli Svevi

Quando comincia l'indebolimento politico ed economico dei Normanni, Ottone IV di Brunswich, figlio di Enrico il Leone, scende nelle nostre contrade con l'intento di accaparrarsi questi ricchi feudi aiutato - in un primo momento - anche da Papa Innocenzo III; ad un certo punto, però, il Papa, alla candidatura del trono imperiale del mezzogiorno d'Italia, preferisce Federico II di Svevia.

Ottone IV, vistosi tradire, invade le province di Puglia, Calabria e Terra d'Otranto. Albiria fugge in Francia col figlio Gualtieri di Brienne; per questo, Federico, già eletto imperatore, nomina Manfredi conte di Lecce e principe di Taranto.

Caduti i Normanni e saliti al potere gli Svevi, soprattutto con Federico II, si crea una lacerazione profonda tra impero e papato. Re Federico, infatti, non tiene mai conto della volontà del pontefice, tanto che il Papa, da Anagni, il 29 settembre 1227, lo scomunica. Questo atto non ferma l'intraprendente sovrano il quale, senza nessuna autorizzazione pontificia, organizza la sua crociata nel 1228 imbarcandosi da Otranto.

Sotto Federico II avviene il passaggio, dalle nostre contrade, di Francesco, il "Santo dei poverelli". Molto probabilmente la venuta del "Santo" nelle nostre contrade, di ritorno dalla "terra del Santo Sepolcro dove si combattevano le Crociate", deve registrarsi intorno al 1219.

Egli sbarca ad Otranto [dove già persiste il primo convento (1215) di Terra d'Otranto dedicato, a quanto afferma il P. COCO, ai padri francescani: "...vi era una dimora di Minoriti..."] percorrendo la vecchia Via Traiana.

I leccesi della contea mostrano, in questo periodo, di preferire la Chiesa al dominio Svevo, sicchè sul mastio di Lecce, torna a sventolare la bandiera papale ma solo per qualche mese poichè Federico II assedia, con un grosso esercito, la Contea e doma la rivolta.

E' evidente, dunque, che i baroni BONSECOLO, baroni di Caprarica, si sono radicati, nel Salento, al seguito di re Federico II se il DE GIORGI (Op. cit. p. 54) afferma che: "...Per quello che si ha delli libri del Regio Archivio l'anno 1239 Enrico Bonseculo viene annoverato tra i Baroni di Terra d'Otranto, a quali dall'Imperadore Federico 2à‚° dopo la vittoria avuta in Lombardia si commette la cura di alcuni istadici datili da quei Papali...".

Federico II, nella sua incessante lotta contro il Papato, attacca i Brienne (sebbene sua moglie Iolanda è figlia del re di Gerusalemme Giovanni Brienne) e li sconfigge sul fiume Siri nel 1229. La Contea di Lecce ripassa in mano Sveva e Caprarica segue la stessa sorte.

Morto Federico II (1250), il quale ha prostrato l'economia del mezzogiorno d'Italia, la Chiesa s'impossessa della Contea e la tiene sotto il suo dominio fino a quando non viene ripresa, per un breve interregno, da Manfredi, dopo una lotta accanita conclusasi con l'espugnazione della roccaforte di Oria. Manfredi, a questo punto, deve attendere solo l'arrivo del vero erede al trono, Corrado di Svevia.

Manfredi continua l'opera nefasta del padre e molte città pugliesi si ribellano. Si riaccende la guerra intestina tra papato e impero, tra alterne vicende. In questo periodo gli odi, le gelosie e le guerre sono all'ordine del giorno, anche il futuro e sventurato re Corrado è fatto uccidere.

Manfredi, con l'intento di bleffare, fa sapere al Papa che è disponibile ad abbandonare il Regno, per porlo nelle mani del papato ma quando il Papa lo obbliga, insieme ai conti ed ai baroni, a prestargli giuramento di fedeltà Manfredi si ribella.

La guerra risulta essere molto dura; in Terra d'Otranto è nominato, Capitano, Manfredo LANCIA, parente di Manfredi.

Otranto, Brindisi, Oria, Lecce ed altre città prendono posizione contro il re Manfredi; Taranto, Gallipoli, Nardò ed altre città si schierano col Papa. In questo contesto l'ANTONACI (in Hydruntum, pp. 142-43) scrive: "Manfredi con audacia e violenza unite ad una grande astuzia conquista Brindisi, Mesagne, Otranto e moltissimi altri centri del Salento".

Sia i Papi (Innocenzo IV ed Alessandro IV) che l'Imperatore (Manfredi), autonomamente, fanno molte concessioni a varie città e contee. Il marasma è totale perchè le stesse concessioni vengono fatte dall'uno e dall'altro e, contemporaneamente, vengono tolte e date quasi allo stesso tempo; naturalmente i conflitti si propagano tra i baroni, i nobili, gli stessi istituti religiosi... il marasma è totale.

Anche la contea di Lecce risente di questo clima così esasperato, lo stesso convento di San Giovanni Evangelista ne viene coinvolto.

Il feudo e la Terra di Caprarica, però, in questo marasma politico-sociale così esasperato registrano un incremento demografico, un periodo di stagnazione di potere in quanto il casato baronale, della famiglia BONSECOLO, la fa da padrone, essendo stata vicina sia allo Svevo, prima, che al I e al II angioino, poi, ma non nel modo esasperato del tirannico feudatario di Ussano.

A sancire al forza dei baroni BONSECOLO, sul possesso di Caprarica, alla pagina 258 del volume 13à‚° dei registri della cancelleria angioina, ricostruiti da Riccardo FILANGIERI con la collaborazione degli archivisti napoletani, si legge: "...Casalia Caprarice et Sancti Cesari que tenet Francisca filia quondam Guillelmi De Bonseculo...". Qualche anno dopo, sempre sulla testè citata opera, si legge: "...Goffrido De Bosco Guillelmi concedit casale Caprarice de iustitiariatu terre Ydrunti...".

L'ultima baronessa di Caprarica di Lecce, appartenente al casato dei BONSECOLO, è Francesca la quale, come abbiamo già detto, ha avuto tre matrimoni ma noi seguiremo quello che ha contratto con Pasquale GUARINI in quanto è quello che più ci interessa per il proseguo delle fortune e della storia di Caprarica di Lecce.

Il DE SIMONE nel suo lavoro ("Studi storici in Terra d'Otranto" p. 64), come già detto nel capitolo I, afferma che Ussano, dopo diverse lotte intestine, nel 1274 è stato spopolato a causa dei soprusi che il barone, Simone de BELLOVIDERE ha esercitato sui suoi abitanti.

Per capire come mai i baroni di Ussano, in epoca svevo-angioina, si comportano in questo modo si deve dire, in generale, che i diritti baronali, in questo periodo, crescono a dismisura proprio per la debolezza del potere regio e per l'ignoranza e schiavitù in cui sono tenuti i vassalli.

I baroni sono così onnipotenti fino al punto di usurpare, dove non possono ottenere la concessione, fin sulla vita (jus vitae) e la morte (Jus necis) dei loro vassalli.

I pochi abbienti sloggiano dal casale feudale, i poveri vi rimangono per necessità ; ma come afferma il famoso proverbio il soperchio rompe il coperchio, per cui i cittadini di molti casali a frotte deserebant incolatum, et alio ad abitandum discedebant (disertavano i casali e si rifugiavano in altro casale), contenti di ridursi ad abitare sparsi per le campagne.

In questa fase storica, con una realtà così triste, il significato profondo del toponimo di Ussano [coniato e derivato dal verbo latino, già detto (al paragr. 4, cap. I), uro] si manifesta in tutta la sua tragicità e, soprattutto, sono i suoi cittadini martoriati e maltrattati.

Gli abitanti dei casali vicini a Caprarica, per questa ragione, li abbandonano; si sa che gli abitanti di Zollino, Sternatia, Ussano, Galugnano, Cursi, Martignano, Martano, Calimera, Melendugno, San Salvatore (vicino Borgagne) e altri casali (L. De Simone, Op. cit., p. 64) si allontanano da essi, stanchi dei soprusi e dalle angherie dei loro baroni.

In questo stato di cose, nonostante il numero altissimo o totale di defezioni demografiche da questi casali, il centro di Caprarica, però, non viene nominato segno evidente che il barone Guglielmo BONSECOLO, sulla sua quota, e, il conte di Lecce sulla sua, non fanno pesare granchè il loro potere sugli abitanti, anzi, è da ritenere che, non solo gli abitanti di Ussano, ma molti dei casali vicini qui si rifugiano facendo aumentare il livello demografico di Caprarica.

6. Gli Angioini

Con la caduta degli Svevi in una terra, come il Salento, ricca di istituzioni religiose e l'avvento al potere degli Angioini si determinano, per la contea, una serie di lunghe e sanguinose guerre contro gli aragonesi.

Carlo I d'Angiò scende nel mezzogiorno d'Italia e lo occupa, aiutato da papa Urbano IV, dopo aver sconfitto a Benevento il 26/2/1266 l'esercito comandato da Manfredi; in questo frangente la contea di Lecce passa nelle mani di Caterina d'ANGIO', cui segue una rivolta dei baroni leccesi guidati da Corrado CAPECE i quali cercano, in tutti i modi, di far sloggiare gli indesiderati francesi ma questi, in breve, riescono a sedare la rivolta e per punizione il re angioino abbandona Lecce e la contea al saccheggio (1269).

Nel 1284 gli angioini conquistano il Salento, ma gli aragonesi, guidati dall'ammiraglio Ruggiero di Lauria, sconfiggono i primi in una battaglia navale nel golfo di Napoli e fanno prigioniero lo stesso principe ereditario Carlo II (1248-1309) detto "Lo Zoppo".

Il Papa Bonifacio VIII, per sedare la guerra tra Angioini ed Aragonesi, dà ai primi il Regno di Sicilia, e ai secondi, Sardegna e Corsica.

L'anno successivo muore, a Foggia, Carlo I (1285) cosicchè il regno è retto, temporaneamente, dalla vedova Beatrice e dai baroni a lei fedeli.

Quando, oramai, gli angioini hanno conquistato il meridione d'Italia nella contea di Lecce è nominato, da re Carlo I, per meriti acquisiti, Ugo di Brienne (8). Ma chi è costui?

Nella Cronaca Neretina si legge che la provincia otrantina viene affidata, da Beatrice vedova di Carlo I d'Angiò, al cavaliere Guidone Lamagna o di Rocca - già luogotenente ed uomo di fiducia del primo angioino.

Guidone di Rocca è nominato luogotenente per la fedeltà dimostrata a Carlo I d'Angiò, intorno al 1280. Per capire meglio chi è, Ugo di Brienne (1260-1291), si deve parlare di Guidone, poichè Ugo sposa Isabella de La Roche, sorella di Guidone.

Avviene, infatti, che durante la guerra tra angioini ed aragonesi, questi ultimi giungono sotto le mura di Lecce (1285) e la radono quasi al suolo. Cosicchè Ugo di Brienne, fedele al re di Napoli, passato il pericolo aragonese (come ci dice il Ferrari), la riedifica, costringendo i baroni della contea - con permesso che il re di Napoli gli accorda - a risiedere per un certo periodo dell'anno a Lecce stessa.

Ugo o Ugone di Brienne, alla morte della propria moglie Isabella de La Roche (1279), sposa Elena Angelo Dukas (9), nel frattempo divenuta vedova di Guidone de La Roche.

Ugo di Brienne, dopo - per così dire - questo travaso familiare, prende in suo possesso tutti quelli che sono gli affetti di Guido di Rocca, ma proprio a ragione di ciò, riesce a portare nella sua casata il detto titolo di "duca d'Atene", titolo che passerà , successivamente, ai suoi discendenti (10).

Il Brienne, oltre a ricostruire la città di Lecce, fa delle donazioni all'abate di San Niccolò e Cataldo; tutti questi suoi meriti lo fanno diventare grande agli occhi del re di Napoli, tanto che, il 13/1/1290, Carlo II gli riconferma il possesso dei casali e dei tenimenti che già sono stati suoi con documento del 1271; ciò si evince dall'"Istrumento del 2/10/1466 per notar Tommaso Ammirato di Lecce. Edito nell'Arch. Salentino nà‚° 1, Lecce 1894".

A ragione di questo "Istrumento", Ugo di Brienne è proprietario dei casali di Lequile, Paternello, Tafagnano, Campi, Santa Maria de Nove, Bagnara, Carmiano, Monteroni, Arnesano, Corigliano, Tramacere, Absigliano, Ceriescio, Cerasole, Padulecchi, Tamanzano, Terenzano, Carpignano, Noha, Cavallino, Padulano, Pisanello, Pisignano e Vernole.

A ratifica del possesso della contea, il sindaco di Lecce fa transuntare un istrumento di re Carlo II del 05 aprile 1291, Indiz. IV, (A.S.L., Libro Rosso della città di Lecce, pp. 49-77) contenente una lettera del giustiziere di Terra d'Otranto in esecuzione di altre, precedenti, del secondo angioino risalenti al 20 gennaio 1290, Indiz. XIII, emessa a Parigi, con cui Ugo di BRIENNE, conte di Lecce, in contesa coi baroni, è riconosciuto in possesso di tutti i casali della contea.

Essendo questa la situazione storica intorno al 1291, e, alla luce di questo documento, si evince che il casale di Caprarica, per espressa volontà del BRIENNE, non fa parte della contea di Lecce, in quanto risulta staccato e dato in diretto possesso di Francesca BONSECOLO, erede di Guglielmo.

Questo casale, come si può capire, rimane in possesso dei baroni BONSECOLO in quanto essi riconfermano la loro fedeltà al II angioino.

Il fatto che i BONSECOLO riescano a mantenere il loro feudo della Terra di Caprarica, non è un fatto scontato a causa delle lotte intestine che, in questo periodo, scoppiano continuamente tra i restanti sostenitori degli Svevi e gli Angioini e, successivamente, tra gli Aragonesi e gli Angioini.

A dimostrazione di ciò, si richiama il conflitto sanguinoso che si è già scatenato tra gli angioini di Carlo I e Corradino di Svevia. Sulle contee di Nardò e Presicce governa il barone Simone GENTILE, il quale, nel 1269, all'indomani della disfatta e successiva decapitazione di Corradino di Svevia, è incluso - dagli angioini - in una vera e propria lista di proscrizione stilata contro i baroni fedeli allo Svevo; per questo motivo, il barone Simone GENTILE, accusato di tradimento, viene dal primo angioino privato dei suoi feudi e nel 1270 è decapitato sulla pubblica piazza di Nardò, la quale, insieme a Presicce, è concessa, nello stesso 1270, al barone francese Ezzelino De Tuzziaco.

Il re Carlo I, dunque, mentre da un lato sopprime i baroni a lui nemici, dall'altro lato, restaura e incentiva le Terre in cui vi sono baroni a lui fedeli. Così, mentre il casale di Caprarica appare un feudo alquanto tranquillo, il colle di Ussano si trova in un periodo molto turbolento in quanto il tiranno barone, che ha visto il suo feudo spopolarsi, supplica Carlo I d'Angiò affinchè venga ripopolato ed è subito riabitato per intervento del re.

In verità il barone di Ussano, Simone DE BELLOVIDERE, una volta ottenuta la provisione Regia dà la caccia ai suoi vassalli, rei di averlo abbandonato, e riesce a ricondurre ad Ussano una buona parte di popolani con la violenza e con mano armata. Una volta che sono ritornati, com'è usanza dell'epoca, il barone si fa assicurare dai suoi vassalli, con giuramento, che non avrebbero mai più tentata la fuga. Tutti gli abitanti del casale, anche "non fuggiaschi", sono obbligati a prestare questo giuramento al feudatario ed ai suoi successori.

7. Caprarica sotto GUALTIERO VI di BRIENNE

Come si vede, dunque, il quadro politico che si va delineando in questo periodo è tutt'altro che tranquillo. La guerra tra angioini ed aragonesi continua a disseminare morte e sventura e la ripercussione nel nostro Salento è continua.

Roberto d'Angiò (1275-1343), figlio di Carlo II (morto nel 1309), è colui il quale inizia la serie degli Angiò di Napoli, mentre, gli altri fratelli vanno a reggere le sorti delle terre d'Ungheria, Taranto e Durazzo.

Re Roberto chiama alla sua corte uomini illuminati e abili e, col consiglio di questi, governa il suo territorio con gran saggezza. Durante il suo regno, insieme a papa Giovanni XII, aiuta Gualtieri V di Brienne a difendere i suoi territori in terra greca.

La nascita di Roberto D'ANGIO' sancisce anche la compilazione di un documento, fatto redigere dal re Carlo II, e, perciò, detto della Cancelleria Angioina risalente al 1275 il quale elenca i "barones et feudatarii Terrae Ydronti", e, nell'elenco dei nomi dei numerosi baroni (Marescalco, Montefusco, Maremonti ecc.) risalta, nel catalogo dei baroni anche quello dei GUARINI.

Cosicchè, sotto gli angioini, la contea di Lecce, iniziata già con i normanni, continua la sua vita autonoma, governata dai BRIENNE; insieme a questa, nel catalogo, viene menzionata anche la contea di Soleto (dove Caprarica risulta essere il confine territoriale tra le due contee) assegnata e governata a Niccolò DEL BALZO. Queste due contee vengono aggregate, poi, al Principato di Taranto, quando i titolari, Filippo e poi Roberto, non lasciano eredi diretti: ecco il motivo per cui Caprarica risulta essere un casale facente parte della contea di Lecce e del Principato di Taranto.

Nel 1309, il conte di BRIENNE ottiene dal sovrano l'approvazione di emanare suoi statuti, per cui emana nella contea di Lecce i Capitula, una specie di norme di regolamentazione del lavoro e del commercio all'interno dei circuito territoriale di questa contea e dei suoi casali aggregati, da cui Lecce attinge le imposte.

Gualtieri VI di BRIENNE oltre alle terre ereditate, facenti parte della contea di Lecce, aggiunge i casali di San Cesario, San Donato, Caprarica, Lizzanello, Castrì, Trepuzzi, Squinzano e Cisterni (posto nelle pertinenze di questi due ultimi casali).

8. Caprarica fa parte della contea di Lecce posta nel Principato di Taranto

Vediamo come mai Caprarica entra a far parte del Principato di Taranto.

Verso la metà del XIV sec., il Principato di Taranto entra nelle lotte angioine mettendo, addirittura, in ombra la contea di Lecce. La regina Giovanna I è l'artefice delle ostilità che durano a lungo.

Anche se il Principato esiste già almeno dal XII sec. è, però, con Filippo d'ANGIO', quartogenito di re Carlo II, ad assurgere al ruolo di protagonista facendo assumere a Taranto un'enorme influenza geo-politica.

A motivo dei suoi matrimoni, il Principe di Taranto si garantisce molti ed importanti possedimenti anche in Grecia, che gli provengono dalla moglie, una certa Tamara, figlia del governatore d'Etolia. In seconde nozze sposa Caterina, figlia dell'imperatore bizantino, cosicchè Filippo prende anche questo titolo onorifico; ecco come si spiega che in alcuni documenti della cancelleria tarentina Caterina risulta "Imperatrix Costantinopolitana et Principissa Tarenti".

Alla morte di Filippo, nel 1332, succede il figlio primogenito Roberto che governa il Principato fino al 1364.

Intorno al 1340, intanto, cominciano una serie di lotte intestine che rischiano di minare non solo il Principato ma persino il regno se si pensa che Roberto mira, addirittura, alla mano della regina Giovanna, sua cugina, ma ella gli preferisce il fratello Luigi d'ANGIO'. Solo l'accorta politica del cancelliere napoletano, Niccolò ACCIAIUOLI, evita la scissione del regno.

Le lotte continuano anche con il fratello, succedutogli sul Principato, Filippo II che lo regge fino al 1373.

In un documento del XV sec. (v.: G. PAPULI, "Documenti editi ed inediti sui rapporti tra le Università di Puglia e Ferdinando I", p. 379) risulta tutta la potenza politica di questo Principato: "Lo principo da Taranto è signore da per se in lo Reame de più de quattrocento castelle (ed in questo vi è anche Caprarica). E comenzia el suo dominio dalla porta del mercha de Napoli, lunzj octo milya a uno locho se chiama la terra de Marignano, e dura per XV sornade per fina in capo de Leucha; e chi lo chiama lo Sacho de terra de Otranto, e dura per melya quattrocento e più".

La decadenza del Principato avviene, intorno al 1450, sotto il re Alfonso I d'Aragona, il quawle coinvolge le Universitates come intermediarie tra il sovrano ed il suo popolo e vuole, da parte del popolo e dei baroni, anche il riconoscimento della devozione di sudditi fedeli e l'approvazione della regalità ; inoltre, vuole che avvenga la definitiva scomparsa politica del Principato di Taranto, cessando, così, di essere uno "Stato nello Stato".

Perciò, quando il re comincia le sue visite in Puglia e passa da Taranto, Anna COLONNA, moglie di Giovanni ORSINI-DEL BALZO, apre le porte della città bimare affinchè tutti rendano omaggio al monarca.

I baroni di Terra d'Otranto sono costretti a rendere il loro omaggio, di sudditi devoti, nel castello di Lecce.

Cessa così, verso la metà del XV secolo, la potenza politica del Principato di Taranto.

Tornando alla storia e alle fortune del nostro casale, si deve dire che nel 1302 la Terra di Caprarica, regnando Roberto d'ANGIO', è ancora divisa in due quote:

- la prima quota è ancora in possesso di Francesca BONSECOLO ma ella la porta in dote al barone Pasquale GUARINI, il quale è già protontino (16) di Brindisi e possiede anche i casali di Racale e Felline (A. Foscarini, Op. cit., p. 24).

Dal loro matrimonio nascono sei figli: Isolda, Margherita, Guglielmo che eredita il feudo essendo il primogenito, Giovanni, che diviene barone di Palesano, Macchia e Casamassima, Ugone che sposa Margherita DE LANDA, Berardo, Francesco che diviene vescovo di Ostuni.

Alla morte di Pasquale GUARINI, il feudo di Caprarica resta di proprietà dei GUARINI, in persona di Guglielmo, ma Francesca BONSECOLO, vedova di Pasquale, convola in seconde nozze con il barone Ferrerio DE ROSERIIS [A.S.N., Reg. 1308, E, 312].

Nel 1308, fra i documenti riportati dal DE SIMONE ("Lecce e i suoi monumenti", p. 165) si legge: "...La Chiesa della S.S. Trinità di Lecce esige decima sui casali di Pettorano-Casanello, Galugnano, San Cesario, Caprarica, Ussano (E-311)...".

- la seconda quota è gestita direttamente dai conti di Lecce.

Succede intanto che, morto Gualtieri V nella battaglia del Cefiso del 1311, la contea di Lecce passa al figlio Gualtieri VI; mentre, alla morte di re Roberto, avvenuta nel 1343, sale sul trono del Regno napoletano Giovanna I d'Angiò (1327-1382) sposata con Andrea d'Angiò del ramo d'Ungheria.

Questa regina, a causa dei suoi numerosi matrimoni - quattro (Andrea d'Angiò, Luigi di Taranto, Giacomo IV d'Aragona, re di Majorca, e Ottone di Brunswich) -, procura molte guerre sanguinose per il suo regno e, soprattutto, per la Terra d'Otranto.

In questo periodo, come detto, la contea di Lecce è sotto il potere di Gualtiero VI di BRIENNE, ultimo di questo ramo. Egli conduce una vita molto avventurosa e ricca di prestigio essendo anche duca d'Atene e divenendo, addirittura, signore di Firenze. Si può ricondurre, a questo periodo, il primo, per così dire, gemellaggio tra Lecce e Firenze se, in Lecce, il BRIENNE fa costruire una chiesa con annesso convento intitolato a Santa Croce, omonima di quella di Firenze.

Nonostante tutti questi titoli, però, i suoi contemporanei mostrano di non attribuirgli tanto valore e regalità , tanto che un informatore del re Giacomo II d'ARAGONA, scrivendo dell'ultimo BRIENNE, parla di un "...quidam qui se dicit dux Athenarum - un tale che si dice duca d'Atene...". D'altra parte, come si è detto al principio del discorso sui Brienne, questo è un titolo che essi hanno quasi usurpato.

Ciononostante alcuni documenti del tempo ci assicurano che egli è stato, in Lecce, signore di una vasta contea. Questo possesso è tenuto per diritto d'eredità paterna e non per favore del re Roberto di Napoli, come vorrebbe far credere il PAOLI.

La contea si estende per circa 48 miglia in lunghezza e 15 in larghezza comprendendo 26 villaggi, di 24 dei quali il GENUINO ci dà il nome. Essi sono: Acquarico, Burgagne, Turchiarolo, Terenzano, Trepuzzi, Squinzano, Campi, Santa Maria di Nove, Carmiano, Arnesano, Monteroni, San Cesario, Lequile, Caprarica, Castrì, Cavallino, Fasolo (detto anche Pasulo presso Borgagne), San Donato, Lizzanello, Pisignano, Vanse, Strudà , Seggina (Acaya) e Roca". I due casali mancanti sono Borgagne (Burbaneo) e Melendugno (Malandrino).

In questo periodo (inizio del XIV sec.), ai coniugi BONSECOLO-GUARINI, proprietari della prima quota della Terra di Caprarica, succede il figlio Guglielmo GUARINI il quale ottiene il riconoscimento dei piccoli feudi di Castro e Pollio (posti nelle vicinanze di Copertino) con privilegio del 1302.

Guglielmo, inoltre, è padre di tre figli: Olimpia che nel 1346 risulta aver preso i voti e dimorante nel monastero delle clarisse di Nardò [E. MAZZARELLA, "Nardò Sacra"), Alberto che è vescovo di Lecce nel 1350 ed Agostino che gli succederà ..

La trascrizione  XIV di un quinterno (A.S.N., Libro Rosso di Lecce, nà‚° LXII e pubblicato dal Guerrieri), del 1353, contenente nomi e cognomi dei feudatari della contea di Lecce e delle terre, dei casali e dei beni feudali che possiedono gli stessi baroni, redatto in Napoli il 5 dicembre 1353, riporta che metà del casale di Caprarica, metà Castrì e San Cesario sono di proprietà di Guglielmo GUARINO; egli, per questi suoi possedimenti, paga alla Regia Camera della Summaria 3 once (11).

La seconda quota di Caprarica che, dal tempo dei Normanni, è stata sempre in mano ai conti di Lecce, è di proprietà di Gualtieri VI di BRIENNE; egli ha, su questa Terra e su tutta la contea, come il padre, il controllo sopra le rendite (Apodixarius).

Gualtieri VI di BRIENNE è ricordato, ancora, perchè ha ricostruito Rocavecchia dopo la distruzione subita, per mano dei Saraceni, nel IX sec.

Il GALATEO nel suo lavoro, De situ Japigiae, a proposito di Roca, scrive che: "...Questo tornando dall'oriente, e percorrendo la strada da Otranto a Lecce, vide una città distrutta, di ampiezza di poco inferiore a quella che era stata l'antica Otranto. Come era caratteristico delle città greche, si vedeva abbastanza in alto il posto della rocca; da quella rocca fondò soltanto una piccola città che chiamò Rocca..... Gualtieri comandò che fosse abitata dal questore di Lecce. Quello cacciati via i coloni dalle città e dalle borgate, la trasformò in una città fortificata e vi costruì delle belle strade...".

La ricostruzione di Roccavecchia, sarà importantissima, verso la fine del XV sec. (come si vedrà ), per lo sviluppo storico, culturale, economico e sociale di Caprarica.

Mentre in Roca ferve l'opera di ricostruzione, sulla prima quota di Caprarica a Guglielmo succede il figlio Agostino il quale è padre di quattro figli: Antonio, Pasquale, Jacopello, che è barone di Torre Santa Susanna, Nicola che è barone di Ceriescio; sul feudo di Caprarica ad Agostino succederà il figlio Antonio.

9. La contea di Lecce passa ai D'ENGHIEN

Mentre Gualtiero VI di BRIENNE è di stanza in Grecia, al comando di una guarnigione militare, muore (1356); i suoi devoti luogotenenti e baroni leccesi, Ludovico MARAMONTE e Niccolò PRATO, inviano alla regina Giovanna lo scettro ducale del BRIENNE.

Gualtiero non ha lasciato eredi maschi, perciò la sorella Isabella (a quanto afferma il De Simone), che era già maritata fin dal 1320 con Giovanni III D'ENGHIEN, barone di Conversano, porta in dote a costui la contea di Lecce, dando così origine ad una nuova serie di conti.

Sulla contea si appuntano le mire dei feudatari favorevoli al pontefice Urbano VI ed al suo alleato Carlo III d'Angiò Durazzo; per questo, il figlio di Giovanni, Pietro D'ENGHIEN, nel 1376, torna dalla Francia e prende possesso della contea, accompagnato dal conte di Conversano, lo zio Luigi d'ENGHIEN e dal duca di Andria Francesco del BALZO, entrambi avversi ai d'ANGIO' DURAZZO e favorevoli alla regina di Napoli Giovanna I d'Angiò, collegata all'antipapa Clemente VII ed alla corte di Francia. Le sorti della contea dipendono ora da un più vasto giro politico.

In questo periodo, e precisamente nel 1369, il casale di Caprarica (considerando che, nel frattempo, Giovanni III D'ENGHIEN, sta riorganizzando la contea), ancora diviso in due quote, viene assegnato a due baroni:

la prima quota viene confermata al barone Agostino GUARINI, che già la possiede, per successione paterna;

la seconda quota, che, come già detto, fin dal tempo dei Normanni, è stata sempre gestita direttamente dai conti di Lecce, viene assegnata al barone Agostino CONDO'dal quale passa, poi, ai figli, Giovanni, prima, e Bernardo, poi.

Nella seconda metà del XIV secolo, sul feudo di Caprarica ad Agostino succede il figlio Antonio GUARINI, al quale dalla Regia Corte e dal conte di Lecce Giovanni D'ENGHIEN viene riconosciuto il possesso dei feudi - ereditati dalla famiglia - di San Cesario, Acquarica, Caprarica e Castro, una prima volta nel 1369 ed una seconda volta nel 1396 (L. A. MONTEFUSCO, Op. cit., pp. 114, 136).

Da Antonio nascono i figli Pasquale, che gli succederà , e Guglielmo.

Nel 1372, Giovanni D'ENGHIEN, dopo aver riorganizzato la contea di Lecce, a quanto afferma il DE SIMONE (Op. cit., p. 219), ordina ai suoi procuratori fiduciari, Leccisio PARDI e Tommaso CAMPANILE, di esigere, anche con mezzi coattivi, le somme dovute dai baroni, feudatari di Lecce, e dai numerosi casali della contea per la ristrutturazione dei fossati della città capoluogo, e per poter pagare gli operai che stimerà necessari il protomastro di Lecce.

Dai pagamenti il procuratore deve riscuotere apodixas debitas, che deve unirsi al rendiconto; deve, altresì, accordare uno stipendio che, esso LECCISIO, deve prelevare dalle tasse, le quali sono dovute dai casali di: Castrum Coriolani (Corigliano) uncias quatuordecin, casale Arnesani uncias quinque et mediam; casale Acquaricae uncias duas tarenos viginti sex et grana quinque; casale Apiliani uncias duas tarenos tres grana quindecim, casale Carmiani uncias quatuor tarenos septem grana decem. Casale Structe uncias duas tarenos XXVI grana V. Casale Craparice uncias undecim(11 oncie) tarenos septem [7 tarì (14) ] et grana decem (10 grana). Casale Campie uncias quindecim tarenos sex; casale Piscopii uncias duas tarenos octo grana quinque; seguono i casali di Tramacere, Nohe, Lizaneli, Mallianj, Sancti Donati, Turchiaruli, Montoroni, Lequile, Caballini. Complessivamente, i casali che devono pagare le tasse corrispondono a 18.

Il D'ENGHIEN avverte che la quota dovuta, dai predetti casali, dai baroni e dai feudatari designati, è divisa in tre parti: la prima deve essere pagata, improrogabilmente, entro il 15 luglio; la seconda parte deve essere pagata entro la fine del mese di agosto dello stesso anno (1372); l'ultima parte deve essere pagata, tassativamente, entro la fine del mese di ottobre, che corrisponde alla 11^ indizione.

Stando così le cose, i baroni Antonio GUARINI e Agostino CONDO' devono mettere tutto il loro impegno e quello dei fiduciari a riscuotere le tasse affinchè le due quote, in cui è divisa la Terra di Caprarica, possano assolvere degnamente all'incombenza, per il sostentamento delle opere da svolgersi nella capitale della contea.

Sul Cedularia Terrae Ydronti, fatto redigere dal febbraio 1377 fino al maggio 1378, si possono rilevare diversi aspetti della vita di questo territorio: a) il nome dei baroni proprietari dei vari feudi; b) la tassazione che si versa alla Cassa del Regno napoletano.

Questo Cedularia è importante perchè su di esso viene redatto un elenco dei Casali allora esistenti, che risultano essere in numero di 93 Università e fra, queste, compare anche Caprarica (non compaiono, per esempio, grossi attuali Comuni come Taurisano, Galatina, Melendugno, Sternatia, ecc., sicuramente per errore); si fa anche l'elenco di molte Università che sono scomparse.

10. Il casato della famiglia CONDO'

Come detto, dunque, il casato baronale dei CONDO' prende possesso della seconda quota della Terra di Caprarica nel 1369. Questa quota era stata, fin dal tempo dei Normanni, una terra, per così dire, franca, perciò si trova a fare i conti, per la prima volta, con una gestione diretta baronale.

Si deve dire, per inquadrare il casato, che questa dei CONDO', a quanto afferma il FOSCARINI (Op. cit., pp. 51-52), è una nobile famiglia che viene, nelle nostre contrade, da Parigi e fa parte della schiatta dei conti di Ville Conteblas.

Agostino è il primo, di questo casato, a venire in Terra d'Otranto al seguito di Gualtiero VI di BRIENNE e, fermatosi in Lecce, viene aggregato con i suoi discendenti a questo patriziato.

Ha posseduto, questa famiglia, metà del casale di Castrì e metà di quello di Caprarica di Lecce ed Acquarica di Lecce (1369) e la maggior parte di quello di San Cesario.

Oltre al capostipite Agostino, hanno retto il feudo di Caprarica i figli Giovanni e Bernardo.

Bernardo, oltre ad essere signore di Caprarica, possiede anche i casali di San Donato e Trepuzzi col feudo di Terenzano; così risulta sul Libro Rosso della Città di Lecce (A.S.L., Doc. nà‚° XIV pp. 169-178): "...dominus Bernardus de Condo miles qui tenet et possidet de feudo antiquo casalia di San Donato, Terenzano et Trepuzze... - il barone Bernardo De CONDO', cavaliere, il quale possiede e detiene, da molto tempo, i casali di San Donato, Terenzano e Trepuzzi...". Non si può, però, comprendere la ragione, per cui il casale di Trepuzzi col feudo di Terenzano passa in alieno dominio, fin quando non ritorna in Casa CONDO', per averlo Alessandro CORCIOLO venduto, nel 1602, a Gio. Batta CONDO' per ducati 41.260.

Sopra Trepuzzi, poi, Marino CONDO', con diploma 18/07/1653, ha il titolo di marchese.

La famiglia CONDO' si estingue nel XVIII sec. con una figlia del predetto Marino, marchese di Trepuzzi, moglie di un ACQUAVIVA.

Questo casato si è imparentato non solo con gli ACQUAVIVA, ma coi RICCIO, DELLI FALCONI, MATTHEI, RADULOVICH, CASTRIOTA, GUARINI, SANGIORGIO, DE MURO, PETRAROLO, BOZZICORSO, SARACENO e DE GENNARO.

Andriolo, dottore di leggi (1466), Giovanni (1570) e Gaspare (1568) divengono Sindaci di Lecce.

L'ARMA DEL CASATO: Una testa di pavone ed una rosa.

11. Importanza del barone di Caprarica Pasquale GUARINI alla fine del XIV secolo

Il 1376 è, anche, l'anno in cui la Regina di Napoli, Giovanna I, aggrega la contea di Nardò al Principato di Taranto (che ha ereditato dal suo secondo marito Luigi d'Angiò, figlio di Filippo), che dona ad Ottone di Brunswich, suo quarto marito; il Principato di Taranto la regina Giovanna toglie a Giacomo del Balzo (figlio di Francesco e Margherita d'Angiò [figlia di Filippo]), dichiarandolo ribelle.

Sulla contea di Lecce, intanto, ha messo gli occhi il granduca D'Andria Francesco DEL BALZO, vecchio amico di Giovanni D'ENGHIEN, il quale, aiutato dall'inglese Giovanni Hawkwood o Montague, vuole annettere ai suoi domini la contea di Lecce ed il Principato di Taranto; a tal fine, dichiara guerra a Pirro D'ENGHIEN, pensando di farne un sol boccone, ma i bretoni e le forze del granduca non riescono a venire a capo del conflitto, anzi, presso Tafagnano (posto tra Merine e San Cataldo), subiscono una sonora sconfitta da parte del barone leccese MARAMONTE, fedele a Maria.

Il granduca cerca, in tutti i modi, di insidiare la giovane Maria ma ella si dimostra ferma, cosicchè il DEL BALZO invia il vescovo di Andria a far da tramite ma, anche in questo caso, senza successo.

Maria D'ENGHIEN, per trattare la questione di un eventuale matrimonio, si affida nelle mani dei suoi tutori, uomini degni della massima fiducia, che sono il barone di Segine, Giovanni DELL'ACAYA (cugino di Maria, in quanto il nonno Luigi I aveva sposato Caterina, figlia di Ludovico D'ENGHIEN, fratello di Giovanni III, padre della detta Maria) ed il barone di Caprarica, Pasquale GUARINI.

Pasquale, come già detto, è figlio del barone della Terra di Caprarica, Antonio, il quale è padre, oltre che di Pasquale, suo successore, anche di Guglielmo.

Pasquale sposa Aurelia DE CASTELLI, figlia del signore di Castagneta ed Acquarica, dalla quale nascono tre figli: Antonello, che gli succederà , Luigi, Gio. Battista, capostipite dei baroni di Loseto, Erchie, Cerasole; Agostino che, sposando nel 1420 Andronica di Giorgio PALEOLOGO, diviene conte di Valona e barone di molti altri feudi.

A quest'ultimo, Agostino, viene concesso, nel 1419, dalla contessa di Lecce Maria D'ENGHIEN, il piccolo feudo di Tufano, posto nelle pertinenze di Tricase (v. MONTEFUSCO, Op. cit., p. 542); egli acquista, altresì, da Giovannatonio ORSINI DEL BALZO, conte di Lecce, dopo la morte della propria madre, la regina Maria D'ENGHIEN, anche il feudo di Surano, in data 24/03/1447, con atto rogato per notar Nicola IUTICATA di Taranto, per 116 once e 20 tarì, ed inaugura, in questo modo, un suo ramo feudale nel basso Salento (v. MONTEFUSCO, Op. cit., p. 506).

Pasquale GUARINI sarà , come si vedrà , molto importante, non solo come valido e saggio barone di Caprarica ma, soprattutto, come valido alleato e consigliere assennato della futura contessa di Lecce e regina di Napoli, Maria d'ENGHIEN.

12. Il casato della famiglia GUARINI

Il casato dei GUARINI è un'antica e nobile famiglia, originaria, secondo alcuni, della Normandia e detta un tempo anche Guaragno; di essa si ha memoria, in Terra d'Otranto, sin dal secolo XII.

Lo Spreti, nel suo lavoro (Enciclopedia storico-nobiliare ecc., vol. III, p.605), afferma che il casato dei GUARINI è una famiglia di antiche origini, feudataria sin dai primi tempi della monarchia.

Si fa conoscere, soprattutto, per le imprese militari in Terra Santa sotto i principi Tancredi e Boemondo coi militi RUGGIERO, GABRIELE e ROBERTO.

Secondo il FOSCARINI (Op. cit., pp. 110-112), il suo primo possedimento, in Puglia, è Brindisi, donde, nel secolo XIV, passa in Lecce, alla cui nobiltà è aggregata; ma vive anche in altri luoghi, per i molti feudi che possiede.

Francescantonio DE GIORGI (in "Famiglie nobili leccesi", pp. 25-27), sulla base di una precedente nota di Scipione AMMIRATO, nel 1625 afferma che questa famiglia "Trovasi d'essa da tempi del re Guglielmo il Buono, bella ed onorata memoria, come si legge in una iscrizione dell'anno 1173 da Pietro GALATINO. Ella non è men riguardevole per buone lettere, avendo a tempi dè nostri avi avuto Vincenzo ABBATE di Censola grato filosofo e matematico, che per occasioni così di pace, come di guerra, e per quello trovo nelle scritture del Regio Archivio molti di questa casa in guisa tale servizio i loro Re, che da quelli meritarono molti onori e favori, ed ebbero in dono alcuni feudi di molte ricche rendite; come Pascali GUARINI, il quale fu molto caro al Re Carlo Ià‚°, ed il Re Carlo IIà‚°, e chiamato Protontino di Brindisi. Fu Capitano d'uno Galeone, e di due Galere, e fu da essi Re in molte faccende d'onore, di confidenza, e di guerra impiegato; Giovanni e Bernardo GUARINI servendo il Re Carlo IIà‚° furono l'anno 1292 in Calauria in un fatto d'armi fatti prigionieri e Giovanni l'anno 1300 ebbe ottanta once annue sopra li beni feudali del Conte di Lecce Ugo di Brenna, l'istesso Giovanni Bernardo l'anno 1308 ebbero per ciascun anno, vita loro durante 24 oncie. Giannotto talora chiamato Giovanni acquistò molto della grazia del Re Roberto, e perciò fu da lui creato suo Ciamberlano, e Familiare, ed ottenne in dono in più volte 80 oncie l'entrada l'anno, e nel 1328 il feudo detto di Giovanni di Casamassima. Per scrittura dell'anno 1399 vedesi a Colella (Nicola) per dato dal Re Ladislao la terra della Torre di Santa Susanna, e per scrittura dell'anno 1419 a Pasquale GUARINI Cavaliere dalla Regina Giovanna 2^ esser concesso per li suoi serviggi che li suoi casali di San Cesario, di Caprarica, e di Castrì siano aggraziati delle collette e pagamenti fiscali ed in detta scrittura vien chiamato vir nobilis ed olim familiari Principessa Donna Regina Maria. Ma a tempi dè Re austriaci vedesi la singolar fede e valore di Rosso. Costui in una zuffa non lungi da Racale attaccata fra 400 Turchi ed alcun numero di cavalli uniti vedendo a Ferrante GOFFREDO, marchese di Trevico, e vicerè d'ambo le Provincie di Terra d'Otranto e di Bari essersi ferito il cavallo sotto e venirgli meno, egli smontando dal suo, il rimise a cavallo. La possessione de feudi in questa Casa non si estende oltre l'anno 1302, ma però sempre continuata, e non interrotta giammai in fino ai dì nostri, ed oltre esservi stato la Torre di Santa Susanna, Castrì, Massanello, Castrignano, San Cassiano, Ortella, Lequile con feudi Fuione, Gualasciano, San Giovanni, l'ambe Caprariche, Colopazzo, Novoli, Moltone, La Sanella, ed altre castella e feudi. Possedono di presente San Cesario il Buggiardo, la città di Alessano, Castrignano del Capo, Salignano, l'una e l'altra Acquarica, Surano, una parte di San Dana, di Vernole e di Pato, e li feudi di Specchia, di Cerivizzo, di Ceriescio, e di Nicoletta è stata adornata di molti Cavalieri, e congiunta di molti carichi militari di molta auttorità , ed anche d'uffici nobili, ed altre preminenze. Due volte vi è stato il Vescovato di Lecce, l'una in persona di Pietro, l'anno 1183, e l'altro d'Alberto l'anno 1350, e di certo ave avuto il Vescovato di Tricarico, e d'Aquino, nè li son mancate ricchezze, onori, dignità , e nobiltà di parentadi, ed in particolare con la famiglia CARRAFA, e d'AQUINO, onde viene riputata nobile, e potente al pari di qualunque altra famiglia di Lecce.

Postilla

Ebbe ancora a tempo dè nostri avi Ludovico barone di Acquarica Litii, il quale compose molte dotte poesie sì latine come volgari. Dell'anno 1335 leggesi Ugoessere barone e ciamberlano e familiare de Re Nostro e vedesi ancora Colella.

Aggiunta di Don Ermenegildo PERSONE'

E' qui d'avvertire che Scipione AMMIRATO nella famiglia di San Giorgio dice solamente che i GUARINI fossero in Lecce venuti da Brindisi senza far motto se di quella Città fossero originari, e ivi altronde venuti. E siccome l'opinione che da Francia venuti fossero in quella Città non è da alcuno antico scrittore riferita, su autentiche scritture vi fossero che lo attestino, io lo stimo del tutto.".

Un ramo passa in Sicilia, con Tiburzio, nel 1519, e si stabilisce a Sutera, godendovi nobiltà ; un altro ramo passa in Napoli con Saverio di Ottaviano nel sec. XVIII.

E', inoltre, decorata del cavalierato di Malta, fregiata del titolo comitale sul cognome in persona di Nicolò e Federico GUARINI; e con RR. Lettere patenti di S.M. UMBERTO I del 01/03/1896, è riconosciuto spettare a Francesco Antonio GUARINI nato in Lecce il 07/02/1828, il titolo di marchese di Martignano, trasmissibile ai suoi eredi e successori secondo il diritto napoletano; titolo che apparteneva alla famiglia PALMIERI.

Ha posseduto, questa Casa, i feudi di: Cicinizio (XIV), Nicoletta (1463), Mollone (che Giovan Paolo di Gabriele GUARINI compra da Tommaso MONTEFUSCOLI per once 100 con istrumento 23/04/1485 per notar Gabriele DE CAPO di Tricase), Ortelle (presso Castro); Quattromacine (presso Palmarigi) e La Maura, anticamente detta la parte di Baste, tra i feudi di Vaste, Poggiardo e Specchia di Minervino (tutti e tre da Falco delli FALCONI da Nardò venduti a Giulio Cesare di Ottaviano GUARINI, per ducati 8300 di carlini(12), con istrumento 18/06/1592 per notar Lucrezio PERRONE di Lecce); Gnico, Casanello, Cerasole, Palombaro, Pisanello, Vermigliano o Sant'Elia, Ceriescio (che Orazio GUARINI del fu Giovan Battista compra, con istrumento 12/08/1606 per notar Cesare PANDOLFO di Lecce); Tamanzano o Tramontone (che il detto Orazio compra da Nicolò BACCONE, per ducati(13) 4700 di carlini, con istrumento 18/03/1617 e ratifica 24/07/ stesso anno per notar Francesco Antonio PALMA di Lecce); Specchia Mezzana, Specchia di Acaya, Specchiarosa e Galesano (quota parte, in territorio di Mesagne, che poi, nel 1516, Girolamo GUARINI vende a Teodoro MUSCIACCHI); nonchè, i casali di Sarano, Acquarica del Capo, San Cesario (per il matrimonio nel 1302, di Francesca fu Guglielmo BONSECOLO con Pasquale GUARINO), Caprarica di Lecce e metà di quello di Castro, poi Castrì-Guarino, (posseduti, nel 1353, da Guglielmo GUARINO, ed il primo tolto a Vincenzo GUARINO ribelle, e da Carlo V donato nel 1533 a Barnaba ADORNO, e poi confermato dalla Regina Giovanna II a Pasquale GUARINO con diploma 06/06/1419); Torre santa Susanna (concesso nel 1398 a Cobella GUARINO), Specchia e Nociglia (secolo XIV), Novole, di cui, nel 1423, è padrone Antonello GUARINO), Acquarica di Lecce, Lequile e San Cassiano tutti e tre concessi da Maria d'ENGHIEN ad Agostino GUARINO nel 1463); Marzianello (quota parte nel 1463), Diso, Spongano, Casamassima, Maglie e Vaste (dei quali fa acquisto, nel 1527, Fabrizio GUARINO di Antonio); Poggiardo (che, riteniamo, Laura di Galieno DELLA MONICA porta in dote, intorno al 1545, al primo marito Emilio di Marco Antonio GUARINI e, dopo, al secondo marito Ottaviano GUARINI; alcuni sostengono, invece, che il feudo viene concesso, nel 1463, da Maria d'ENGHIEN ad Agostino GUARINI, e su di esso Giovan Battista del dott. Carlo ha il titolo di Duca con diploma di Carlo II d'Austria firmato in Madrid il 03/02/1698); Patù, Castrignano e Alessano (tutti e tre venduti, nel 1610, da Ettore BRAYDA a Fabrizio GUARINI, e sul quale ultimo è concesso a Laura GUARINI di Emilio il titolo ducale con privilegio di Filippo IV del 1635); Ruggiano (che Ferrante GUARINI da Napoli compra, per ducati 4500 di moneta d'argento, da Angelo DE BLASI fu Vito, con istrumento 02/03/1663 per notar Giovan Francesco GUSTAPANE di Lecce); Salignano, Tuglie, Gagliano, Vernole (metà ), Taurisano, Monteroni, Minervino, Collepasso e la città di Oria.

La famiglia GUARINI si è imparentata, fra le altre, con le seguenti Case: Delli Falconi, Giorgio, Verardi, Margiotta, Paleologo, Guidano, Scaglione, Di Capua, De Noha, Prato, Della Monica, Lubelli, Paladini, Prioli, Maresgallo, D'Ayello, Saraceno, Ventura, Maremonti, Rondachi, Trani, Ayerbo, D'Aragona, Gallone, Belli, Ghezzi, Castriota, Granafei, De Lesma, De Marco, Rendina, Vernazza, Frisari, Palmieri, Bozzicolonna, Carafa, Angrisani, Personè, Palumbi, Zevallos, Serafini, Massa, San Giorgio, Tomasino, Di Persona, Alemanno, Tafuro, Coniger, Condò, Cicala, Palagano, Rollo, Montefuscoli, Francone, Cattaneo, De Mari, Castelli, Di Luco, Fogetta, Bonsecolo, Castromediano, Della Ratta, Ruggiero, Mettola, Perrone, Di Costanzo, Sambiasi, Dello Duce e Tresca.

E' stato dei GUARINI quel notevole edificio, poi, Lubelli, alla Corte Lubelli; e quel grandioso palazzo appartenente un tempo ai conti di Lecce, e poi da Maria d'ENGHIEN venduto ai GUARINI nel 1435, sito nella strada del Mignano longo, o, come si chiamava, intorno al 1927, via del palazzo dei conti di Lecce, e frazionato in quattro distinte case, cioè quella dei VADACCA, poi PENZINI ed oggi PREITE , quella dei PANAREO, poi D'ARPE,, quella dei LECCISO, poi BRUNI,  quella dei GRANAFEI, poi PELLEGRINO. Inoltre la famiglia GUARINI ha avuto diverse cappelle gentilizie in Lecce, nella Cattedrale e nella chiesa di San Francesco d'Assisi.

Pietro è vescovo di Lecce nel 1180.

Pasquale, da Brindisi, è protontino(15) di detta città nel 1272.

Guglielmo è maestro giurato e camerlengo(16) in Brindisi nel 1305.

Roberto è vescovo di Lecce nel 1350.

Agostino è consigliere di Maria d'ENGHIEN.

Vincenzo è abate mitrato di Centola, cameriere di Sisto V, papa; vicario apostolico a Guastalla, reputato filosofo, teologo, poeta e revisore della Biblioteca vaticana.

Giovan Pietro è da re Alfonso fatto cavaliere nel 1452, per esservi valorosamente comportato nella giostra tenuta in presenza dell'Imperatore Federico III, dell'imperatrice, di Ladislao re d'Ungheria e di altri.

Donato, dottore in legge, è professore di giurisprudenza nell'Università di Padova, ed a lui succede, nel 1532, Donato MANCARELLA.

Giovanni Maria, barone di Acquarica e Vernole, è governatore di Gallipoli e di Otranto.

Ludovico, figlio del precedente, è eccellente cosmografo e poeta latino, ha scritto un libro sulla "Storia di Lecce".

Giovanni Francesco, anche dottore in legge, è razionale della Regia Camera, e, nel 1555, decurione(17) della città di Napoli. Ha il suo sepolcro, da lui fatto costruire nel 1563, in Santa Maria delle Grazie Maggiore a Capo Napoli.

Giovanni Battista, o, come altri dicono, Giovanni Luigi, pure dottore in legge, è insigne predicatore, Rettore della chiesa parrocchiale di San Benedetto a Regola, ed eletto vescovo di Aquino il 3 marzo 1579, muore in novembre dello stesso anno.

Giovanni Maria, Giovanni Antonio, Ferrante e Pomponio sono valorosi Capitani vissuti tra la prima metà del secolo XVI e la prima del seguente.

Vincenzo (1524-1525), Giovanni Maria (1529-1530), Ludovico (1545-1546), Paduano (1573-1574), Selvaggio (1575-1576), Giovan Pietro (1618-19; 1624-25; 1632-33 e 1636-37), Orazio (1626-27), Carlo (1649-50), Giovanni Battista (1659-60; 1667-68), Orazio (1697-98), Domenico M.a (1747-48) e Giovanni Battista (1854- 1 giugno 1858), sono Sindaci di Lecce.

Giuseppe Maria è del Governo dei Sei, per il ceto nobile, nel 1784.

Questa famiglia è ricevuta nell'ordine di Malta dal 1596 e, nel 1823, nel Costantiniano. La famiglia è iscritta nel Libro d'Oro della Nobiltà Italiana e nell'Elenco Ufficiale dei Nobili d'Italia.

L'ARMA DEL CASATO: D'azzurro alla banda d'oro con lambelle di cinque pendenti di rosso attraversante.

13. La contea di Lecce al tempo della regina Maria d'Enghien (18) e il barone Pasquale GUARINI.

Nel lasso di tempo che vede protagonista sul feudo di Caprarica, Pasquale GUARINI, la contea di Lecce ha un periodo storico molto travagliato.

Come si è detto, il re di Napoli Roberto d'Angiò muore nel 1343, a lui succede Giovanna I (1327-1382), sotto il cui regno scoppiano molti dissidi.

Anche il papato ha una vita molto turbolenta; è il periodo in cui avviene la famosa "cattività Avignonese". Papa Clemente VII cerca di conquistare Roma con le armi ma Urbano VI, a Marino, nei pressi dei colli Albani, vince Clemente VII, il quale è costretto a fuggire ad Avignone.

Urbano VI scomunica la regina Giovanna I di Napoli, a causa dei suoi continui matrimoni (quattro), per cui la dichiara decaduta dal regno; al suo posto, papa Urbano, invita Carlo di Durazzo, il quale dall'Ungheria si precipita, a prendere possesso del regno, per cui scoppiano nuove guerre e nuovi tumulti.

Le casate regali e quelle baronali si combattono tra loro; numerose sono le morti violente. L'Angioino Luigi II combatte contro Ladislao Durazzo, figlio di Carlo. Alla fine, il Durazzo la spunta sull'angioino e il papa Bonifacio IX (Tomacelli di Casaranello) è felice, nel 1390, di nominare Ladislao Durazzo re di Napoli anche perchè, detto re, non ha mai sostenuto gli antipapi.

In questo contesto, Maria D'ENGHIEN ha una proposta di matrimonio da Francesco duca D'ANDRIA il quale, però, anche se è un prode guerriero, è molto avanti negli anni tanto da potergli essere quasi padre.

Il duca è molto esperto della vita ed abituato a non subire rifiuti; è venuto a Lecce per conquistare, anche con l'inganno, la giovane Maria, tanto amata dai leccesi; e la città ha messo alla porta, anche se è costato molto sangue, il duca D'ANDRIA ed i suoi 6000 mercenari.

Gran merito per aver avuto molto acume diplomatico e salvato la "nostra Maria", dalle grinfie del duca D'ANDRIA, è del degnissimo cavaliere Pasquale GUARINI, barone di Caprarica, di parte di San Cesario e di Castrì, il quale è familiaris della contessa [A.S.N, 1415, 85 a t.].

Maria d'ENGHIEN non è certo destinata a rimanere nubile, e lo stesso cavaliere Pasquale GUARINI intraprende delle trattative private per darla in moglie a re Luigi D'ANGIO'.

In un primo tempo, come dice il BRIGGS (Op. cit., p. 147), sembra che il cavaliere GUARINI ha trovato un degno partito ma, tuttavia, Maria, donna molto saggia, attende ancora, andando controcorrente rispetto alle principesse e alla forma mentis del suo tempo.

Lecce, durante questa attesa di Maria, comincia a rumoreggiare perchè vuole il suo conte, cosicchè decide di scegliere, tra tanti, Raimondello DEL BALZO-ORSINI. Raimondello ORSINI DEL BALZO, figlio di Roberto, conte di Nola, ha l'obbligo di aggiungere il cognome Del Balzo perchè i feudi sono stati ereditati, dal nonno Niccolò da suo zio Ugo Del Balzo, il quale è morto senza avere figli.

Raimondello, poco prima del 1382, si è impossessato della contea di Soleto con la forza delle armi; viene poi inviato contro Pietro d'ENGHIEN e contro lo zio Luigi d'ENGHIEN, conte di Conversano, e sconfigge entrambi; di ritorno da una guerra in oriente, aiuta la regina Giovanna I nelle sue lotte intestine, per cui dalla stessa riceve i feudi di Terra d'Otranto.

Raimondello Del Balzo-Orsini, per questi suoi meriti, sposa, nel 1385, la contessa di Lecce Maria d'Enghien.

Dal loro matrimonio nascono quattro figli: Giovan Antonio che sposa Anna Colonna, dalla quale non ha figli e muore di morte violenta il 15/11/1463; Caterina che sposa, nel 1419, Tristano Chiaromonte; Gabriele che è principe di Venosa e sposa Giovannella di Sergianni Caracciolo, da cui ha diversi figli e muore nel 1453; Maria che sposa Anton Giulio ACQUAVIVA, duca d'Atri (che è colui il quale difende Roca, Otranto ed il Salento nella sanguinosa guerra del 1480 contro i Turchi di Acmet Pascià , qui mandati dal sultano Maometto II); come è, poi, risaputo l'ACQUAVIVA viene decapitato nei pressi di Sternatia.

L'ORSINI-DEL BALZO viene nominato, così, governatore-feudatario di Terra d'Otranto, con diploma 22/8/1391 di re Ladislao; egli beneficia dell'immunità di molte tasse dei suoi casali ed elargisce molti privilegi agli abitanti delle sue contee.

Raimondello, nel 1402, istituisce il "concistorium principis" in Terra d'Otranto, magistratura che ha giurisdizione su tutti i suoi casali. Il "concistorium" rappresenta il Tribunale supremo di appello di tutte le minori giurisdizioni, e concede anche le Udienze locali ai feudi ritenuti più importanti. In questo stato di cose, avviene che casali, castelli e terre, sulla spinta data dai rispettivi baroni, organizzano l'Università (Comune) con propri uffici e propri consigli, distaccandosi dalla città (urbs per antonomasia) di Lecce, capitale della contea.

Per questo motivo, avvengono numerose infeudazioni e sub-infeudazioni; tra i baroni, si può dire che avviene una vera e propria corsa per accaparrarsi i vari ricchi feudi.

Sorgono, anche, nuove concessioni e giurisdizioni civili e criminali in quasi tutti i casali e nuove Università , le quali hanno la protezione dei loro baroni.

La contea di Lecce, in questo periodo, per quanto riguarda le varie classi sociali, è così suddivisa: i "Nobili viventi o boni homini" (baroni), i quali oltre alla ricchezza ed al lusso portano con loro l'arroganza ed i vizi; la borghesia, formata dagli "Homines viventes de proprio" (dottori in legge, in Medicina, farmacisti, speziali e notai) e la terza classe dei "...qui vendunt pubblice in apothecis merces, commestibilia et qui exercent artes fabriles et meccanicas..." (negozianti ed artieri), formatasi in seguito ai contrasti ed agli attriti determinatisi nella borghesia.

In questo periodo si vanno formando nella contea anche le corporazioni e le fratellanze (o congregazioni religiose) che sono tutte di estrazione laicale.

I baroni del casato dei GUARINI, nel periodo in cui la regina Maria stabilisce i suoi banni, fanno parte della prima categoria, cioè, di quella categoria detta dei baroni o dei "Vassi", vassalli-gentiluomini; essi giudicano, dalle loro case, in Lecce, i piati (contenziosi) dei loro valvassini.

Nelle scritture dell'anno 1419 risulta che a Pasquale GUARINI, Cavaliere, dalla Regina Giovanna 2^, è concesso, per li suoi serviggi, che i suoi casali di San Cesario, Caprarica e Castrì siano aggraziati dalle collette e pagamenti fiscali ed in detta scrittura vien chiamato vir nobilis ed olim familiari Principessa Donna Regina Maria.

Nel 1435, la regina Maria vende la sua grande casa in Lecce, detta "Il palazzo dei Conti di Lecce", alla potente famiglia del suo familiare Pasquale GUARINI che, in seguito, la divide in tre parti col proposito di venderla.

Un decreto reale sanziona l'apertura di una strada attraverso questa proprietà detta "la strada nuova". Il palazzo, perciò, occupa il sito dove sorgono ora tre case.

I GUARINI comprano questa grande casa, perchè hanno l'obbligo (che gli è stato già imposto fin dai tempi del re angioino Carlo II) di spostarsi dalla sede del proprio casale, Caprarica, in alcuni periodi dell'anno in Lecce; ma, in effetti, più che un obbligo, per i GUARINI è un "privilegio" tenere banco di giustizia, in Lecce, per tutte le cause che possono insorgere tra i loro vassalli.

Che il barone sia l'arbiter della situazione in tutte le Università e, dunque, anche in Caprarica, si evince dal fatto che egli delibera e nomina, quando gli pare, le persone che gli aggradano a ricoprire le pubbliche cariche cittadine; per cui si può sintetizzare dicendo che la volontà del barone è legge.

Un manoscritto che parla "dell'Apprezzo della terra di Acaya" (che si trova presso l'A.S.L. in "Scritture delle Università "), sintetizza la forma-mentis baronale che vige in tutte le Università . Si legge testualmente: "...Il governo di detta terra è tenuto da un Sindico e da due uditori, quali si eligono dall'Università nel mese di agosto, cioè si nominano due persone per Sindaci, e quattro per Auditori, quale nomina s'invia al Barone, il quale di detta nomina ne elige uno per Sindico, et due per Auditori, chi però li pare, et piace, escludendo l'altri, et detto governo dura un anno...".

Quindi, dal XIV sec. in poi, le figure giuridiche ed i servizi che i cittadini, designati, svolgono sono all'incirca questi: il Sindaco di Caprarica e gli Eletti vengono incaricati dell'esecuzione materiale delle leggi, riscuotono le tasse per conto dell'Università e per conto della Regia Corte; vengono nominati, inoltre, i funzionari del censimento che rappresentano l'Università stessa nei vari contenziosi.

Il Cancelliere compila gli atti e custodisce i brogliacci (che non sono quelli dello stato civile istituiti con le leggi napoleoniche del 1809).

Vi è, poi, il Capitano o Governatore, sempre nominato dal feudatario, il quale svolge le funzioni di Ufficiale di polizia e di Magistrato; questo, alzando ed impugnando la verga, simbolo del comando e del potere (ricevuto), amministra la giustizia. Il Capitano viene aiutato da due soldati a cavallo e a piedi.

Il Capitano, ancora, assolve al compito di pubblicare i cosiddetti Bandi Pretori.

Vi è, poi, il Catasto detto Fuocatico il quale enumera i nuclei familiari di ogni Università del Regno di Napoli, e, come dice il TRINCHERA, di ogni famiglia vengono annotate le "...possidenze, aggravi e disgravi di fuochi per individui defunti o passati ad abitare altrove...".

Alla morte di Raimondello, avvenuta il 10/1/1406, succede - sulle sue terre - la moglie Maria d'Enghien, donna molto energica e di grande carisma.

Re Ladislao d'Angiò-Durazzo cerca, in tutti i modi, di togliere a Maria le ricche terre della contea di Lecce e del Principato di Taranto, e, nella guerra che segue negli anni 1405 - 1406, avvengono molti scontri. Famoso è il duello tra Ludovico Maremonti, barone leccese, che parteggia per la contessa, con Sergianni Caracciolo, seguace di Ladislao.

Il barone Lorenzo Drimi (o Indrimi) cerca in tutti i modi di portare dei soccorsi a Maria; perciò, conduce da Oria a Taranto, 500 cavalli circa.

Nell'assedio del mese di aprile 1407, re Ladislao cerca di sfondare la resistenza della contessa, asserragliata nelle mura di Taranto; il re l'assedia sia per mare che per terra, usa anche le bombarde ma non riesce mai a concludere a suo favore, cosicchè, per risolvere la questione, sposa Maria d'Enghien nel 1407 ("...tractatum fuit matrimonium inter ipsum regem et dominam Principissam, et fuerunt elevatae banderiae Regis, et intravit sub pallio Rex in hospitium Marini De Falconibus; et in Castro fuit matrimonium confirmatuum per verba de presenti... - fu concordato un trattato matrimoniale tra re Ladislao e la Principessa Maria, gli abitanti accolsero il re con giubilo e bandiere sventolanti, (il re) entrò in Taranto in pompa Magna ed andò nella casa del barone Marino Delli Falconi; e nel castello fu firmato il contratto matrimoniale tra il giubilo dei baroni presenti...") .

La nuova regina viene accolta in Napoli con grande calore e questo evento resta scolpito nella memoria dei suoi abitanti, tanto che, lo storico De Blasiis ci fa sapere che la regina entra nella capitale del regno "...col pallio sopra la testa con tutta Napoli da cavallo et de pede et tutti li Seggi et le piazze...".

Maria d'Enghien è una donna di alta statura morale e politica ed anche se è costretta a stare a Napoli non si dimentica mai della contea di Lecce. Ella dimostra il suo valore, soprattutto alla morte di re Ladislao, avvenuta nel 1414.

Maria d'Enghien fa rifiorire, in questo periodo, la contea di Lecce, dandole un rinnovato sviluppo economico, come ai tempi di re Tancredi; è dotata di un carisma così alto che i leccesi la chiamano familiarmente "la nostra Maria".

La regina, per regolamentare la vita della città di Lecce, come Università , e di tutta la contea, nei suoi aspetti sia etnici, che economici che di sicurezza interna ed esterna, emana gli "Statuta et capitula florentissimae civitatis Licii".

Quel codice è sicuramente l'unico documento reale, scritto nei primi anni del XV secolo, da cui si evince un linguaggio che sembra molto vicino al nostro attuale dialetto.

Attraverso questi Banni e Capituli, si vuole, tra le numerosissime cose ... che non si bestemmi, che non si portino armi senza licenza, non si incendino le ristoppie prima della metà di Agosto "...item che nulla persona ausa mectere focho da fore la cita de leze sopra lo tenimento de la dicta cita, et de suoi casali, et del suo contado avanti la festa di Sancta Maria di mezo augusto, et chi nde fara lo contrario cadera alla pena de unce quactro applicanda alla corte del capitanio...".

Fissa delle taglie in denaro per ammazzare i lupi e crea - per così dire - un grande bacino di utenza in tutta la contea di Lecce, nei casali di " ...trepuze, sancto pietro vernotico, turchiarulo, campie, sancta maria di nove, carmiano et malliano, acquarica, pisignano, arnesano, munturoni, lequile, sancto cesario, sancto donato, galugniano, vernule, hance (Vanze), malandugno, Creparica, castri, caballino, lizanello, merine, struta, segine (nunc Achaya), e martigniano...", per raccogliere il danaro da pagarsi agli uccisori dei lupi. Questa tassa - con inclusi altri dazi - diviene fissa, tanto che i detti casali sono obbligati a pagarla in perpetuo.

La diffusione dei lupi e dei cani è così grande in Lecce e nella contea che M. S. BRIGGS, nella sua "Storia di Lecce", afferma che "...numerosi sono i bambini nati fuori del matrimonio e che vengono abbandonati sulla pubblica via o vicino alle chiese, spesso questi sfortunati infanti sono cibo per cani...".

Chi contravviene ai bandi della Regina Maria viene punito con pena pecuniaria o ad arbitrio del Capitano: "...oy alla pena della frusta cum li fructi in canna (appesi al collo) chi non havera da pagareli...".

Nel 1419, Maria d'Enghien allarga i confini dei suoi possedimenti acquistando il Principato di Taranto da Giacomo di BORBONE, marito della Regina Giovanna, per la somma di 20.000 ducati. In verità , questo Principato era già stato suo, ai tempi dell'ORSINI, ma ne era stata, poi, privata all'epoca del suo imprigionamento. Per questo motivo, Caprarica, come gli altri casali, fanno parte della contea di Lecce e del Principato di Taranto.

Nel mese di marzo del 1429, come si legge in un diario gallipolino di Lucio CARDAMI, avviene, però, una pestilenza che spoglia non poco, dei suoi abitanti, tutti i casali del Salento. Nel testo si legge: "Anno 1429, settima indizione, foe quisto anno multo doloruso ad la provincia de Terra d'Otranto per lo male della peste che feci morire e la cetate de Otranto, Castro, Lecce, Gallipoli, Neurio, Alexano et in altri lochi, che fo no terrore, et se Dio non ce leberava presto omne uno saria morto per la gravezza de lo male, che in una o tre ore facia morire. Cumenzao dicto male ne lo mese de marzo, et durao per fino a settembre, caminando de no loco ed altro, et muriano puro li animali".

Anche Caprarica vede la sua popolazione diminuire paurosamente, ma sarà per un breve periodo, perchè, come si vedrà , verso la fine dello stesso secolo XV ci sarà , per questo casale, un grande aumento demografico.

Maria d'Enghien deve attutire anche le ire e le gelosie che man mano si vanno coagulando; una di queste gelosie è tramata dall'intraprendente Giovanna II (futura regina di Napoli), la quale cerca in tutti i modi di indebolire il potere ed il carisma di Maria e, per far questo, invia nel 1434 il capitano di ventura Giacomo CALDORA (il quale, come soldato di ventura, parteggia un pò per l'angioino, un pò per l'aragonese) ad occupare i suoi possedimenti, il quale dopo aver occupato molte terre di Terra d'Otranto alla fine si ritira.

Ecco cosa scrive il GALATEO, nel suo "De situ Japigiae, pag. 74" a proposito di questo conflitto: "...Ioanna ingentem exercitum duce Iacobo Caldora contra Ioannem Antonium et Mariam eius matrem misit, Salentinos campos omnes igne ferroque vastavit... - Giovanna I inviò un ingente esercito, comandato dal capitano Giacomo Caldora, contro Giovannantonio (Del Balzo-Orsini) e la madre di lui Maria (d'Enghien) e devastò col ferro e col fuoco tutta la terra salentina..."; tra le città che gli resistono, si ricordano Gallipoli, Castro, Oria, Rocca, Taranto ed altre.

Maria d'Enghien muore l'11 maggio 1446 alla veneranda età di 80 anni e viene sepolta, in una grande marmorea tomba, nella vecchia chiesa di Santa Croce.

A Maria e Raimondello, sulla contea di Lecce, succede il figlio Giovan Antonio, il quale istituisce in Lecce una zecca per battere moneta.

Giovanni Antonio ORSINI DEL BALZO è un uomo potente, nipote di papa Martino, per via della moglie Anna COLONNA, e zio del nuovo re Ferrante d'Aragona; governa anche sul Principato di Taranto. Nella congiura dei Baroni, l'ORSINI si schiera a favore di Giovanni d'ANGIO' e contro don Ferrante il quale viene sconfitto nella battaglia di Sarno (1460).

14. I ricchi mercanti dei grandi Comuni d'Italia giungono nella contea di Lecce

Nella prima metà del XV sec, sul feudo di Caprarica, diviso in due quote, dominano incontrastati, sulla prima, Bernardo CONDO' e, sulla seconda, Pasquale GUARINI.

Quando Pasquale, devoto cavaliere della regina Maria, oramai vecchio e spossato dalle lunghe guerre che ha dovuto sostenere, prima, contro il Duca D'ANDRIA e, poi, con re Ladislao, muore, gli succede il figlio Antonello che fa suoi tutti i titoli del padre e si vede elargire, dal conte di Lecce e dalla Regia Corte, alla morte di Bernardo CONDO', la seconda quota di Caprarica, riunendo così le due quote della predetta Terra.

Antonello sposa Costanza Caterina DE LUCO, da cui nascono: Gabriele, che gli succederà sul feudo di Caprarica, Matteo, Margherita, Battista, Giovanni Maria, Francesco e Luigi capostipite dei baroni di Acquarica, Vernole, Vanze e Specchia Mezzana il quale sposando Aurelia DELL'ACAYA, figlia di Alfonso, diviene anche grande amico del cognato Giovan Giacomo DELL'ACAYA che sarà , dall'imperatore Carlo V, nominato ingegnere reale.

Il quadro storico della contea di Lecce, verso la metà del XV secolo, registra un gravitare di vita operosa; essa non è relegata in una operosità chiusa, nell'ambito del proprio distretto-contea, ma allarga lo sguardo anche ad un forte interscambio commerciale.

Maria d'ENGHIEN, prima, e la dinastia regnante aragonese, poi, hanno "aperto" a tutti i mercanti, a quelli di Firenze, di Genova, di Venezia e di altre città . Questi rapporti commerciali sono cominciati, in verità , già al tempo dei Brienne e proseguiti nel tempo. A causa dell'intrecciarsi di più presenze commerciali e culturali, provenienti da diverse città italiane, nel 1484, re Ferrante, per porre un rimedio, approva e concede alla città di Lecce di battere propri statuti.

Molte famiglie venete, fiorentine, genovesi, ecc. si sono qui stabilite o perchè richiamate da colonie preesistenti o perchè attratte dagli ingenti traffici commerciali.

La colonia Veneta, che era molto florida, occupa un grosso rione di case che si estendono dalla via Orefice fino al castello ed hanno la chiesa di San Marco come luogo dove essi svolgono il culto.

La colonia dei fiorentini è sita nei pressi della piazza di San Giovanni Vetere. Anche i Triestini hanno una piccola colonia e da Carlo V nel 1516 sono loro concesse diverse capitolazioni.

Vi sono state intorno alla metà del XV secolo anche colonie di Schiavoni, dei Ragusei, venuti al seguito degli Albanesi, i quali formano un sodalizio avente interessi religiosi e commerciali ed hanno il proprio culto nella chiesa di San Niccolò dei Greci (Buon Consiglio) ed il proprio rione attiguo a quello degli Ebrei, i quali già dai vecchi statuti della Regina Maria hanno l'obbligo: "...che gli Iudei portino lo signo...". Gli ebrei posseggono una loro chiesa (Sinagoga) per il loro rito.

I Veneziani creano a Lecce e nella contea una loro colonia ed una loro Chiesa presso la piazza del Mercato (attuale Sant'Oronzo), dove esercitano le loro industrie ed i loro commerci. I mercanti veneziani frequentano la contea di Lecce prima dei fiorentini, ma sembra che avessero grandi presenze, soprattutto, durante i secoli XV e XVI. Fin dal 1543, la colonia veneziana è così prospera che innalza, sulla sua chiesa leccese, il leone di San Marco. I Veneziani costruiscono anche i loro palazzi signorili; tra tutti, si ricorda "Il Sedile" (1592), sito attualmente in Piazza Sant'Oronzo.

In questo turbinio di traffici e commerci, anche la periferia della contea risente di effetti benefici; risale, probabilmente, a questo periodo la costruzione, in Caprarica, di una chiesetta dedicata a San Marco, come una sorta di ex voto da parte di alcuni mercanti veneziani qui convenuti.

Non è un caso, dunque, se, a cavallo tra il XV-XVI secolo, viene istituita, in occasione della festività di San Marco, il 25 aprile, una grande fiera a scopo commerciale per la compra-vendita di capi di bestiame e di prodotti e attrezzi agricoli. Questa fiera era ed è così rinomata che tutti i paesi limitrofi a Caprarica qui convengono per accaparrarsi i prodotti o gli animali più pregiati a basso costo.

Vi è, ancora oggi, un vecchio detto, risalente al XVII sec., il quale fissa proprio nel giorno della festività di San Marco una data di particolare rilevanza dal punto di vista climatico-stagionale in relazione ai lavori dei campi: "Sciamu a Santu Marcu e poi inimu/ lu cranu ete ncannulatu e l'ergiu ete chinu - Andiamo a San Marco (in Caprarica) e poi torniamo/il grano è ingrossato e l'orzo è pieno".

Il senso è che, nei tempi andati, in occasione della detta fiera di San Marco, a Caprarica, alla fine di aprile, i contadini della zona - soliti andare a piedi o con il carretto agricolo (trainu) per fare le compere di animali, prodotti o attrezzi agricoli -si rendevano già conto - frutto della loro esperienza - se l'imminente annata del grano e dell'orzo era buona oppure no; per cui la festa di San Marco era tenuta come punto di riferimento della stima di determinate colture.

In questo periodo storico, sulla Terra di Caprarica, continuano a governare i baroni GUARINI.

Alla morte di Antonello succede Gabriele, il quale sposa in prime nozze Filippa di Stefano FOGGETTI, barone di Taviano, ed, in seconde nozze, Adelfina SANGIORGIO; da esse ha complessivamente nove figli: Antonello, che gli succederà sul feudo di Caprarica; Lucrezia, che sposa nel 1493 Ferrante VENTURI, barone di Palmariggi; Adelfina, che sposa Stefano BARONE; Aurelia, che sposa Giò Francesco DE PERSONA, barone di Matino; Gio Francesco, che sposa nel 1485 Lucrezia di Giannuzzo CASTROMEDIANO; Gio Battista (1486-1536); Pentesilea, che sposa Sigismondo CASTROMEDIANO, barone di Cavallino; Gio Paolo, capostipite dei baroni di Mollone e Ceriescio; Bernardino, nato nel 1460, che è capostipite dei baroni di Anfiano; Gio.Paolo nato nel 1463, che sposa nel 1485 Caterinella di Antonello CONIGER; Beatrice, che sposa Gabriele TOMASINO.

Antonello sposa Raimonda PRATO, da cui ha tre figli: Vincenzo, che gli succederà sul feudo di Caprarica, Evangelista nato nel 1473, che sposa Delizia MARAMONTE; Gio Antonio nato nel 1478, che è barone di Casivetere.

1. Caprarica al tempo dell'invasione Turca nel 1480

La situazione italiana, nella seconda metà del XV, sec., è tutt'altro che tranquilla; tutti i vari staterelli guerreggiano tra loro.

Mentre Papa Callisto III perora la causa delle guerre sante contro i turchi, nel meridione, re Alfonso è intento a guerreggiare contro la repubblica marinara di Genova.

Alla sua morte, nel giugno 1458, sul trono del regno di Napoli sale il figlio Ferdinando, il quale deve subito difendersi dall'attacco che gli portano i francesi, i quali non vedono di buon occhio il suo accordo con il Papa, che nel frattempo è cambiato, nella persona di Pio II.

Il grande condottiero albanese, il generale Giorgio Castriota Skanderberg, ottiene in oriente numerose vittorie sui Turchi; fra tutte, si ricorda lo squillante successo che ottiene sull'esercito del comandante turco Isabeg. Successivamente, chiamato in soccorso dal re di Napoli, accorre, nel 1461, nel meridione d'Italia.

Alla morte di Giovannantonio ORSINI, conte di Lecce, il re Ferrante in persona, come marito di una sua nipote, si nomina erede delle ricchezze dell'ORSINI. Così il re, con la morte di colui che avrebbe potuto sostituirlo sul trono di Napoli, diviene in un solo colpo, da povero che è, il più ricco sovrano d'Italia.

Per questo motivo, il re giunge nel Salento e come il Viterbo ci fa sapere: "...re Ferdinando venio di Taranto, passò ad Nerito e Gallipoli, et de Gallipoli andò ad Otranto, visitando le fortalizi, et omne loco dello Principe, et alle 11 dieto (dicembre) entrao ad Lezze, et pe omne loco fu receputo sotto pallio de broccato d'oro et cormosino, et se mostrao le omne benigno et gratiuso".

Ferrante d'Aragona ottiene, dai baroni della contea di Lecce, il fidomaggio, il 20 e 21 dicembre 1463, nel castello di Lecce, dopo che, morto ormai Giovannantonio DEL BALZO ORSINI, li induce a riconoscerlo come successore dell'ORSINI, per i diritti della propria moglie.

Tra i nobili baroni che riconoscono e inneggiano all'incoronazione di re Ferrante d'Aragona vi è il barone di Caprarica, Antonello GUARINI, figlio di Gabriele, presente, il 21 dicembre 1463, nel castello di Lecce.

Il re Ferrante d'Aragona emana un diploma di conferma dei feudi, nel 1463, in riconoscenza della devozione dei baroni della contea di Lecce, ed in particolare per i GUARINI, in persona di Giovan Pietro come si legge nel regio archivio di stato di Napoli.

Quando il Salento sembra abbia trovato una stabile e tranquilla situazione politica, ecco che a Firenze, Lorenzo il Magnifico, per cercare di sbrogliare una difficile situazione che il re di Napoli gli ha portato in casa, incita la "Serenissima" ad accordarsi con i Turchi affinchè questi assalgano le coste del Regno di Napoli.

Il sultano Maometto II avuto, per così dire, il nulla osta da parte dei Medici e della Repubblica Veneta, nel 1480, invade le coste salentine, e, in particolare, Otranto, Roca e Castro mettendole a soqquadro.

I turchi, in verità , puntano verso Brindisi ma una tremenda tempesta fa cambiare i piani dei musulmani, cosicchè sbarcano nei pressi dei laghi Alimini, due o tre giorni prima del 29 luglio 1480.

L'armata turca è composta, come dice il LAGGETTO, da 18.000 uomini, 150 navi e moltissimi mezzi come artiglierie, cavalli ecc.

Oltre ad Otranto i Turchi prendono di mira i casali fortificati, muniti di castello, e cioè Castro, posto a sud di Otranto, e, Roca, posto a nord.

Da questo momento si parlerà solo di Roca, e della guerra in cui viene coinvolta, volente o nolente, perchè sarà molto importante per la futura storia di Caprarica.

Il motivo, dunque, che induce i Turchi a prendere di mira Roca è il fatto che la città rappresenta un avamposto logistico idoneo ad essere usato dai musulmani come trampolino di lancio per sferrare l'attacco finale alla città di Otranto.

Il LAGGETTO, a proposito della guerra otrantina e di Roca, dice: "...detta armata accostandosi a terra a questo continente, sbarcò di notte senza essere scoverta da nulla banda, una mano di cavalli vicino a Roca castello alla marina, lontano da Otranto dieci miglia...".

Acmet PASCIA', comandante in capo dell'armata turca, infatti, partito da Valonasbarca proprio a Roca, e, dopo averla conquistata, prende alloggio e vi colloca il suo Stato maggiore. Successivamente il PASCIA' decide di lasciare Roca e, dopo averla messa a ferro e fuoco, punta verso Otranto.

Il SADOLETO dice: "...Roca, oltre le altre presso li octo miglia è derelicta per paura che non se credeva...".

Dopo la distruzione, moltissimi abitanti di Roca si sparpagliano nell'entroterra, ricoverandosi nelle masserie fortificate ma, soprattutto, nei casali limitrofi di Melendugno, Vernole, Calimera, Borgagne, Pasulo (grancia basiliana posta nei pressi di Borgagne), Castrì Francone e Guarino, Carpignano, Caprarica, e, fondano, più all'interno, a 3 Km del casale natio, Roca Nuova.

Alcune leggende che circolano, in modo molto insistente, affermano che, quando, nel 1480, i Turchi, dopo aver preso Otranto, seminano terrore e distruzione tra le popolazioni salentine, i pastori che abitano un piccolo villaggio chiamato Ussano e alcuni scampati di Roccavecchia, si rifugiano a Caprarica con le loro greggi fondando un nuovo casale.

E' questa, logicamente, solo una leggenda perchè è stato dimostrato, su questo lavoro, che della presenza di Caprarica si hanno fonti scritte da almeno tre secoli.

La veridicità storica ci viene incontro e, a quanto afferma Giacomo ARDITI, (nella sua "Corografia fisica e storica della provincia di Terra d'Otranto", p. 104), sulla base di una Monologia del MASELLI, Caprarica nel 1480, anche se deve subire alcune violenze da parte dei Turchi, in verità , aumenta il numero dei suoi abitanti, in quanto molti sopravvissuti di Roca vecchia qui si vengono a rifugiare. Ecco cosa scrive: "...Credesi fondato (meglio accresciuto) nel 1480 con gli avanzi della vicina Roca, allora distrutta da un'escursione che vi fecero i Turchi occupatori di Otranto...".

Per quanto riguarda il casale di Ussano, il discorso è diverso nel senso che alcuni suoi abitanti si sono, sì, rifugiati in Caprarica, ma non solo durante le scorrerie turche del 1480, anche - come è stato detto al paragrafo V del secondo capitolo -, nella seconda metà del XIII secolo quando Ussano, dopo diverse lotte intestine, nel 1274 è stato spopolato a causa dei soprusi che il barone, Simone de BELLOVIDERE, ha esercitato sui suoi abitanti. Come si vede, spesso la storia si sovrappone, si fonde e si confonde, con altri periodi storici, divenendo quasi leggenda.

Quando i Turchi invadono, nel 1480, Roca e Otranto, Caprarica di Lecce conta all'incirca 35-40 fuochi(20); nel 1447, da quanto si rileva da un Focolario Aragonese [v.: T. PEDIO, "Un focolario aragonese del Regno di Napoli del 1521 e la tassazione locativa dal 1447 al 1595"], contava, appena, 29 fuochi; mediamente nel 1480, è popolata da 245-280 abitanti.

I 40 fuochi si possono dedurre considerando che Caprarica nel 1447 conta 29 fuochi, nel 1532 è tassato per 57 fuochi, ossia 342 abitanti (v.: G. ARDITI, Op. cit., p. 104), mentre nel 1545 conta 68 fuochi [v.: M.A. VISCEGLIA, "Territorio, feudo e potere locale", p. 49]. Questa oscillazione demografica è dovuta sia alle numerose morti causate da malattie e pestilenze sia al successivo, naturale sviluppo demografico.

Il barone che, in questo periodo, regge le sorti della Terra di Caprarica è Antonello GUARINI il quale, nell'ottobre di quel 1480, come intrepido guerriero, è presente sotto le mura di Roca portando al suo seguito almeno 12-15 giovani fanti di Capraricaessendo, come detto, questo casale composto all'incirca di 40 fuochi.

Così si evince da un documento (già descritto) che il segretario del duca di Milano - avendo in quel momento anche la signoria di Bari - invia allo SFORZA. Per quanto riguarda i nobili napoletani ed i baroni leccesi è tassativamente sottolineato che a Roca sono presenti: "...el Duca di Calabria, el duca de Melfi, don Cesare figliolo del Re, el Conte Iulio, el S. Matheo de Capua, Francesco Torello, el duca de Venosa et molti altri baroni..." leccesi, i quali portano con loro, per ordine del re di Napoli "...qualche l.a. squadre...et ha commandato per tuto el Regno per ogni cento focchi 25 fanti...".

Sono gli scampati, i sopravvissuti, che abitano nei nove casali già detti, che creano, negli anni che seguono e fino ai nostri giorni, la tradizione di recarsi in pellegrinaggio, ogni anno, nella loro antica città d'origine, in segno di fede verso la Madonna delle Grazie, anche come un ritorno alle proprie radici culturali.

Questa presenza roccana, dal punto di vista storico, in Caprarica è ancor di più avallata, nella toponomastica locale, con la presenza di una contrada rurale, che, già nel 1744 (vedi catasto onciario locale, p. 195), fa parte del reverendo Capitolo: ed è nominata: Un'altra nominata similmente Mangiasole in luogo detto La Madonna della Grazia, olivata di m. quattro, ettara 6 in fronda; giusta li beni di detto Conservatorio di San Leonardo da borea, e beni propri da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4, e grana 95, sono.....oncie 16,15.

Vi è ancora la tradizione, segno del retaggio religioso che lega Caprarica e Castrì con Roccavecchia, di chiamare molti dei suoi abitanti col nome di Vito (basta consultare i registri anagrafici e quelli parrocchiali); San Vito è un altro Santo che è stato venerato in Roccavecchia ed in Roca Nuova; in quest'ultimo casale, ora diruto, vi sono ancora i resti della chiesetta di San Vito.

Per quanto riguarda il casale di Castrì, anche il GUERRIERI segnala, nei suoi scritti, il legame di questo sito con Roccavecchia.

Oltre al nome Vito, appare in Caprarica il cognome MORRONE o MURRONE il quale, senza ombra di dubbio, è di estrazione otrantina o roccana, almeno a giudicare dalla repertazione, del medesimo cognome, su diversi testi storici risalenti al 1480.

Uno per tutti valga un passo del lavoro scritto da Scipione AMMIRATO, ("Delle famiglie nobili napoletane" pp. 67-68), il quale volendo - tra le numerose famiglie napoletane che egli incensa - illustrare le gesta eroiche del conte Matteo DE CAPUA, che è intervenuto nella guerra Otrantina del 1480, parla anche di un tal Troiano de Morrone.

Questo è il passo dell'AMMIRATO: "...Essendo io a cavallo su un picciol ronzino, mi partì dall'alloggiamento mio & andava alla Bastia di San Francesco a me vicina. Sentì il romore, che i Turchi avevano assaltato la guardia del campo stava verso la porta di levante. Io subito andai tra Otranto & la bastia predetta: dove stava alla guardia una squadra del mio colonnello cioè Troiano di Morrone. Et subito mandai a vedere per due messi huomini da bene appartati l'un dall'altro ad intendere, che romore era quello. Incontanente tornaro con dirmi . Matteo el sonno da quattrocento in cinquecento cavalli di Turchi & molti fanti addosso alle squadre nostre della guardia e menanli per una mala via (...) non havea da dubitare della banda di qua verso San Francesco: lasciando ben proveduta la bastia, me n'andai la al romore dove a detta guardia era M. Gio. Tomaso Carrafa con la sua squadra. Eranci Giorgino da Carrara & Tommaso da Fabriano con la loro squadra & anche uno nominato Conte Adorlandino capo d'una squadra di m. Taliano (...) Ben dico che quelli capo di squadra & huomini d'arme si ci trovaro si portaro notabilissimamente, come son li predetti m. Gio. Tommaso, Giorgino, Troiano di Morrone & e quel Conte Adorlandino & alcun altro. Concludo Sacra Maestà che l'andata mia fu utile & necessaria (...) Si che questa è la pura verita".

In questo periodo, e nei secoli successivi, scaturisce, negli scampati, l'esigenza di scrivere e lasciare, per le generazioni future, l'impronta storico-culturale-religiosa di Roca vecchia.

Nasce così, nel XVI secolo in tutti i casali prima descritti, la sacra rappresentazione della "Tragedia" e si snoda l'evoluzione del dramma sacro in Caprarica dal rinascimento in poi; l'anello di congiunzione tra religiosità , drammaturgia, storia, mito e cultura.

Di questo filone storico-religioso-teatrale che si può definire del ciclo roccano mentre i comuni di Melendugno, Borgagne, Vernole e Calimera mantengono, a tutt'oggi, una viva fede, attraverso rappresentazioni teatrali, processioni a piedi fino al Santuario della Madonna delle Grazie in Roca, feste civili e religiose, purtroppo, i casali di Carpignano, Castrì e Caprarica hanno smarrito, nel corso della loro storia, tale spaccato storico e culturale.

La guerra Turco-salentina-aragonese causa danni irreparabili in molti casali di Terra d'Otranto. Passa come un uragano che si abbatte sulle persone seminando, ovunque, rovine, morte e distruzioni.

Il re invia nel Salento due funzionari, Francesco BELMONTE e Francesco ABATE, affinchè prendano visione delle distruzioni procurate dalla guerra e procedano ad una nuova numerazione dei fuochi delle città , delle terre e dei casali.

Stabilisce che tutti quei casali che sono stati danneggiati dai turchi devono essere esentati da qualsiasi contributo per l'anno della XIV indizione (settembre 1480-agosto 1481).

Molti casali chiedono, perciò, di essere esentati dal pagamento delle tasse; anche, Caprarica beneficia di questa disposizione reale.

Mentre i casali di Carmiano, Torrepaduli, Castrignano, Aradeo, Strudà , Pisignano, Vernole, Segine (Acaya), Vanze e Galugnano hanno, come si legge in alcuni documenti (A.S.N., Sommaria, Partium 20 f. 186 rv e 22 lv) del 9 settembre e 3 ottobre 1483, un "...damno insupportabile per modo che quelli lochi sonno maiori parte dishabitati, si per lo dicto dampo passo occasione predicta, si etiam per essereno sachizati tagliati ad peczo da li dicti turchi, si etiam per la peste successa in dicti lochi...", un altro gruppo di casali, in cui è incluso anche Caprarica, e che sono Tricase, Cavallino, San Donato, Trepuzzi, San Cesario, Caprarica di Lecce, Castro Guarino, San Pietro Vernotico, Melendugno, Acquarica di Lecce e Torchiarolo, non solo subisce eccidi, violenze e distruzioni ma è interessato anche dalla peste e dalla riduzione in schiavitù di molte persone che vengono, poi, trasferite in Turchia.

Questo è il documento (A.S.N., Sommaria, Partium 20, f. 86 rv) del 10 luglio 1483: "...haveno patuti de multi dampni et multi fochi sono stati per tale causa esctinti et anche multi homini foro presi da dicti turchi et mandati in Turchia. Et similiter dicte terre et casali haveno patuto per la peste sopravvenuta in quelle dicto tempore...".

Se, però, da una parte, Caprarica subisce tale scempio, dall'altra, ha un incremento demografico dovuto alla sopravvenienza dei rifugiati roccani.

Subito dopo l'eccidio turco, il re Ferrante chiama a sè, il 20 e 21 dicembre del 1481, tutti i baroni del Salento per ricevere il giuramento di fedeltà da "...omne Sindico et Barone de Terra d'Otranto...et colli altri ci andarono et jurarono in so mano fidelitate...".

A questo dettato Regio si accoda anche il barone di Caprarica, Antonello GUARINI, il quale presta il suo giuramento di fedeltà .

Qualche anno dopo muore e, sul feudo di Caprarica, prende possesso il figlio Vincenzo, il quale da Camilla SAMBIASI ha otto figli.

Vincenzo non si dimostra, a differenza dei suoi avi, un barone accorto e saggio tanto che, otto anni dopo l'eccidio roccano, gli abitanti dei suoi feudi di Caprarica e San Cesario denunciano al re Ferdinando il cattivo comportamento del barone, Vincenzo GUARINI, chiedendone l'intervento per porre fine ai maltrattamenti.

Re Ferdinando ingiunge al focoso barone - che nel frattempo ha perso il padre Antonello ma è ancora in vita il nonno Gabriele - di non angariare in alcun modo i suoi vassalli con l'ingiunzione che, in caso contrario, sarà multato con 1.000 ducati di pena.

Questo è il documento (A.S.L., Libro Rosso della città di Lecce, pp.1195-1198) redatto in Napoli il 25 settembre 1488: "Re Ferdinando ordina a Vincenzo DE GUARDIANO (questa cattiva interpretazione grafica del cognome, riportata dall'amanuense, corrisponde, in effetti, a GUARINI), governatore della baronìa di San Cesario e Caprarica di Lecce, di non turbare più alcuno nel pacifico possesso dei suoi feudi e dei suoi beni...Alla Nostra Maestà è stato esposto per parte de la Università di Lecce como uno nomine detto Vincenzo DE GUARDIANO havendo pigliato lo governo della baronìa de Sancto Cesario et de Caprarica sub pretextu de Gabriele DE GUARDIANO suo avo e molto vecchio et indisposto al governo..." egli, poichè è ancora molto giovane, svolge ogni compito, di amministrazione dei suoi feudi, con arroganza contro i cittadini di questi casali togliendo di fatto a molte persone i "...loro possessi et franchigie, e poi come il barone vuol essere citato avanti il Nostro consiglio ai residenti tassa le loro povere parti in più spese volendo per questa via conseguire i suoi interessi... per tanto spinti a dare un rimedio opportuno Vi ingiungiamo e Comandiamo di ordinare al detto Vincenzo che non debba de qua avanti dispossidere ne turbare de facto alcuno che in sui pheudi et casali tenesse robbe stabili de qualsivoglia natura et condicione...e de questo non fareti ne forza lo contrario per quanto haveti et have cara Nostra gratia, et desiderati et desidera evitare la pena dè milli ducati perchè simili spogli, turbacione et violencia dispiaceno multo de Nostra Maiestà ... Datum in castello novo civitatis nostra, Neapolis XXV septembris MCCCCLXXXVIII - Rex Ferdinandus".

Nonostante questo modo dispotico di gestire il popolo ed i suoi feudi, Vincenzo GUARINI, nel 1508, insieme al fratello Evangelista, ricostruisce in Lecce una cappella dedicata alla Madonna della Candelora, in segno di fede verso la Madonna ma anche per adempiere ad un dovere verso i suoi antenati, i quali ci tenevano a mantenere vivo questo culto così particolare.

Questo è quello che riporta l'INFANTINO (v. "Lecce Sacra, p. 64) a proposito della costruzione della cappella dedicata a Santa Maria della Candelora: "Questa Cappella è antico Iuspatronato della famiglia GUARINA, dalla quale fu fondata, e dotata d'un beneficio con obbligo di farci celebrare la Messa ogni Domenica: la quale Cappella poi dall'antichità distrutta, fu di nuovo riedificata da Vincenzo e Evangelista GUARINI nell'anno 1508. Così si legge in una iscrizione, che sta su la porta di detta Cappella con l'insegne dè detti Guarini./ AB AMELINA CONDITUM SACELLUM HOC, VETUSTATE COLLAPSUM, VINCENTIUS ET EVANGELISTA DE GUARINO E DELIZIA MAREMONTE EIUS UXOR RESTAURAVERUNT - A. D. MDVIII. Il senso è il seguente: Questo tempietto molto antico, crollato per la vetustà , fu ricostruito dalla fede di Vincenzo, Evangelista GUARINI e dalla moglie, di quest'ultimo, Delizia MARAMONTE - Anno del Signore 1508".

2. La Terra di Caprarica passa dai baroni GUARINI agli ADORNO

Nel 1494, il re Ferdinando viene meno lasciando il trono al suo successore, Alfonso II, il quale abdica in favore del figlio Ferdinando II o Ferrantino.

Il nuovo re non riesce a contrastare efficacemente la calata di Carlo VIII, il quale rivendica i possedimenti del napoletano, di proprietà degli antichi antenati angioini, e, il 22/2/1495, battendo gli aragonesi, entra in Napoli tra il giubilo della folla.

Nel 1495, mentre vi è il brevissimo interregno di Carlo VIII, nella contea di Lecce vi è un periodo d'assestamento amministrativo-giudiziario da parte dei baroni; Vincenzo GUARINI, barone di Caprarica, primo fra tutti.

Un documento (A.S.L., Libro Rosso di Lecce, Regesto, pp. 1266-70) stilato da più baroni della contea di Lecce ed inviato a S.M. nel 1495 ci fa sapere che: "L'Università fa richiesta tra alcuni baroni se vogliano o no che i loro vassalli, riconosciuti cittadini, contribuiscano alle spese con gli altri vassalli. Dichiarazioni dei baroni Jacopo Dell'ACAYA, Alfonso Dell'ACAYA, Antonello DI NOHA, Alessandro PALADINI, Luigi CASTROMEDIANO, Francesco ....., Giampietro GUARINI, Mariotto CORSO, Guglielmo PRATO".

Ma anche il regno di Carlo VIII dura quanto un alito di vento; infatti, viene contrastato dai vari staterelli Italiani che lo vedono come un potenziale nemico; l'anno successivo (1496) perde tutto, cosicchè sale sul trono di Napoli l'aragonese Federico III.

Questo Re ha il tempo di revisionare i feudi del suo Regno e, tra gli altri baroni, conferma a Vincenzo GUARINI i suoi possessi cum fortellezze, vaxalli, feudi, feudatari e suffeudatari.

Nell'ambito della programmazione amministrativa, nella contea di Lecce, la Regia Camera della Sommario, il 17 ottobre 1506, comunica a Gerolamo DE GENNARO, percettore di Terra d'Otranto che - secondo le notizie fornite dall'Università di Lecce - i fuochi dei vicini casali, annotati, come di cittadini leccesi, risulta che siano 7 in Arnesano, 1 in Campi e Santa Maria de Novi, 6 in Caprarica di Lecce, 13 in Lequile, 4 in Monteroni, 18 in San Cesario, 2 in Trepuzzi e che, quindi, complessivamente siano 51 fuochi (Libro Rosso, cit, pp. 1236-38).

Nel 1516 muore il re Ferdinando il Cattolico ed a lui succede Carlo V, il quale avendo sotto il suo dominio la Spagna, i Paesi Bassi, il Napoletano, la Sicilia, la Sardegna e le sterminate e ricchissime colonie americane, a ragione poteva affermare che "sui suoi possedimenti non tramontava mai il sole".

La città e la contea di Lecce dimostra la sua felicità , in occasione del cambio regale, facendo delle feste: "...e sontuosi apparati con solenne cavalcata e il Sindaco portava la bandiera regia accompagnato dalli nobili e civili a cavallo con il seguito di tutto il popolo e coll'assistenza di tutti i Ministri del Tribunale e fu cosa molto grata al re avendo in quest'anno preso possesso del regno".

L'anno successivo (1517), Galeotto FONSECA viene confermato governatore della contea di Lecce; Sindaco della città viene nominato Rauccio Marescallo e Vincenzo GUARINI ottiene la riconferma dei suoi possedimenti da parte del nuovo imperatore.

L'avvento al potere di Carlo V segna, però, per il barone di Caprarica, Vincenzo GUARINI, l'inizio della sua fine.

La salita al trono sul Regno di Napoli, di Carlo V, il quale si fa incoronare imperatore in Aquisgrana il 23 ottobre 1520, coincide con un periodo storico difficile e tempestoso, caratterizzato da grandi cambiamenti politici.

Il GUARINI si dimostra, verso Carlo V, come ha già fatto con gli altri re, fin dai tempi di Ferdinando I, uno spirito combattivo contro tutti i nemici della corona francese.

Questo suo spirito partigiano, Vincenzo dimostra negli anni 1525/29 quando, sullo scenario europeo, si addensano oscure nubi di guerra.

Il re di Francia, Francesco I volendo riprendersi il ducato di Milano porta la guerra agli spagnoli ma, il re francese, subisce una tremenda sconfitta nel 1525 da Carlo V.

In questo marasma, il pontefice Clemente VII preoccupato dello strapotere del re spagnolo si allea con la Francia dichiarando guerra a Carlo V, il quale per tutta risposta invade e mette in scacco la stessa Roma. Quest'aggressione spagnola condotta verso il Papa suscita un'impressione profonda in tutta Europa, tanto che lo stesso Carlo V decide di ritirarsi.

Nel frattempo, Francesco I, coalizzatosi con i Veneziani, nel 1528, porta la guerra in casa di Carlo V, così invade il Regno di Napoli.

Moltissimi nobili di Terra d'Otranto, coinvolti in prima persona nel conflitto, si schierano dalla parte del re spagnolo.

In quel periodo il governatore delle provincie di Bari e Lecce è Alfonso CASTRIOTA, marchese di Atripalda; a sostenere la difesa contro i francesi, a lui ed ai cinquecento lancieri albanesi si uniscono i baroni Gian Giacomo Dell'Acaya, Filippo Matthei, Teodoro Bucali, Gaspare Petraroli, Scipione Prato e Spinetto Maramonte.

Solo alcuni baroni fuoriusciti, come il leccese Gabriele BARONE, Vincenzo GUARINI, barone di Caprarica e San Cesario, ed il provveditore veneziano Antonio GIURANNO, si schierano con i francesi.

Di Stefano BARONE(21) si deve dire che è stato uno dei personaggi più influenti della contea di Lecce all'inizio del XVI secolo. Egli sposa Adelfina, figlia del barone di Caprarica Gabriele GUARINI ed è stato, anche, Sindaco di Lecce nel 1498 e nel 1514.

Il 07/02/1507 Stefano BARONE insieme a Petruccio CONIGER, Alfonso DELL'ACAYA e (?) hanno rappresentato Lecce e la sua contea presso il re Ferdinando il Cattolico, non solo come ambasciatori ma per dimostrare la propria fedeltà e per portare anche 2.000 ducati.

Dopo vari conflitti (non utili a descrivere ai fini della presente indagine), gli spagnoli prevalgono definitivamente sui francesi a causa di una congiura organizzata dai nobili leccesi che il FERRARI ricorda nei suoi scritti: Ferrante Paladini, Sigismondo e Tommaso Castromediano, Antonio Bozzicorso, Filippo Matthei, Andrea Francesco e Federico Ferrari, Giovannantonio Raynò, Leonardo Camassa, Giacomo Dell'Acaya, Falco De Falconi, Federico Giovanni e Luigi Tafuri, Francesco Coletta, Ottaviano Saetta e Francesco Orimino.

Purtroppo, in questo conflitto ne fa le spese anche l'incolpevole Rocavecchia, in quanto il BARONE (che così rinnega la sua fedeltà dimostrata a Ferdinando il Cattolico nel 1507), il GIURANNO e Vincenzo GUARINI, sostenitori dei francesi, in quella roccaforte si rifugiano, cosicchè i baroni congiurati, attaccandoli e sconfiggendoli, distruggono la stessa roccaforte.

Nel 1529, Carlo V e Francesco I si accordano e concludono la cosiddetta "pace di Cambrai".

Il barone di Caprarica e San Cesario, però, sebbene perdonato da Carlo V, è accusato di fellonia(22), nel 1533, da baroni concorrenti, desiderosi di spodestarlo dai suoi feudi; dimostrata la fondatezza dell'accusa, è privato del titolo di barone dall'imperatore Carlo V, che lo cede al genovese Gregorio ADORNO, dal quale passa al figlio Barnaba e, da questi, al figlio Prospero (come si rileva da un quinterno di privilegi, foglio 223, dell'archivio di zecca di Napoli, notizia riportata a pag. 393 dell'appendice "Lecce ed i suoi monumenti" del DE SIMONE, postillato da Nicola VACCA).

Vincenzo GUARINI, tradito e abbandonato da tutti, muore nel 1535.

3. Il Castello baronale di Caprarica

La prima struttura fortificata di Caprarica, molto probabilmente, risale al XII sec., quando i Normanni, conti di Lecce, e, soprattutto, Tancredi d'Altavilla, incentivano ed incoraggiano al massimo lo sviluppo dell'edilizia a scopo difensivo e religioso.

La Torre fortificata, sita nel giardino del castello e che confina con la retrostante (attuale) via Martano, è sicuramente la prima struttura costruita a scopo di avvistamento e di difesa in Caprarica; d'altra parte, anche in Lecce i Normanni hanno costruito un'imponente Torre difensiva poi inglobata, verso la metà del à¢â‚¬Ëœ500, dall'architetto imperiale, Gian Giacomo DELL'ACAYA, all'interno dell'intera struttura rinascimentale del castello, oggi detto, di Carlo V; così come anche nella città ideale del Rinascimento, Acaya, costruita dallo stesso architetto imperiale, una precedente Torre difensiva, angioina, costruita dal suo antenato Gervasio DELL'ACAYA, è stata inglobata nella struttura del castello.

Tale torre fortificata, in Caprarica, è stata ristrutturata e potenziata dai baroni GUARINI, all'indomani dell'invasione turca del 1480, per poter meglio rispondere alle eventuali, nuove incursioni levantine.

Il Castello. Considerando che dal XV sec. in poi, le invasioni e le scorrerie di pirati levantini diventano una spina nel fianco per le derelitte popolazioni del Salento, molto probabilmente, il barone di Caprarica Antonello GUARINI, per meglio difendere il suo casale ed i suoi possedimenti, decide di costruire, nei pressi della torre fortificata, un imponente castello.

Ai GUARINI, infatti, si può imputare la prima costruzione del maniero locale, almeno, a giudicare dallo stemma impresso sia sulla torretta di avvistamento posta a destra del castello che, un secondo, posto al centro della gran torre fortificata ubicata nel giardino del medesimo maniero.

Allo stato, non si hanno documenti circa l'autore del progetto di questo castello, ma non è improbabile ipotizzare che l'architetto sia stato lo stesso Gian Giacomo DELL'ACAYA, considerando che tra i due casati vi era anche una certa parentela, in quanto uno zio di Antonello, Giovanni Maria GUARINI (figlio del nonno, omonimo, Antonello maior), barone di Acquarica di Lecce, aveva sposato la sorella di Gian Giacomo, Aurelia DELL'ACAYA.

L'intervento di Gian Giacomo DELL'ACAYA sembra ancora più verosimile se si va a considerare la struttura architettonica del castello, che coagula in sè tutta l'arte dell'architetto.

Il castello presenta le seguenti caratteristiche: il portale d'ingresso ha un bel bugnato liscio; l'interno del portale d'accesso, detto in vernacolo "simporto", presenta una bella volta a schifo affine a quella dell'Ospedale dello Spirito Santo di Lecce; due angeli posti sull'architrave esterna del portale d'ingresso, che l'architetto pone come numi tutelari su ogni struttura che egli compie, sono gli archetipi (o se si vuole la firma) che quelle strutture sono proprio sue.

D'altra parte, nelle immediate vicinanze del castello vi è una casa, attualmente ristrutturata con l'architettura contemporanea, di proprietà del dr. TURCO, dove appare lo stemma dei CASTRIOTA-SCANDEMBERG ed alcuni capitelli voltati, miracolosamente scampati allo scempio dei secoli, che raffigurano le foglie d'acqua, altro elemento caratteristico dell'arte dell'architetto di Carlo V.

Questa struttura abitativa, molto probabilmente, in origine, può essere stata collegata col castello e può aver avuto una funzione di servizio come stalla, deposito o altro; appartenuta, successivamente, ai detti CASTRIOTA-SCANDEMBERG, è stata certamente ristrutturata.

Sulla base di questa asserzione, si nota una vicinanza d'intenti e di eventi sia baronali che architettonici che accomunano il castello di Caprarica con il Palazzo Adorni di Lecce.

Questa eguaglianza architettonica rafforza l'ipotesi, secondo cui, anche sul castello di Caprarica di Lecce - di proprietà dei GUARINI, prima, e degli ADORNO, poi - sia intervenuto, il grande architetto imperiale, Gian Giacomo DELL'ACAYA; infatti, il bugnato liscio che arreda il portale d'ingresso del castello di Caprarica e di palazzo Adorni, è come una firma, che fa pensare all'intervento del DELL'ACAYA.

Nei secoli successivi, i baroni che si sono succeduti sono intervenuti a consolidare e ristrutturare più volte il castello, con l'arte ed il gusto del momento.

E' stato, molto probabilmente, nel XVII sec. che i GIUSTINIANI, baroni locali, ristrutturando il castello alla maniera di costruzione, allo stesso tempo, militare e gentilizia, lo decorano con bellissime balconate rococò, con due torri laterali, con feritoie, e lo rendono conforme ad un fortino vero e proprio.

Si ritiene che il castello, nel periodo di massimo splendore, abbia avuto 99 ambienti; vi era il famoso salone detto "degli Specchi" arredato con mobili sei-settecenteschi ed annessa quadreria; vi era una stanza destinata agli indesiderati i quali venivano fatti cadere, attraverso una botola o trabocchetto ("trabuccu"), in un pozzo dove erano presenti delle lance acuminate, infisse ben salde nel terreno e rivolte, con la punta, verso la parte alta, dove venivano infilzati i malcapitati destinati a morte sicura. Per sfuggire ad eventuali assalitori, il castello è dotato financo di un passaggio sotterraneo dal quale, dopo un lungo percorso, si esce nella campagna.

* * *

La dimora SCANDEMBERG. A pochi metri, sul lato sinistro del castello, vi sono i già citati resti di un'antica dimora nobiliare, aventi alcune parti delle volte rimaste ed i pochi capitelli salvati dagli attuali proprietari (dr. TURCO) a foglia d'acqua; si tratta, come si è già detto, di elementi architettonici tipici dell'architetto Gian Giacomo DELL'ACAYA, al quale si attribuisce anche questa dimora.

Sul portale d'ingresso della dimora costruita, molto probabilmente, nella prima metà del XVI sec., si evidenzia, molto ben conservato, un blasone nobiliare appartenuto alla famosissima famiglia dei CASTRIOTA-SCANDEMBERG(24), di origine albanese.

Infine, al paragrafo 7 del capitolo II, si evidenziano i numerosi matrimoni, tra nobili, che hanno contratto i componenti del casato dei GUARINI, in Terra d'Otranto, e, tra questi, si registra anche quello avvenuto con i CASTRIOTA-SCANDEMBERG; la dimora predetta è divenuta, così, di proprietà CASTRIOTA-GUARINI.

Questa chiave di lettura è, ancora, con più forza ribadita in un documento del 16/12/1861 (da noi reperito presso l'A.C.C. e che si può leggere al Cap. Và‚°, paragraf. 5à‚°, di questo libro), in cui si parla di un ricco proprietario di Caprarica di Lecce, Pantaleo CASTRIOTA, il quale riesce a vincere una pubblica asta per accaparrarsi il dazio per la vendita di liquori; come si vede, questa famiglia è, nel XIX secolo, ancora attiva ed operante nel tessuto sociale ed economico di Caprarica di Lecce.

Portale d'ingresso palazzo Baronale

 

4. Il casato della famiglia ADORNO

Si è già detto che, già dal tempo di Gualtiero VI di BRIENNE (XIV sec.) e della regina Maria D'ENGHIEN (XIV-XV sec.), molti ricchi mercanti italiani, provenienti, soprattutto, dalle potenti repubbliche marinare, pervengono nella contea di Lecce perchè ritenuto un feudo molto ricco sia dal punto di vista agricolo che commerciale.

Questa sua ricchezza è tanto vera che l'imperatore Carlo V, con privilegio del 1539, dichiara Lecce "Caput Apuliae", dandole giurisdizione anche sull'intera provincia di Bari e su parte della Basilicata, giurisdizione ristretta, poi, alla sola Terra d'Otranto.

In quest'ottica, molto probabilmente, vedono la contea di Lecce i ricchi mercanti genovesi ADORNO, i quali nel XVI sec. qui si stanziano divenendo baroni di Lecce, Caprarica ed altri feudi.

Quella degli ADORNO, a quanto afferma V. SPRETI (in "Famiglie nobili ecc.", p. 318-320), è una famiglia patrizia e dogale genovese, che, nel secondo cinquantennio del secolo XIV e in tutto il sec. XV, sale ad altissimo grado in Italia, poichè gli ADORNO e i Campofregosi o Fregosi sono alternativamente e in competizione gli effettivi signori della Repubblica di Genova.

Gli storici e genealogisti danno, a questi ricchi signori, origini e provenienze svariate, tra le quali piace far prevalere la leggenda dell'origine teutonica. Conviene credere, per contrario, che ella ha avuto provenienza e nome dalla borgata di Adorno, ch'è presso Taggia nell'estrema riviera di Ponente. Un primo ricordo del casato lo si trova nella menzione di tale Anna Felice vedova di ADORNO, fatta il 12/01/1186 in un atto notarile.

Questo medesimo ADORNO o altro omonimo testimonia in un istrumento del 15/10/1210; e così compaiono a quel tempo un BARISONE e un PIETRO (1212), dal quale Barisone, o ADORNO che sia, germogliano i rami di questa grande famiglia. Essa, nei primi tempi, vive di mercatura con tale profitto, che può accumulare le grandi ricchezze, che la portano a così alta potenza.

Nello spazio di meno di 160 anni (1363-1522), gli ADORNO, in Genova, hanno sette dogi, dei quali Antoniotto juniore chiude la serie dei gloriosi dogi a vita, quando la riforma di Andrea DORIA del 1528 istituisce gli impotenti dogi biennali.

Allora gli ADORNO, come gli Spinola, i Grimaldi, i Doria, i Fieschi, i Fregosi, che hanno di volta in volta signoreggiato quella repubblica, discendono al comune livello del patriziato cittadino; nel quale gli ADORNO non formano neanche uno degli alberghi, ma restano aggregati nell'albergo Pinelli.

Molti sono i rami in cui si estende la casa ADORNO, uno dei quali prospera nella Spagna. Si aggiunge, poi, a questa famiglia il vecchio casato dei Campanaro, dei quali Nicolò, nel secolo XIV, sposa Margherita ADORNO, figlia di Adornino di Guglielmo e sorella dei dogi Giorgio ed Antoniotto seniore, sostituendo ai suoi figli al cognome paterno quello della loro madre.

Dei tanti rami genovesi l'unico ancora superstite è per estinguersi in due sorelle, che affideranno il loro cognome illustre ai loro discendenti nelle famiglie Durazzo e Cattaneo.

A queste due dame la stirpe perviene da quell'ADORNO o BARISONE del 1210 attraverso le successive generazioni di Lanfranco, Faravello, Baldassarre, Morvello, Geronimo, Galvano, G. Battista, Geronimo, Michele, G. Battista, Michele, Baldassarre, Antonio, Agostino e altro Agostino, padre di dette sorelle, Carolina, maritata in Durazzo, e Viola, maritata in Cattaneo.

Il ramo proveniente da Giacomo, altro figlio di Barisone, passando per Adornino, Raffaele, il doge Barnaba, Carlo, Barnaba, Geronimo, si spegne, carico di onori e di ricchezze, in Barnaba Cesare, figlio dell'ultimo Geronimo, e nella sorella di lui Maddalena, che porta il suo cognome dogale nella famiglia pavese BOTTA.

Da Gabriele, altro figlio di Giacomo di Barisone, provengono, succedendosi, Giovanni, Ilario, Giovanni, Giacomo, altro Giacomo, il quale trasporta la sua famiglia a Xeres in Ispagna (sec. XV), proseguendola per un terzo Giacomo, un quarto Giacomo, Agostino, Giacomo, Agostino, la cui unica figlia Aloisia si marita con Lorenzo ADORNO de GUZMAN; quest'ultimo appartiene a un altro ramo di ADORNO spagnoli, provenienti da un Francesco pel tramite di Dionisio, Francesco, Fernando, Francesco padre di detto Lorenzo; questa seconda linea, nella quale la prima si fonde per mezzo dell'Aloisia, prosegue ancora per Agostino, altro Agostino, Lorenzo (secolo XVIII).

La genealogia dei sette dogi di casa ADORNO è questa che segue:

Gabriele (1363), Antoniotto (1378-1384-1391-1394), Giorgio (1413), Raffaele (1443), Barnaba (1447), Prospero (1461-1478).

Gli ADORNO hanno anche possedimenti feudali; sono marchesi di Pallavicino, Prato, Silvano, Montesoro, conti di castelletto, Renda, San Felice, Guardia oltramontana, Montaldo, Capranica, signori di Ovada, Rossiglione, Varazze, Serravalle, Tagliolo, Capriata, Pietra Borgo, Cerendero, Monteacuto, Sale, Pigna, Saorgio, Lucerame, Grimault, Periteorio, ecc.

Moltissimi sono i personaggi famosi della famiglia ADORNO; tra gli altri, si possono menzionare: LANFRANCO, che è uno degli anziani di Genova (1261); FARAVELLO di Lanfranco, che presta danari agli Spinola e ai Grimaldi per la ricuperazione dello loro case (1310); LUCHINO, vicario in Roma di papa Innocenzo VI, poi vescovo di Famagosta in Cipro (1373); GIANNOTTO, fratello di Gabriele, cavaliere di Rodi e priore di Napoli (1365); ANTONIOTTO, più volte doge di Genova, consegna la sua patria al re di Francia (1396); RAFFAELE che comanda dodici galere genovesi all'impresa di Gerba in Africa e milita per il re Alfonso d'Aragona contro Genova; TERAMO che offre il dominio di Genova al duca di Milano per abbattere il doge Tommaso Fregoso (1421); PROSPERO, doge, che sconfigge il re Renato che assalta Genova (1461); quest'ultimo, imprigionato in Cremona dal duca di Milano, viene inviato, dalla duchessa vedova Bona, al riacquisto di Genova, di cui è fatto, poi, governatore; ma egli, stimandosi sospetto, rivolta la città , infligge una sanguinosissima sconfitta all'esercito milanese (1478) e si fa rieleggere doge: in questa impresa il fratello CARLO, occupando il castelletto e rovesciando la gente di Obbietto Fieschi, agevola l'entrata di Prospero nella città .

Questa famiglia, in Lecce, si fonde, successivamente, in vari reticoli di comparaggio; tra i più significativi, si ricordano gli ADORNO-CATTANEO, i quali nel 1744 - come compare nel catasto onciario - possiedono alcune terre nel feudo di Caprarica, e gli ADORNO-BOTTA anch'essi, successivamente, baroni di Caprarica.

ARMA DEL CASATO DEGLI ADORNO: D'oro alla banda scaccata di tre file di argento e di nero.

5. Caprarica passa, nel XVII sec., dai baroni ADORNO ai BOTTA-ADORNO

All'inizio del XVI secolo, come detto, molte ricche famiglie genovesi, spinte dai loro traffici commerciali e dalle ricchezze esistenti nella contea di Lecce, qui pervengono; si ricordano i Fornari, i Fieschi, i Negri, i Santi, i Trezzaroti, gli Spinola, i Lambadoria, i Leoni, i San Pier di Negro e gli ADORNO; questi ultimi divengono baroni di Lecce, Caprarica di Lecce ed altre terre.

GREGORIO è l'esponente della ricca famiglia ADORNO che, per primo, giunge nel Regno di Napoli, rifugiandovisi con il figlio Barnaba.

BARNABA diviene fuoriuscito da Genova in quanto accade che, calatosi in Val Polcevera, tenta di occupare il Castelletto tenuto dai milanesi e fortifica i monti circostanti, ma viene messo in fuga dal Piccinino (1428); tornato con ottocento fanti e trecento cavalli, viene di nuovo sconfitto e preso da quel capitano (1431); si fa doge (04/01/1447), ma resta in carica pochi giorni; poi, successivamente, milita contro la sua Genova, difendendo gli interessi del re di Napoli, Alfonso d'Aragona.

E' a questo punto che, per i meriti acquisiti e per la contemporanea sventura di Vincendo GUARINI, la Regia Corte Napoletana assegna all'ex doge di Genova, Barnaba, nel 1533, la Terra ed il feudo di Caprarica di Lecce.

Questa ricca ed operosa famiglia si radica fortemente nel tessuto sociale di Lecce e della sua contea. Sul feudo di Caprarica, alla morte di Barnaba, succede il figlio Prospero; questa famiglia intorno al 1570 acquista in persona del figlio di Prospero, Gabriele, il palazzo LOFFREDO, sito in Lecce, poi, detto, fino ad oggi, ADORNO.

Palazzo ADORNO è stato progettato e messo in opera nel 1563 dall'architetto militare, di nomina imperiale, Gian Giacomo DELL'ACAYA, barone di Segine (poi da lui detto Acaya), su commissione di Ferrante LOFFREDO, governatore di Terra d'Otranto. Questo grande palazzo signorile viene costruito di fronte alla Chiesa di Santa Croce che il governatore LOFFREDO utilizza per la sua famiglia.

Successivamente avviene che questo palazzo passa alla famiglia ADORNO, in quanto imparentati con i LOFFREDO, e, soprattutto, a Gabriele ADORNO che riveste il grado di Ammiraglio della marina imperiale di Carlo V.

L'influenza politica e commerciale dei baroni ADORNO è così importante nel tessuto sociale della contea di Lecce che, questo casato, è ammesso ad avere una cappella adibita anche a tomba di famiglia nell'annessa nuova chiesa di Santa Croce, concessione che era stata fatta, nel XV sec., solo alla regina di Napoli e contessa di Lecce Maria d'ENGHIEN (tomba che dalla vecchia chiesa di S. Croce è stata trasportata nella nuova ed è ora scomparsa).

Sul feudo di Caprarica, intanto, il 21 luglio 1576, la Regia Camera della Sommaria invia lettera di significatoria contro Geronimo ADORNO per il pagamento del relevio del feudo a seguito della morte del figlio Prospero, avvenuta il 28 luglio 1575.

Geronimo è padre di Barnaba-Cesare che succede alla sua morte avvenuta il 11 settembre 1632 e che paga il relevio(22) del feudo il 11 settembre 1633.

A Barnaba Cesare, morto nel febbraio 1635, succede la sorella Maddalena, contro la quale la Regia Camera della Sommaria invia lettera di significatoria per il pagamento del relevio del feudo il 23 febbraio 1636.

Nel 1598 muore Filippo II e sale sul trono di Spagna Filippo III durante il cui regno, come risulta da un volume di Giovanni Angelo COLETTA, scritto intorno al 1650, alla difesa del casale di Caprarica, da eventuali incursioni nemiche, è preposto Giorgio Antonio PALADINI.

A lui, infatti, nel 1617, il maestro di campo Giovanni Tommaso SPINA, marchese di Saceto, governatore delle armi di Terra d'Otranto, affida, con patente del 2 agosto, la guarnigione e la difesa che va dalla marina di San Cataldo alla torre del Fiumicello verso Otranto. Sono circa 25 miglia di spiaggia con sei torri marittime, mentre il retroterra comprende circa 24 casali e fra questi anche Caprarica.

Per tale custodia gli viene assegnata una compagnia di 200 fanti della paranza oltre i militi del battaglione ed i soldati a cavallo distribuiti in guarnigioni nei paesi. Prima di lui, la stessa zona è stata vigilata con 400 soldati dal suo avo paterno, Pompeo PALADINI, per 13 anni, dal 1595 fino alla sua morte [Lettera vicereale del 10/08/1597].

Il 2 giugno del 1639, al PALADINI viene assegnato un altro contingente di cavalli della compagnia del Duca di Andria di stanza in Melendugno.

Nel 1643 un'armata turca è avvistata nei pressi di Leuca; al detto Paladini è ancora confermato, con ampia patente del 7 luglio, il potere di difesa ed al suo dipartimento è aggiunta anche la difesa di Sternatia che fino ad allora faceva parte della paranza di Nardò.

Alla morte di Filippo III, nel 1621, succede al trono di Napoli Filippo IV (1621-1665) e, prima della morte di quest'ultimo, il 29 giugno 1658, muore la baronessa Maddalena ADORNO, coniugata BOTTA, del feudo di Caprarica di Lecce; con lei cessa di esistere, in Caprarica, il casato degli ADORNO, succedendo, sulla terra feudale, il figlio Alessandro BOTTA-ADORNO il quale paga il relevio del feudo il 6 giugno 1659.

Ma Alessandro governa la terra ed il feudo di Caprarica per appena sei anni, in quanto muore il 7 ottobre 1664; a lui succede il figlio Niccolò Geronimo, il quale si disfà della Terra di Caprarica vendendola, con atto rogato per notar Vincenzo STAIBANO di Lecce nel 1675, al genovese Francesco Maria GIUSTINIANI che, con diploma 8 maggio 1682, ha, su Caprarica, titolo marchionale.

6. Il casato della famiglia GIUSTINIANI

L'origine di questa famiglia, a quanto afferma lo SPRETI (Op. cit., vol. III, pp.495-498), non si basa su vincoli di sangue ma su rapporti commerciali, esistenti tra varie famiglie genovesi, armatrici delle navi che Simone VIGNOSO conduce contro i greci per la riconquista di Scio e di Focea. La Repubblica di Genova, non potendo soddisfare i soci (Mahonenses) delle spese sostenute, stabilisce un compromesso il 26/02/1347, per il quale il "dominio utile" delle dette località (con diritto di batter monete) passa temporaneamente alla "Maonata", pur rimanendo l' "alto dominio" a Genova.

La "Maona vecchia" (una specie di Società per Azioni dell'epoca) si dà allo sfruttamento diretto del mastice e di altre risorse nell'isola di Scio, concedendo in appalto le cave di allume di Focea. Sostiene varie e vittoriose vicende, con i greci ed i turchi, fino a che il grande Pietro RECANELLI non riprende ai primi le due Focee (1348-1350).

Morto il VIGNOSO, la "Maona vecchia" appalta la riscossione delle rendite ad una "Maona nuova", diretta da Pasquale FORNETO e da Giovanni OLIVERIO. I soci della prima Maona, i quali, per maggior speditezza commerciale, nel 1359, unificano i loro diversi cognomi in quello non bene definito di GIUSTINIANI, si rinnovano, avendo ceduto le loro azioni; e di essi non rimane a far parte della nuova Maona che Pasquale DRIZZACORNE; questa cessione si ripete anche in seguito, determinando l'uscita di alcune famiglie e l'entrata di altre, fino a che nel 1528 i GIUSTINIANI sono ascritti al nuovo Albergo e ad esso sono aggregate altre famiglie non compartecipi della Maona.

Varie questioni sorte tra le due maone, sfociano nel compromesso dell'8 marzo 1362, con cui Scio passa in possesso della nuova Maona, i cui componenti (tutti popolari), riassumono il cognome GIUSTINIANI; sono essi Nicolò di CANETO, Giovanni CAMPI, Francesco ARANGIO, Nicolò da S. Teodoro, Gabriele ADORNO (che mantiene il proprio cognome), Paolo BANCA, Tomaso LONGO, Andriolo CAMPI, Raffaello de FORNETO, Luchino NEGRO, Pietro LIVIERO, Francesco GARIBALDO.

Pietro RECANELLI è capo della Maona e sostituisce il VIGNOSO nella luogotenenza di Scio. Nel 1361 è luogotenente papale in Smirne; nel 1363 consolida definitivamente i possessi non solo di Scio ma anche di Samo, Santa Panagia e di Focea, che l'imperatore di Bisanzio Giovanni PALEOLOGO cede con esplicita rinuncia.

Nel 1365, a Genova, sposa Margherita, figlia del doge Gabriele ADORNO; nel 1365-66 è ammiraglio della Repubblica e reprime i tumulti dei DORIA; nel 1367 tratta in Cipro la pace con i Mammalucchi; muore nel 1380.

In questo periodo i GIUSTINIANI vengono continuamente molestati dai Turchi, che tolgono loro Samo ed in seguito Focea, rendendoli tributari, ma si riappacificano grazie all'intervento veneto.

Fra continui ed alterni scontri con i Turchi, nel 1455, l'ammiraglio turco Junusberg prende Focea nuova, dove Paride GIUSTINIANI si arrende.

Nel 1481, i GIUSTINIANI abbandonano Nicaria ai Cavalieri di San Giovanni, come già prima hanno abbandonato loro Cos. Il 14 aprile 1566 l'ammiraglio Piali Pascià conquista l'isola, sottoponendola ad orrendo saccheggio. Vengono fatti prigionieri il podestà Vincenzo GIUSTINIANI, i dodici governatori e molti altri.

Tra i GIUSTINIANI si ricordano ancora letterati, tra i quali Andreolo BANCA e suo figlio Angelo (1385-1456), Pier Giuseppe, dell'Accademia degli "Addormentati", Serafino, monaco olivetano, autore della tragedia il "Numitore"; storici, tra cui Leonardo GARIBALDO, Agostino BANCA, vescovo di Nebbio, autore degli annali, Jacopo de FORNETO, al quale re Alfonso d'Aragona s'arrende come "a sovrano di Scio" (1435).

Sono dogi di Genova: Francesco Domenico GARIBALDO (1393); Andrea LONGO (1539); Paolo MONEGLIA (1569); Giovanni Agostino CAMPI (1591); Alessandro LONGO (1611); Luca suo figlio (1645); Giovanni Antonio GIUSTINIANO (1713); Brizio GIUSTINIANO (1775).

Sono cardinali: Vincenzo (1570); Benedetto (1585); Orazio (1645); Giacomo (1826); Alessandro (1831).

Infine, si trovano una moltitudine di anziani, senatori, governatori in Corsica ed altrove, ambasciatori, ed uomini munifici.

Risultano oggi esistenti vari rami sparsi in tutta Italia, patrizi genovesi, ferraresi, livornesi, romani, a Smirne, a Firenze, a Lecce, a Caprarica di Lecce, Savona, ecc.

Anche a Lecce, e nella sua contea, questo casato ha lasciato la sua impronta di dinamici affaristi, commercianti e baroni. Secondo il FOSCARINI (Op. cit.) questa nobile famiglia, originaria di Genova, è importata in Lecce, nella prima metà del secolo XVII, da Stefano Vincenzo GIUSTINIANI il quale soggiorna, dapprima, qualche tempo, in Lequile, ove rimane un suo discendente, il cui ramo si estingue, nel 1725, con Matteo, il quale ha in moglie Giovanna CAPOCCIA di Lequile.

Questo ramo leccese era imparentato coi baroni locali GIORGIO, TAFURO, BRUNETTO, CASTRIOTA, TRANI, SARACENO, BOZZICOLONNA, CHINCHIGLIA, VENTIMIGLIA, TRESCA e con altri. Si estingue con Francesco verso la fine del secolo XVIII.

La famiglia è iscritta nel Libro d'Oro della Nobiltà italiana e nell'Elenco Ufficiale dei Nobili italiani coi titoli di marchese, conte, patrizio genovese.

ARMA DEL CASATO: Di rosso al castello d'argento di tre torri, esagonale; col capo d'oro carico di un'aquila coronata di nero uscente dalla partizione.

A questo blasone, nel 1413, l'Imperatore Sigismondo, per i meriti di Francesco CAMPI, ambasciatore, nominato conte Palatino, aggiunge l'aquila nera imperiale rivolta a destra e coronata d'oro.

7. Il casale di Caprarica sotto i baroni GIUSTINIANI

Quando i componenti del casato dei GIUSTINIANI, ramo di Lecce, s'insediano nella contea, tramite il loro capostipite Stefano Vincenzo, oltre ad alcuni possedimenti in Lecce e nel casale di Lequile (dove dimora a partire dal 1641, a quanto afferma il FOSCARINI in "Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di terra d'Otranto estinte e vivente", Vol. I, Tavv. II e III), acquistano - com'è stato già detto -Â anche il casale di Caprarica di Lecce; l'acquisto avviene nel 1675, con istrumento redatto in Napoli dal dott. Francesco Maria GIUSTINIANI il quale prende possesso del casale con istrumento del 12 novembre dello stesso anno per notar Vincenzo STAIBANO di Lecce. Sul casale di Caprarica ai GIUSTINIANI viene concesso, con diploma 8 maggio 1682, il titolo di marchese.

L'evoluzione storica del casato dei GIUSTINIANI sul feudo e la Terra di Caprarica avviene in questo modo: il primo marchese è Francesco che nasce, da Giovan Andrea Fabiano e Lucrezia TAFURO (baroni di Lequile), il 07/10/1643; egli sposa Margherita TRANE, dei duchi di Corigliano, da cui nascono: Fabiano, Ambrogio, Stefano, che è padre gesuita, Benedetto che è chierico. Il MONTEFUSCO (Op. cit., pp.19-20) afferma che i laghi Alimini sono di proprietà del marchese di Caprarica Francesco GIUSTINIANI e che alla sua morte, avvenuta il 13/07/1669, passano ad un tal figlio Orazio che a noi, in verità , non risulta.

Alla morte di Francesco, succede il figlio primogenito Fabiano che diviene, perciò, il secondo marchese di Caprarica; egli sposa Fortunata CHINCHIGLIA-VENTIMIGLIA, da cui, però, non ha figli, per cui alla sua morte succede il fratello Ambrogio.

Si deve dire, in verità , che dal marchese Fabiano GIUSTINIANI e dalla sua consorte nasce il figlio Francesco ma, essendo affetto da morbo incurabile, per quel periodo, se ne muore alcuni giorni dopo la nascita.

Questo è il documento reperito presso l'A.P.C.: "Il giorno sette del mese di giugnodell'anno 1738 è nato, alle ore 10 del predetto giorno, Carmelo, Maria, Francesco, Ignazio, Lorenzo, Pietro, Gaetano, Antonio, Pasquale, Salvatore figlio dell'eccellentissimo signor Don Fabiano GIUSTINIANI e dell'eccellentissima Donna.... Fortunata Chinchiglia VENTIMIGLIA, coniugi, dei marchesi della Terra di Caprarica; io sottoscritto arciprete, costatato l'imminente pericolo di vita (del bambino) è stato da me battezzato in casa (castello baronale) e, a lui, ho amministrato anche i Sacramenti degli Infermi. I padrini sono: il signor duca di Corigliano Francesco TRANE e la sua consorte. In fede, don Leonardo VIZZI, arciprete".

A Fabiano GIUSTINIANI, dunque, succede, come terzo marchese, il fratello Ambrogio, nato nel 1695; egli sposa, nel 1732, Irene di Isidoro BOZZICOLONNA, da cui nascono: Anna Maria, nata il 22/08/1743 e morta il 29/11/1743, e Francesco, nato il 07/08/1736che succede, alla sua morte, nel 1783.

Francesco è il quarto ed ultimo marchese della Terra di Caprarica; sposa, il 12/04/1762, Francesca TRESCA, da cui, però, non ha figli; dispone, perciò, che alla sua morte succeda, nel titolo e nella parte dei suoi beni, il nipote della moglie, Francesco TRESCA; mentre l'ultimo GIUSTINIANI, nel 1759, vende il feudo nella sola parte allodiale (senza titolo) a Giovan Battista ROSSI, i cui eredi si fregiano del titolo di baroni di Caprarica.

8. Le Masserie Fortificate

Tralasciando, per un momento, l'evoluzione baronale in Caprarica, si deve dire che tra il XVI-XVII sec. avviene in Terra d'Otranto la corsa, da parte dei baroni, per la costruzione delle cosiddette masserie fortificate.

Considerando che in Caprarica vi sono i resti di almeno due di quelle che vanno definite Masserie fortificate, si deve dire che i primi prodromi di sviluppo, per quelle che saranno le consolidate masserie fortificate, si possono intravedere già nelle antiche "villae" romane, il cui dominus - nel Salento - si circonda di schiavi o servi della gleba, i quali attendendo alle colture.

Questi coloni rendono, in tal modo, la villa praticamente autonoma permettendo il sostentamento di tutta la comunità ed, in più, arricchiscono il padrone.

Le prime trasformazioni fondiarie vere e proprie, però, vengono avviate, a partire dalla fine del IX - X sec. d. C. ad opera dei Calogeri basiliani, i quali introducono nella nostra zona - vedi Abbazia di San Niceta in Melendugno, grancia bizantina di Corigliano d'Otranto ecc. - il rapporto colonico e nuove colture, tra cui la quercia vallonea, oggi pressocchè inesistente, dalle cui grosse ghiande si ricavava la farina per il pane.

Non è dunque un caso se in Caprarica vengono costruiti alcuni mulini (vedi, per esempio, catasto onciario), dove gli abitanti del casale e delle masserie fortificate del circondario macinano "...le mortelle (mirto) ...", che in quel periodo si producevano in grande quantità per usi domestici.

I vassalli del casale di Caprarica sono costretti, dal barone di turno e dalle leggi feudali, a portare le loro mortelle al mulino baronale, il quale - come per le olive -Â "...le moliva quando le pareva..." con il rischio, dunque, che i prodotti agricoli andassero in putrefazione. Se qualche abitante vuole molire in altri casali o in altri mulini deve pagare una tassa, altrimenti rischia di ricevere anche delle punizioni corporali; ciò ha una funzione dissuasiva verso gli altri. A ricordo dei frantoi-ipogei vi è, ancora, in Caprarica una contrada detta "Trappeto del Moro".

Complessivamente, le maggiori colture che vengono praticate nelle masserie fortificate del feudo di Caprarica sono il lino, il miglio, il grano, i legumi, i pomodori.

Tra le colture ad albero si ricordano: l'olivo il quale deve essere, continuamente, difeso dagli "storni et tortore delle quali se ne piglia quando più quando meno secondo l'annate", gli aranceti, i citrangoli, le melograne, i fichi d'India.

Tra il XIII - XIV sec., in Caprarica, sia i baroni BONSECOLO (possessori della prima quota) che i baroni CONDO' (possessori della seconda quota) che gli abitanti locali cercano, in tutti i modi, di rendere i loro terreni fertili; accrescono notevolmente la superficie coltivabile, grazie al lavoro di aggressione della macchia ed alla bonifica delle paludi.

Questo processo di rinnovamento delle organizzazioni fondiarie e sociali subisce, però, una crisi a partire dalla fine del XV sec.. La maggior colpa è da imputare a varie aggravanti, tra le quali la dequalificazione del territorio e lo sfruttamento disordinato della macchia-foresta (v. foresta iuxta foeudum) dei secoli precedenti.

Le epidemie, le incursioni dei pirati e saracene infliggono un forte salasso alla popolazione che vive nei casali posti lungo la costa (vedi Acaya, Roca, Melendugno ecc.), per cui la produzione agricola del comprensorio di Caprarica ottiene, da questa situazione, effetti benefici in quanto molti abitanti scampati si rifugiano nel suo feudo.

Gli abitanti, che vivono sparsi nei casali rivieraschi, a partire dalla fine del XV sec. (dopo cioè il collasso operato dai Turchi), cominciano ad abbandonare i luoghi privi di difesa: si concentrano, perciò, intorno al castello-civitas o nelle strutture fortificate che ricchi signori della contea di Lecce hanno edificato, aiutati dai massari(18), o, ancora, in vari casali come quello posto nella terra e nel feudo di Caprarica. Verso la fine del XV secolo, Caprarica vede così aumentare vertiginosamente il numero dei suoi abitanti.

A ciò si aggiungono i gravami fiscali del potere feudale e della chiesa.

Chi resta nelle campagne, perciò, si deve organizzare con le cosiddette "Masserie fortificate" (sono proprio le masserie fortificate dirette eredi - come detto - delle "villae" del tempi classici, le quali ci suggeriscono l'immagine di liberi coloni, di folti gruppi di liberti, padroni pressocchè assoluti e quindi cresciuti a notevole prestigio e capacità economica), veri avamposti di vedetta nell'entroterra, le quali, unite alle "Torri costiere", formano una struttura di difesa omogenea contro le incursioni provenienti dal mare.

Sia le torri costiere che le masserie fortificate vengono costruite a non più di 2 Km di distanza l'una dall'altra, in modo che, in maniera veloce, possano comunicare tra di loro di giorno col fumo e di notte col fuoco e con i "cavallari", i quali raccordano le torri costiere con le masserie fortificate e, perciò, anche con il casale di Caprarica.

Mentre in molti casali salentini, soprattutto quelli posti lungo la fascia costiera, si addensano una serie di collegamenti a vista, dalle terrazze delle torri delle masserie con le torri costiere, incentivando così un ingegnosissimo sistema difensivo di sbarramento alle minacciate invasioni, il territorio di Caprarica presenta, attualmente, oltre al castello solo due masserie fortificate.

Molto probabilmente gli abitanti di Caprarica dei secoli che vanno dal XII al XVIII sec., non essendo stati molto soggetti ad incursioni piratesche, non hanno sentito la necessità di munirsi in modo massiccio di queste strutture agricole fortificate; prova lampante è, come si dirà , il fatto che sono stati gli abitanti di casali come Roca o Ussano che hanno visto, nel XV sec., nel casale di Caprarica, posto in un luogo elevato, un sicuro baluardo naturale di difesa contro qualsiasi assalitore.

Per secoli le masserie fortificate sono state l'epicentro economico dell'agricoltura del Salento. Nelle masserie, intere famiglie e comunità vivono e lavorano, completamente autonome e con sufficiente ricchezza, da cui sorge la necessità di fortificazione e difesa.

Dal catasto onciario di Caprarica del 1744 si rileva: Un'altra contigua alle Curti di detta Masseria nominata La Noce, seminatoria di ettara 1 in semine. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 12, e grana 5, sono........................oncie 4,5.

Un'altra masseria era in possesso del ricco proprietario terriero di Lecce Diego BRUNETTI: "...Di più una Massaria o Palazzo con curti, case e capanne di fabrico per uso del massaro e per ricetto dei bestiami, dotata d'infratti territori....".

Vi sono, nel circondario di Caprarica, oltre alla masseria fortificata "li Brunetti", altre masserie non fortificate (Lu Moru, la Crucimuzza, lu Capece, la Rifisa, li Gesuini, la Sciummata, li Bosci, li Stali, lu Laccu). Un'altra masseria fortificata era nel casale di Ussano.

Com'era la struttura fortificata di una Masseria: Da quel tempo la masseria fortificata è divenuta una delle espressioni edilizie più avanzate di difesa contro gli attacchi nemici.

Il nucleo centrale della costruzione è quasi sempre costituito da un grande edificio quadrangolare a due piani con una stanza o più intercomunicanti; è munito anche di un ponte levatoio, saracinesca, caditoie, feritoie, garitta, cinta.

I vani del primo piano comunicano con quelli del pianterreno attraverso una botola, per mezzo di una scala a pioli, e con il terrazzo attraverso una scala di pietra ricavata nello spessore dei muri perimetrici.

Il pianterreno è generalmente adibito a magazzino per il deposito di viveri ed armi, per un'autonomia di circa un mese.

In caso di assedio viene alzato il ponte levatoio che poggia su di una scalinata o sul terrazzo, attraverso le caditoie, appositamente costruite in direzione dell'ingresso e delle finestre, da dove si fa cader giù olio bollente.

Attraverso le feritoie si spara con gli archibugi. La masseria fortificata si rivela sufficientemente sicura; ogni comunità stabilitavisi diviene un centro di coltivazione agricola ed è strutturata in modo da essere autosufficiente.

Intorno ad essa, amministrate nei tempi antichi anche da comunità religiose, si dispongono la chiesa, il molino, il forno, il frantoio, la neviera, le case dei coloni, magazzini per il deposito delle derrate e degli attrezzi, le stalle per il bestiame, l'alveare, il pollaio, la colombaia, i lavoratori vari per le diverse attività svolte nell'ambito delle masserie stesse, che divengono centri fiorenti di vita agricola e sociale.

9. Il "Catasto Onciario" di Caprarica di Lecce

Il casale di Caprarica di Lecce e della contea, tra la fine del XVII e l'inizio XVIII sec., è coinvolto in una situazione economica di estrema debolezza, causata dal salasso delle tasse che i re di Napoli impongono alle popolazioni del regno.

La crisi economica è così vistosa che la popolazione non è più in grado di soddisfare alle continue richieste pecuniarie del Regno il quale, a sua volta, versa nella medesima situazione di crisi, alla fine del XVII sec., tanto che il re di Napoli non è più in grado di pagare nemmeno il soldo (dei soldati).

A causa di questa crisi e per reperire nuove entrate il barone di Caprarica, Alessandro BOTTA-ADORNO vende, con il già citato istrumento del 12/11/1675, al ricco commerciante genovese Francesco Maria GIUSTINIANI il feudo.

Il nuovo marchese, di fresca nomina, trova gli abitanti di Caprarica travolti dalla miseria più esasperata, dalle malattie e pestilenze.

Il panorama storico generale, dunque, denotando la crisi economia del regno di Napoli solletica le ambizioni di vari regnanti d'Europa, i quali per ragioni diverse desiderano occupare questo regno.

Uno di questi è il re di Francia Luigi XIV, il quale ambisce ad occupare il Regno di Napoli, nonostante la sua irreversibile crisi, e l'Impero di Spagna; per questo motivo si fa avanti adducendo come movente il fatto di essere marito di Maria Teresa.

A questo punto, vari potenti d'Europa presentando le stesse credenziali di Luigi XIV, pretendono il medesimo trono; perciò si fanno avanti Leopoldo I di Germania e Massimiliano II di Wittelbach. La logica conseguenza è la deflagrazione di un conflitto a carattere europeo.

Terra d'Otranto e la contea di Lecce si schierano prima con i francesi (il cui vessiliero è Lorenzo Daun) e successivamente con gli spagnoli (il cui vessiliero è Don Carlos, figlio di Filippo V ed Elisabetta Farnese).

Così dopo la vittoria di Bitonto del 1734 e la successiva ratifica nella "Pace di Vienna" del 1738, i baroni di Terra d'Otranto salutano in Carlo III il re del nuovo stato denominato "Regno delle Due Sicilie".

Carlo III, mentre è barone di Caprarica Fabiano GIUSTINIANI, cerca con tenacia, nel 1739, di riformare e riassestare le finanze del regno delle due Sicilie e, per portare a termine ciò, si fa aiutare dal TANUCCI, professore universitario presso la "Normale" di Pisa, nominato, a tale scopo, suo ministro.

Fra i vari tentativi di riforma di Carlo III vi è quello di limitare quello strapotere politico che fino a quel momento hanno avuto i feudatari ed il clero; ma, per fare questo, il re non conduce un'opera drastica che si sarebbe sicuramente ritorta contro la sua politica, anzi cerca l'appoggio di essi nobili affidando loro importanti incarichi militari e civili.

Nonostante ciò, nella sua riforma fiscale comincia a tassare i beni dei feudatari e dei ricchi così come tassa i beni immobili della chiesa e del clero.

Infine un occhio di riguardo ha per le classi meno abbienti; infatti, proprio per queste Carlo III, nella prima metà del XVIII sec., invia un suo emissario per avere un quadro quanto più possibile fedele sullo stato di salute del popolo, e, su ciò il Galanti scrive: "...le case del contadino in quasi tutte le terre baronali non sono che miserabili tuguri (...), l'interno non offre a' vostri sguardi che oscurità , puzzo, sozzura e squallore. Un letto tapino insieme col porco e con l'asino formano per lo più tutta la di lui fortuna. I più agiati sono quelli che hanno il tugurio diviso dal porco e dall'asino per mezzo di un graticcio impiastricciato di fango...". Questa è in sintesi la realtà che si presenta anche in Caprarica.

Nasce così nel 1744 il catasto Onciario delle Università emanato da Carlo III.

Il catasto onciario s'interessa del fuocatico esistente nei vari casali; ogni fuoco è strutturato da un capofuoco e dai vari componenti la famiglia che vengono stimati in ragione di 5-7 componenti medi; si parla, poi, del testatico che s'interessa specificamente del membro della famiglia soggetto a tassa; vi è poi l'industria che si riferisce al reddito di lavoro della famiglia; vengono censite, inoltre, le botteghe, le corti, i molini, i trappeti ecc.; anche Caprarica segue questa sorte come si può vedere nel catasto onciario dell'Università della Terra di Caprarica rilevato presso l'archivio di stato di Lecce e che si riporta nelle parti essenziali.

Ingresso palazzo Brunetti

Catasto Onciario di Caprarica di Lecce del 1744 (A.S.L.)

1744 - Catasto generale dell'Università della Terra di Caprarica di Lecce, provincia di Terra d'Otranto delli beni così di cittadini come de forestieri, d'ordine di S. M. per Noi infrascritti Sindico, Uditori, e Deputati Eletti, servatis servandis formato a tenore dè Regali Istruzioni rimesse in stampa dalla Regia Camera, precedentino tutti gli atti preliminari cioè Banni, Parlamenti, ordini, atti di elezioni e di giuramento, Apprezzi e Riveli, Spogli, discussioni, Avvisi e Deputati ecc., giusta il Concordato ex altro prescritto in Regali Istructioni.

Abitanti di Caprarica di Lecce residenti

Giuseppe CAJO (pp. 57-59),

Regio notaro di ............................................. anni 60,

moglie, Maria LINCIANO di Martignano di .. anni 45

serva, Laura MORELLO di ............................ anni 16

Il di più della Tassa della testa, ................... grani 71.

Abita in casa propria con Molino in ordine, sita nella strada detta la Matrice Chiesa, giusta li beni di Prospero LEONE, e di Silvestro MARULLO coll'annua rendita di carlini 7 e grana 9, ed una gallina alla Camera marchile. Stabilita la rendita del Molino in annui carlini 15,

sono ...........................................................oncie 5

Possiede nelle pertinenze dette Palatej una chiusa olivata di m. alberi 9 in fronda, giusta li beni di Francesc'Antonio VIZZI da borea, e via pubblica. Stimata la rendita dedotte le spese di coltura extra: ducati 10, sono....................................oncie 33

Di più nelle pertinenze dette Monte un'altra chiusa nominata Giardino seminatoria di tomola(23) 2, e stoppelli 4 con pochi alberi di olive, e cormuni dentro; giusta li beni dell'Illustre Ambrogio GIUSTINIANI da borea, li beni dell'Illustre marchese da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: carlini 20 sono....................................oncie 6,20

Di più un'altra detta Monticello seminatoria di tomola 1, con pochi alberi di olive, ed acquaro dentro; giusta li beni del rev.do Munistero di San Francesco d'Assisi di Lecce da borea, e ponente li beni di Apollonio PARLATO da Strudà , da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra:

carlini 8...................................................................oncie 2,20

Di più nelle pertinenze dette Le Palate un'altra nominata Le Palate seminatorie di tomola 2 e stoppelli 4 in semina con Ajera, e cisterna dentro, giusta li beni del Sagro Ospidale di Lecce da borea, li beni del sacerdote don Antonio GARRISI, e di Cipriano GRECO da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita dedotte le spese extra: carlini 20, sono.................oncie 6,20

Di più un'altra nelle pertinenze dette le Terre nominata Li Cormuni seminatoria di stoppelli 4, con alberi di olive in fronda, confina la via pubblica da levante, e via vicinale da borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: carlini 18 sono.......................................................oncie 6

Di più possiede un giardinello detto La Pagliara alberato d'alberi d'agrumi sito dentro l'abitato, giusta li beni di Giuseppe GARRISI da gerocco, e li beni di Giuseppe di Domenico GARRISI, ed altri confini, quale giardino serve per uso proprio, essendo di delizia.

Di più possiede nelle pertinenze detta Palatej una quota parte di territorio alberato d'alberi d'olive nà‚° 6 di tomola 5 in fronda col peso di Messe 6 l'anno. La quondam Leonarda ARCHUDI, giusta li beni di Nicola FRANCO da levante, li beni della Venerabile Confraternita del Santissimo Sagramento. Stimate le rendite, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 5; quale rendita viene assorbita dal suddetto peso.

Di più possiede una somara per uso proprio.

Sono in tutto oncie 60,10.

Peso e deduzioni.

Sopra del suddetto territorio olivato nominato Palatej tiene il peso d'annui ducati 6 e grana 50 per celebrazione di Messe basse nà‚° 65 l'anno per l'anima della quondam Lucrezia DE RICCARDIS nell'altare dell'Immacolata Concezione dentro la chiesa Matrice.

Sono .....................oncie 21,20

Restano oncie 38,20.

Francesco LONGO (pp. 103-104),

Massaro comune, in feudo dissabitato di Ussano, ...anni 50,

Maddalena, moglie di ...... anni 42,

Pascale, figlio bracciale..... anni 20,

Gennaro, figlio bracciale... anni 16,

Salvadore, figlio................ anni 9,

Marzo, figlio bracciale....... anni 14,

Ippazio, figlio.................... anni 5,

Giovanna Maria, figlia...... ann 7,

Rosa, figlia......................... anni 3.

Testa: ducati 1 grana 71.................sono ducati 1,71.

Ind. di Francesco.......................... oncie 14,

Ind. di Pascale............................... oncie 12,

Ind. di Gennaro............................. oncie 6,

Ind. di Marzo................................. oncie 6.

Possiede la Casa propria, quale sta vuota sita nella strada detta Croce Longa, giusta li beni di Leonardo GARRISI.

Possiede una chiusa in luogo detto Trappeto del Moro, seminatoria di stoppelli 6 in semine con alberi comuni dentro, ed un albero d'olive, giusta li beni di Diego GARRISI da borea, da gerocco e ponente via pubblica. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 75 sono............................................oncie 2,15

Sono in tutto once 40,15.

Ortensio INGROSSO (pp. 105-106)

vive civilmente del suo, di anni 32.

Isabella PASCARELLI di Galatone, moglie, di anni 37.

Al di più della tassa della Testa.... grana 71.

Abita à casa propria sita in strada delle dette Palazze giusta li beni del chierico coniugato Donato INGROSSO suddiacono, coll'annua rendita di grana 25 ed un quarto di gallina alla Camera marchile.

Possiede una chiusa di detta terra seminatoria di capacità di ettara 2 in semine con alberi d'olive in 4 di cui due in fronda, Ajera, e Pozzo dentro, giusta altri suoi beni da levante, a borea e via pubblica da gerocco, a ponente. Stimata la rendita tolte le spese di coltura extra: carlini 21, e grana 8 sono................................................oncie 3,10

Di più un'altra contigua nominata Li Celsi seminatoria di tomola 2 in semine, con alberi d'olive di ettara 1 in fronda, ed Acquaro da curar lino; giusta li beni del Venerabil Monistero di DD. Monache di San Matteo di Lecce, da borea, li beni di Carlo TEODORO di Lequile da levante, e via pubblica da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: carlini 15 e grana 6, sono............oncie 5,6

Di più nel luogo detto Le Trozze una metà di giardino di capo in semine stoppelli 4 con alberi comuni dentro; giusta li beni del Venerabile Munystero di San Matteo di DD. monache di Lecce da levante, a borea li beni à solco di Donato INGROSSO da ponente. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: grana 75 sono oncie 2,15

Di più nelle pertinenze dette Le Pinzelle una chiusa seminatoria di tomola 1 e stoppelli 4 con alberi d'olive in 5 di ettara 2 in fronda et altri alberi comuni, giusta alli beni del mastro Pietro Maria FERRAROLI di Lecce da borea, li beni del sacerdote don Cipriano GRECO da levante, li beni del venerabile Collegio di San Francesco di Paola di detta città da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 13 sono............................................oncie 4.10

Di più un'altra nominata Le Filare olivata di macine 4 in fronda, giusta li beni del suddetto Pietro Maria FERRAROLI di Lecce da borea, li beni del Sacro Capitolo di detta città da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4 e grana 80, sono..................................oncie 16

Di più un'altra nominata Ottavio De Leone in luogo detto Le Malicupe olivata di macine 12 in fronda, giusta li beni del suddetto m. FERRAROLI da borea, li beni di Francesco QUARTA, e di Paolo D'ORIA da gerocco, li beni del suddetto mastro Donato INGROSSO da ponente, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 13 e grana 20 sono.......................................oncie 44

Sono in tutto oncie 79,11.

Abitanti residenti in Caprarica

VEDOVE E VERGINI IN CAPILLIS

Cittadini esentati dai fuochi e dipendenti da fuochi numerati

Numero 10

Forastieri abitanti laici

Numero 6

Sono in complesso oncie 365,20.

Forastieri non abitanti laici

Numero 88

Sono in complesso oncie 4292,16.

Forastieri non abitanti ecclesiastici secolati

Numero Sacerdoti 20

Sono in complesso oncie 531,11.

ECCLESIASTICI SECOLARI CITTADINI

Don Antonio GARRISI, sacerdote;

Don Cipriano GRECO, sacerdote;

Don Gennaro GARRISI, sacerdote cantore;

Don Giuseppe SANTORO, sacerdote;

Don Giuseppe Antonio FERRANTE, sacerdote;

Don Giovanni Battista GRECO, sacerdote arcidiacono;

Don Leonardo GARRISI, sacerdote;

Don Leonardo VIZZI, sacerdote - Arciprete.

Sono in complesso oncie 35,20.

*Â *Â *

Chiese Cappelle, e Benefici siti nel paese

Beneficio di Sant'Antonio abbate (pp. 190-191),

Cappella eretta extra moenia (fuori le mura)

Don Gio Batta GRECO, beneficiata.

Possiede una chiusa nominata la Via Pubblica, olivata di macine 5 in fronda, giusta li beni del Rev.do Capitolo di Lecce da borea, li beni del Sacro Capitolo di Caprarica da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra annui ducati 5, e grana 50, sono..............................................................oncie 18,10

Un'altra nominata Sant'Antonio Abate seminatoria di tomola 1 in semine, con alberi d'olive di tomoli 6 in fronda, giusta li beni dell'Illustre Marchese da borea, via pubblica da gerocco, e vicinale da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 15, e grana 5, sono..............................................oncie 5,5

Un'altra nominata Li Santantoni, olivata di tomola 1 in fronda, giusta li beni del Sacro Capitolo di Lecce da borea, li beni di don Pietro CIVINO di Caprarica di Lecce, da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 11, sono...........................................................oncie 3,20

Sono in tutto oncie 27,5.

Peso e deduzione

Sopra detti stabili si tiene il peso d'annui carlini 28, e grana 8 per celebrazione di Messe nà‚° 24 sono................................................oncie 9,18

Restano.................................................................................................oncie 17,17

c.) Beneficio sotto il titolo di Santa Veneranda (p.192)

Don Giuseppe CALVIELLO, beneficiato.

Possiede una chiusa nominata Santa Veneri, olivata di tomoli 1, ettara 8 in fronda, giusta li beni del Sagro Ospidale di Lecce da levante, e borea, e via pubblica da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 18, e grana 3, sono....................................................oncie 6,3

Alberi 4 di olive dentro la chiusa nominata Palatej dell'Illustre Don Ambroggio GIUSTINIANI. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 4, sono............................oncie 1,10

Alberi 3 di olive dentro la chiusa nominata Palma del Sagro Ospidale di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 25, sono................................................oncie 25

Alberi 3 d'olive dentro la chiusa nominata Palma del m. Carlo TEODORO di Lequile. Stimata la rendita extra: annue grana 20, sono............................. oncie 20

Un albero dentro la chiusa nominata Perrulli del m. Bernardo CATTANI di Lecce. Stimata la rendita extra: annue grana 8, sono..............................................oncie 8

Alberi 3 d'olive dentro la chiusa nominata Pinzelle del m. Pietro Maria FERRAROLI di Lecce. Stimata la rendita extra: annue grana 20.....................................oncie 20

Sono in tutto oncie 9,16.

d.) Beneficio di San Paolo (p. 193)

L'Arcidiacono SALZEDO d'Otranto, beneficiario.

Possiede una chiusa nominata San Paolo olivata di macine 1 in fronda con poca terra scapola di stoppelli 3 in semine; giusta li beni del sacerdote don Luca AMMASSARO da borea, li beni a sulco del Venerabile Munistero della Nova delle DD. Monache di Lecce da gerocco, li beni del m. Donato INGROSSO da ponente, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 15, sono........................................................................................oncie 5

Sono oncie 5.

e.) Beneficio de jure patronatus

dell'illustre famiglia Giustiniani de' marchesi di Caprarica (p. 194)

Don Leonardo Arciprete VIZZI, beneficiario.

Possiede una chiusa in luogo detto Sierro, olivata di macine 1, e tomola 6 in fronda, giusta li beni della Venerabile Cappella di Sant'Oronzo di Lecce da levante, e borea, li beni dell'Illustre Marchese da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 19, sono......oncie 6,10

Sono in tutto oncie 6,10.

e.) Reverendo capitolo (pp. 195-198)

Possiede una possessione nominata Profico seminatoria di cap. in semine stoppelli 4 et olivata di m. 3 in fronda; giusta li beni dell'Illustre Marchese da borea, li beni del medesimo da levante, e gerocco, e via pubblica da ponente. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 28 sono.........................oncie 12,20

Un'altra nominata Insite olivata di m. 13 in fronda; giusta li beni dell'Illustrisismo Don Ambroggio GIUSTINIANI secondogenito del Marchese di Caprarica (Francesco Maria) da borea, li beni dell'Illustre marchese da levante, e via pubblica da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 14, e grana 30, sono...................................................oncie 47,20

Un'altra nominata Mangiasole in luogo detto Li Vecchi, olivata di macine 3 in fronda; giusta li propri beni da borea, li beni del Conservatorio di San Leonardo di DD. Monache di Lecce da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 33, sono........................................oncie 11

Un'altra nominata similmente Mangiasole in luogo detto La Madonna della Grazia, olivata di macine quattro, tomola 6 in fronda; giusta li beni di detto Conservatorio di San Leonardo da borea, e beni propri da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4, e grana 95, sono...................................oncie 16,15

Un'altra nominata Santa Venneri, olivata di macine 1, e tomola 3 in fronda, giusta li beni di m. Francesco MATINO di Lecce a levante, li beni di Francesc'Antonio VIZZI a ponente, e via pubblica da borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 11, e grana 5, sono..........................................oncie 3,25

Un'altra nominata Trozze in luogo detto Polette mute, olivata di macine 1, et tomola 3 in fronda, giusta li beni a sulco del venerabile Munistero della Nova di Lecce da gerocco, del m. Carlo TEODORO di Lequile da levante, e via vicinale da ponente. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 11, e mezzo, sono......................................................oncie 3,25

Un'altra nominata La via pubblica olivata di macine 1 et tomola 4, giusta li beni beneficiali di Sant'Antonio Abbate da borea, li beni di Diego MARULLO da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 14, e grana 8, sono................................................oncie 4,28

Un'altra nominata Selviate in luogo detto Tamburro, olivata di macine 1, e tomola 6 in fronda; giusta li beni del m. Pietro Maria FERROTTI di Lecce da borea, di Francesco VALENTINO da ponente, e via pubblica. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 16, e grana 5, sono.............................oncie 5,15

Un'altra nominata San Paolo in luogo detto Lo Pranzo, olivata di macine 1 in fronda; giusta li beni del Venerabile Munistero di Santa Chiara di DD. Monache di Lecce da levante, e gerocco, e lo spartifeodo di Ussano a borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 11, sono.............................................oncie 3,20

Un'altra nominata Malispinose in luogo detto Marcantonio Santo, olivata di macine 4 in fronda; giusta li beni dell'Illustrissimo marchese don Ambroggio GIUSTINIANI di Lecce da borea, li beni di Romano GARRISI da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4, e grana 40, sono...............................................................oncie 14,20

Un'altra nominata Pedengrene Schiati in luogo detto Lo Pranzo, olivata di macine 2 in fronda; giusta li beni del Venerabile Munistero di Santa Chiara di DD. Monache di Lecce da borea, li beni di Francesco MATINO di detta città da gerocco, e via pubblica da ponente. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 22, sono..................................................oncie 7,10

Un'altra nominata Agostino seminatoria di stoppelli 4; giusta li beni della donna Chiara LICASTRO da borea, li beni di Pietro LETO da levante, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 9, sono.......................................................................oncie 3

Alberi 5 d'olive in luogo detto Li Palatej di tomola 2 in fronda; giusta li beni della venerabile Cappella del SS.mo Rosario da borea, li beni di Cataldo CUCURACHI da levante, e da ponente dal Rev.do Capitolo di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 18, sono...............................................oncie 18

Un'altra nominata Ciccoli in luogo detto Tamburro, olivata di macine 3 in fronda; giusta li beni di Donato PEDONE da borea, li beni di D. Luca AMMASSARO di Lecce da levante, e via pubblica da ponente. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 22, sono..................................oncie 7,10

Sono in tutto oncie 142,16.

Peso e deduzione

Sopra detti beni tiene il peso d'annui ducati 18 per celebrazioni di Messe nà‚° 150 atteso le altre Messe sono state distribuite sopra i Capitoli censi, sono ...............................................oncie 60

Restano..................................................................................................oncie 82,16.

f.) VENERABILE CAPPELLA DEL SANTISSIMO SAGRAMENTO

(pp. 199-201)

Possiede una chiusa, seu quota parte, nominata Palatej, olivata di macine 1 et tomola 6 in fronda; giusta li beni a sulco di Rosa Maria PETRACHI di Castrì Francone, li beni a sulco di Nicola FRANCO, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 16 e mezzo.

Albero 1 d'oliva dentro la chiusa nominata Partita dell'Illustre Don Ambroggio GIUSTINIANI. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 8.

Alberi 2 dentro la chiusa nominata Camporelle del Venerabile Munistero di San Francesco d'Assisi di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 15.

Alberi 3 d'olive dentro la possessione detta Palma del Sagro Ospidale di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 20.

Alberi 3 dentro la chiusa nominata Trozze del m. Carlo TEODORO di Lequile. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 25.

Alberi 4 d'olive dentro la possessione di Francesco MATINO di Lecce, detta di Santa Venneri. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 30.

Alberi 2 d'olive dentro la possessione nominata San Paolo di Fortunato GARRISI. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 12.

Alberi 4 dentro la possessione detta Martanielli del Venerabile Munistero della Nova di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 20.

Alberi 7 d'olive dentro la chiusa nominata Monache di Giovacchino GRECO. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 5.

Alberi 7 d'olive dentro la chiusa Grande del Venerabile Munistero dei PP. Domenicani di Matino. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 4 e mezzo.

Alberi 3 d'olive dentro la chiusa detta Pinzelle del ch.à‚° Giuseppe QUARTA di Castrì. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 18.

Alberi 2 d'olive dentro la chiusa detta Costantino del Venerabile Munistero di San Matteo di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 10.

Alberi 6 d'olive dentro la chiusa nominata Monache del Munistero delle Angiolille di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 4.

Alberi 3 dentro la chiusa detta Fica del m. Bernardo CATTANI di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 18.

Alberi 4 dentro la chiusa detta Pizzaniche del m. Pietro Maria FERRAROLI. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 3.

Alberi 4 dentro la chiusa detta Pezzaniche delli Marinari. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 3.

Alberi 3 dentro la chiusa detta di Sotto delli poveri Ammalati di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 15.

Alberi 2 d'olive dentro la chiusa detta Pacco del Sagro Ospidale di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 10.

Alberi 2 dentro la chiusa detta Perrino di Giovan Donato BRIZZI di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 12.

Alberi 8 d'olive dentro la chiusa in luogo detto La via di Calimera di Bernardino BONAGGIUTO. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 5, quali mà‚° comuni ed Sagro Capitolo.

g.) VENERABILE CAPPELLA

DEL SANTISSIMO ROSARIO (pp. 202)

Possiede una chiusa nominata Palatej, olivata di macine 1 tomola 10 in fronda; giusta li beni di Vito CINGARELLI di Matino da borea, li beni di Cataldo CUCURACHI da gerocco, li beni del Sagro Capitolo di Lecce da ponente, e via vicinale. . Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 21, sono...............oncie 7

Alberi d'olive nà‚° 15 dentro la possessione detta Palatej dell'Illustre Don Ambroggio GIUSTINIANI. . Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 6, sono...................................................oncie 2

Alberi 1 d'oliva che chiamasi di Nardò dentro la chiusa di Francesco MATINO di Lecce. . Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana ...........5

Albero 1 d'oliva dentro la possessione detta Santa Venneri del m. Carlo TEODORO di Lequile. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana .........8

Alberi 1 d'oliva dentro la chiusa di Fortunato GARRISI, detta San Paolo. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana.............................7

Alberi d'olive 2 dentro la possessione detta Martaniello del Munjstero della Nova di Lecce. . Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 15, sono.......................oncie 15

Sono in tutto oncie 9,28.

*Â *Â *

Chiese, cappelle, capitolo e benefici dei cittadini

Sono complessive oncie 65,19

*Â *Â *

Chiese, capitoli, monisteri, benefici, e luoghi di forestieri degli infrascritti luoghi

Sono complessive oncie 1266,7

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Abitanti di Caprarica non residenti (p. 205)

Donato PEDONE della Terra di Martignano, ..... di anni 25

Antonia VERDOSCIA, moglie,.....................di anni 30

Francesco, figlio,...................................... di anni 1.

Jus habitationis (Diritto all'abitazione)............... 1,50

Possiede una quota parte di chiusa nominata Schiate in luogo detto Tamburro, olivata di macine 1, tomola 2 in fronda; giusta li beni del Sagro Capitolo da gerocco, li beni di don Luca AMMASSARO di Lecce da levante, e via pubblica da ponente. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 13, sono.........oncie 4,10

(Vi è una postilla riportata dall'amanuense dove rettifica che questa chiusa la possiede il Regio Capitolo di Caprarica)

Sono oncie................................................................................4,10

Illustrissimo don fabbiano giustiniani

Marchese di questa terra (p. 206-214)

Possiede li seguenti beni burgensatici cioè:

Possiede il Palazzo Baronale, edificato da antecessori marchesi in luogo detto La Piazza con più, e diversi membri superiori, ed inferiori con giardinetto d'agrumi per proprio uso.

Di più una possessione nominata Donna pazza, olivata di macine 1 in fronda; giusta li beni del m. Pietro Maria FERRAROTTI della città di Lecce da gerocco, li beni del Venerabile Munjstero dei PP. Carmelitani di detta città da borea, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 11, sono oncie 3,20

Di più una Massaria con case di fabbrica, superiori ed inferiori per uso d'abitazione del massaro, e per rigetto dè bestiami, con curti, cisterna, ed ajera nominata...dotata d'Jnfratti territori, cioè:

Una chiusa nominata Crocefisso seminatoria di stoppelli 4 in semine con alcuni pochi alberi d'olive; giusta li beni di Pantaleo CONTE da borea, e via pubblica da ponente, alias detta San Paolo. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 6, sono.................oncie 2

Un'altra nominata Pichichi vecchi seminatoria di macine 1, e stoppelli 4 in semine con alcuni alberi d'olive di tomola 3 in fronda; giusta li beni del Sagro Seminario di Lecce da borea, e beni propri da levante, e gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 18, sono.................................oncie 6

Un'altra nominata Montegrande in luogo detto Li Pichichi, olivata di macine 11 di fronda; giusta li beni dell'Illustre don Ambroggio GIUSTINIANI dè secondogeniti dè marchesi di Caprarica da borea, li beni del m. Domenico INGROSSO da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 12, e grana 10, sono..................oncie 40,10

Un'altra nominata Aera seminatoria di ettara 2, e stoppelli 4 in semine. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 31, sono............oncie 10,10

Un'altra contigua nominata Ferraro, seminatoria di macine 2 in semine con alcuni alberi d'olive di tomola 2 in fronda. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 3, e grana 15, sono.......................................oncie 10,15

Un'altra contigua nominata Petrosa seminatoria di capacità in semine tomola 1, e stoppelli 4. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 20, sono....................oncie 6,20

Un'altra contigua nominata Cornula di terra seminatoria di tomola 4, dico di tomola 3, e stoppelli 4, con alberi d'olive di ettara 6 in fronda. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4, sono ..............................oncie 13,10

Un'altra contigua alle Curti di detta Masseria nominata La Noce, seminatoria di tomola 1 in semine. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 12, e grana 5, sono.........oncie 4,5

Un'altra contigua nominata Li Marini, seminatoria di stoppelli 4. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 65 sono...........................oncie 2,5

Un'altra nominata Salomo in luogo detto alla strada di Galignano, seminatoria di stoppelli 4; giusta li beni del m. Angiolo Bennardo CATTANI di Lecce da gerocco, e via pubblica da borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 75, sono .................................oncie 2,15

Un'altra nominata Gigiola di terra seminatoria di capacità in semine tomola 3, con alberi d'olive, 6 in fronda; giusta li beni di Nicolò FRANCO da ponente, e via pubblica da gerocco, a borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 30, sono................................oncie 10

Un'altra nominata Sciumbata, seminatoria, di tomola 6 in semine con alcuni alberi d'olive, 1 in fronda, in luogo detto alla strada di Galignano; giusta li beni di detto Nicolò FRANCO da borea, li beni propri da ponente, e via pubblica da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 6, sono........................................................................oncie 20

Una quota parte di chiusa in luogo detto Le Cornule, seminatoria di stoppelli due, in semine; giusta li beni delli Poveri Ammalati di Lecce da ponente, e borea, li beni di Francesco GRECO da girocco e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 45, sono..........................................oncie 1,15

Una quota parte di territorio aggresto (agreste) e macchioso per pascolo de bestiami, detto Campore in luogo detto Marc'Antonio Santo con alcuni alberi d'olive, 1 in fronda; giusta li beni del Sagro Ospidale di Lecce da gerocco, li beni propri da ponente, e via pubblica. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 15, sono........................................................oncie 5

Un'altra nominata Insite in luogo detto Sciummata, olivata, di cui 8 in fronda; giusta li beni del Sagro Ospidale di Lecce da ponente, e borea, e via pubblica da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 10, sono oncie 33,10

Una quota parte di Sierro detto Sierro di Ottavio, olivato, di cui 6 in fronda, giusta li beni della Venerabile Cappella di Sant'Oronzo di Lecce da levante, e borea, e beni propri da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 65, sono................................oncie 2,5

Un'altra chiusa nominata Cicalelle, seu Insite, in luogo detto Le Cicalelle, olivata, di cui 10 in fronda, dico nà‚° 7 in fronda; giusta li beni del Venerabile Monjstero dè PP. Domenicani di Lecce da ponente, e li beni propri da gerocco, e borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 8 e grana 75, sono ...oncie 29,5

Un'altra nominata Giudjche in luogo detto Le Difise (comunemente, ora, Rifise), olivata, di cui 10 in fronda; giusta li beni del Venerabile Munjstero dè PP. Domenicani di Lecce da gerocco, li beni del Sagro Ospidale da ponente, e beni propri da borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 12 e grana 50, sono..................................................................oncie 41,20

Un'altra nominata Defisa, olivata, di cui 7 in fronda; giusta li beni delli Poveri Ammalati di Lecce da borea, li beni del m. Angelo Bennardo CATTANI di Lecce da levante, beni propri da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 7 e grana 50, sono....................................oncie 25

Un'altra nominata La Noce in luogo detto Le Cicalelle, olivata di cui 25 in fronda con pagliaro dentro; giusta li beni della Venerabile Cappella di Sant'Oronzo di Lecce da borea, li beni del Sagro Ospidale di detta città da levante, e beni propri da ponente. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 21 e grana 25, sono...................................................oncie 104,5

Un'altra nominata Cisterna in detto luogo Le Cicalelle, olivata, di cui 18 in fronda; giusta li beni a sulco dell'Illustre Ambroggio GIUSTINIANI da gerocco, la Cappella suddetta di Sant'Oronzo da borea, e li beni propri da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 22 e grana 25, sono............oncie 74,5

Un'altra nominata Puzzo nuovo seminatoria di tomola 3 in semine, con alberi d'olive di cui 76 in fronda; giusta li beni di detto Illustre don Ambroggio GIUSTINIANI da levante, beni propri da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4, sono..........................................oncie 13,10

Un'altra nominata Longa in luogo detto Gianella seminatoria di tomola 10 e stoppelli 4 in semine, con alberi d'olive di cui 6 in fronda; giusta li beni dell'Illustre don Ambroggio secondogenito da borea, li beni di don Diego BRUNETTI di Lecce da levante e gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 30, sono...................................oncie 10

Un'altra nominata Giardino seminatoria di tomola 10 e stoppelli 4 in semine, con alberi comuni dentro, Pozzo e Casa lamiata, e alcuni alberi d'olive, di cui 8 in fronda; giusta li beni del m. notaio Giuseppe CAJO da borea, li beni di Gio. Batta METRAJA di Lecce da gerocco, e via pubblica da levante vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 35, sono............oncie 11,20

Una quota parte di chiusa in luogo detto San Marco, seminatoria di tomola 1; giusta li beni di don Diego BRUNETTI da borea, li beni a solco di don Leonardo VIZZI arciprete da levante, li beni del m. Capitan Alessandro MONTINARO di Calimera da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 10, sono ..........................................oncie 3,10

Un'altra nominata Li Vecchi, olivata, di macine 4 in fronda con pagliaro dentro; giusta li beni di Ignazio QUARTA di Pisignano da borea, li beni beneficiali di Sant'Antonio Abbate da gerocco, e via vicinale da levante vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4, sono...............oncie 13,10

Un'altra nominata Vigna vecchia seminatoria di tomola 10 in semine, con alberi d'olive di cui 4 in fronda; giusta li beni del Conservatorio di San Leonardo di Lecce da levante, li beni di don Diego BRUNETTI da gerocco, beni propri da borea, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 6, sono......................................................................oncie 20

Un'altra nominata Li Vecchi olivata di m. 4 in fronda, con pagliaro dentro; giusta li beni del Sagro Capitolo da borea, beni propri da levante, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4, sono............. .....oncie 13,10

Un'altra nominata Freolita, olivata di macine 7 in fronda; giusta li beni del detto Conservatorio di San Leonardo da levante, e, beni propri da gerocco, e borea, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 7, e grana 70, sono.................oncie 25,20

Un giardino per uso di fogliami vicino l'abitato nominato Puzziello con terra scapola di ettara 4 in semine e vigna 7 con diversi e comuni dentro, puzze due d'acqua sorgente e casa lamiata per uso d'abitazione del giardiniero, ed anco una cisterna; giusta li beni del m. Angiolo Bennardo CATTANI di Lecce da levante, via pubblica da borea, e vicinale da gerocco vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 10, sono................................oncie 33,10

Di più possiede due trappeti da macinar olive, de quali uno attrovasi in ordine, siti uno dentro una grotta attaccata alla sopra descritta Massaria, e l'altro dentro la grotta detta Il Moro con curte, e pozzo accosto; giusta li beni di Leonardo DELLE DONNE, e di Pantaleo D'ORIA. Stimata la rendita del trappeto ordinato: annui ducati 15, sono................oncie 50

Di più possiede annui carlini 21 che esigge da alcuni possessori in feodo per causa dè censi minuti seu enfiteotici sopra alcuni fondi burgensatici, che da medesimi si possedono, sono............oncie 7

Di più vacche aratorie 3, una dè quali serve ad instructionem feodi, cioè per coltura dè servitori feodali; Degli altri 2, che servono per coltura dè burgensatici, stabilita la rendita: annuali carlini 24, sono ..............oncie 4

Di più 30 pecore da corpo, dalle quali se ne deducono 15, che servono per mandriare li territorio feudali; e dell'altre 15, stimata la rendita: annui carlini 15 sono oncie 2,15.

Sono in tutto oncie 655,10.

Pesi e deduzioni

Sopra delli suddetti beni vi tiene il peso d'annui ducati 36, e grana 50 per celebrazione di Messe una il giorno nell'altare di San Lorenzo GIUSTINIANI, sito nella Cappella del SS.mo Crocifisso fuori l'abitato e una Messa cantata nel giorno di San Filippo Neri per l'anima di Don Matteo GIUSTINIANI, come dal suo testamento, che sono...........................................oncie 121,20

Di più altri ducati 36 per celebrazione di Messe, una al giorno per l'anima del fu Francesco Maria GIUSTINIANI, che sono ..............................oncie 120

Altri ducati 10 e grana 40 per celebrazione di Messe due la settimana per l'anima del fu don Matteo GIUSTINIANI, che sono....................................oncie 34,20

Altri ducati 6 per mantenimento dè suppellettili dell'altare di detta Cappella, che sono.......oncie 20

Sono in tutto...oncie 296,10

Restano oncie 359.

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Illustre Don AMBROGIO GIUSTINIANI

dè Marchesi di Caprarica

Patrizio della Città di Lecce (pp. 231-236)

Possiede li seguenti beni burgensatici.

Una possessione nominata Palatej, olivata di macine 20 in fronda; giusta li beni di Giovanni COLETTA da gerocco, li beni di Vito CINGARELLI di Matino da levante, e via pubblica da borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 22, sono..................oncie 73,10

Un'altra nominata chiusa in luogo detto Li Palatej seminatoria di tomola 1 e stoppelli 4 con alberi d'olive di m. 2 in fronda; giusta li beni di Nicolò FRANCO da borea, li beni del venerabile Munistero di San Francesco d'Assisi di Lecce da ponente, e via vicinale da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 30 e grana 7, sono.....................oncie 10,7

Un'altra contigua in luogo Palatej, seminatoria di tomola 8; giusta li beni propri da borea, e via vicinale da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 7 e grana 50, sono...................................................oncie 25

Un'altra nominata Tiberio in luogo detto Li Tiberij, olivata di macine 20 in fronda; giusta li beni di don Pietro CIVINO di Lecce a borea, li beni dell'illustrissimo marchese da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 22, sono..........................................oncie 73,10

Una metà di chiusa di terra seminatoria di stoppelli 4 in semine con alberi d'olive di tomola 3 in fronda; giusta li beni del m. Donato INGROSSO da borea, li beni della vedova Chiara LICASTRO da gerocco, e li beni a sulco di Lazzaro GRECO, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 10, sono..............................................................oncie 3,10

Una quota parte di territorio macchioso, ed aggreste detto Marc'Antonio SANTO in luogo nominato Le Malespine, per pascolo dè bestiami; giusta li beni del Sagro Capitolo da gerocco, li beni da levante via pubblica. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 3, sono..............................oncie 1

Una possessione nominata Stelo in luogo detto Le Tagliate, olivata di macine 18 in fronda; giusta li beni del Sagro Ospidale di Lecce da borea, li beni del Venerabile Colleggio dè PP. Giesuiti di detta città da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 22 e mezzo, sono................................oncie 75

Un'altra nominata Porcicelli in luogo detto Li Porcili, olivata di macine 15 in fronda; giusta li beni del venerabile Sagro Ospidale da borea, li beni della m. Catarina SAMBIASI di Lecce da gerocco, li beni del venerabile Colleggio dei PP. Giesuiti da levante, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 18, sono..........................................oncie 62,15

Un'altra nominata Vittoria in luogo detto Li Porcili, olivata di macine 4 in fronda; giusta li beni di donna Caterina SAMBIASI da borea, li beni del m. Angelo Bennardo CATTANI di Lecce da gerocco, e via pubblica. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 5, sono..........................................oncie 16,20

Un'altra nominata Cisterna in luogo detto Le Cig(c)alelle, olivata di macine 28 in fronda; giusta li beni a sulco dell'illustre marchese da borea, li beni del suddetto Sagro Ospidale da ponente, e beni propri da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 35, sono.................................oncie 116,20

Un'altra nominata Monticello in luogo detto Trecase, seminatoria di tomola 3 con alberi d'olive di m. 1 di cui 6 in fronda; giusta li beni di detto venerabile Munjstero di San Francesco da borea, li beni dell'illustre marchese da levante, li beni di don Leonardo VIZZI, arciprete, da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 5, sono.........oncie 16,30

Un'altra nominata Aera in luogo detto Gianella, olivata di macine 1 in fronda; giusta li beni dell'illustre marchese da gerocco, beni propri da ponente e borea, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 12 e grana 5, sono.................................oncie 4,5

Un'altra nominata D'Antonio in detto luogo Gianella, olivata, di macine 1, ettara 3 in fronda; giusta li beni dell'illustre marchese da borea, li beni di don Diego BRUNETTI di Lecce da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 15, sono............oncie 5

Un'altra nominata Augusto, seminatoria, di stoppelli 6 in semine con alcuni alberi d'olive di tomola 2 in fronda; giusta li beni dell'illustre marchese da borea, li beni del Conservatorio di San Leonardo di Lecce da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 10, sono...............oncie 3,10

Un'altra nominata Mangialicon in luogo detto Lo Monte, seminatoria, di tomola 2 in semine, con alberi comuni dentro; giusta li beni del suddetto venerabile Munjstero di San Francesco d'Assisi da borea, li beni del notaro Giuseppe CAJO da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 22 e mezzo, sono................................oncie 7,15

Un'altra nominata Rizzato di terra seminatoria di stoppelli 6 in semine con alberi comuni ed acquaro dentro in luogo detto Sant'Antonio; giusta li beni di Francesco GRECO da borea, li beni del venerabile Munjstero di San Francesco d'Assisi da gerocco e li beni di Matteo QUARTA da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 10, sono.........oncie 3,10

Un'altra nominata Puzzonuovo, in luogo detto Pozzarelle, seminatoria di tomola 4 in semine, con alberi d'olive di cui 1 in fronda; giusta li beni propri da gerocco, i beni propri da levante, e vicinale da borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 5 e grana 50, sono.......................................oncie 18,10

Un'altra nominata Agliastro, olivata di macine 9 in fronda; giusta li beni di don m. Angiolo Bernardo CATTANI da gerocco, i beni propri da borea, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 11, sono................................oncie 36,20

Un'altra nominata Brancacci di terra seminatoria di tomola 2 in semine ed olivata di m. 8 in fronda; giusta li beni di Giovanni Battista MATRAJA di Lecce da borea, li beni di detto Munjstero di San Francesco di Paola di Lecce da gerocco, e via pubblica da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 12, sono.........................................................oncie 40

Un'altra nominata Pire in luogo detto San Marco, seminatoria di tomola 6 in semine; giusta li beni di don Diego BRUNETTI da levante e gerocco, e via pubblica da borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4 e grana 50, sono............................................oncie 15

Un'altra nominata Lucente in luogo detto Le Palatej, olivata, di macine 2 ed tomola 6 in fronda; giusta li beni di Ignazio QUARTA di Pisignano da gerocco, da levante e borea via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 27 e mezzo, sono.....................oncie 9,5

Un'altra in luogo nominata Lucentella, seminatoria, di tomola 1 in semine, con alberi d'olive di m. 1 in fronda; giusta li beni del Reverendo Capitolo da gerocco, beni propri da levante e via vicinale da borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 21, sono............oncie 7

Un territorio vitato d'orte cinque di vigna, con alcuni alberi d'olive di tomola 3 in fronda, nominato La Chiusura Grande in luogo detto Le Palatej; giusta li beni di Nicolò FRACO' da borea, li beni dell'illustre marchese da levante, e beni propri da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4 e mezzo, sono.............................................oncie 15

Un'altra nominata Giannella di terra seminatoria di capacità in semine tomola 3 con alberi d'olive di m. 2 in fronda. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 5, sono..................oncie 16,20

Sono in tutto oncie 654,23.

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Abitanti di Caprarica di Lecce

non residenti (p. 243)

Mag. Donna Catarina SAMBIASI di Lecce

Per capire il motivo per cui questa nobildonna risulta avere dei residui possedimenti, nella Terra di Caprarica, risale intorno al 1485 quando il barone, locale, Vincenzo GUARINI sposa la nobildonna Camilla dei baroni SAMBIASI. Caterina, perciò, è una lontana discendente di Camilla.

Possiede una possessione nominata Porcili, olivata di macine 80 in fronda; giusta li beni del venerabile Colleggio dei PP. Giesuiti di Lecce da gerocco e li beni del m. Angiolo Bernardo CATTANI di detta città , e da borea anche li suddetti PP. Giesuiti. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 100, sono...................................................oncie 333,10

Un Sierro contiguo macchioso ed aggreste per pascolo de bestiami di capacità di tomola 5. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 15, sono.................................oncie 5

Sono in tutto oncie 338,10.

Nota: Si nota però che siccome per una porzione di possessione nominata Porcili di Donna C. SAMBIASI si è un certo peso legato di Messe perpetue ........... non fu rivelato nè dedotto nel fkrmare il catasto in forza di Ordini della Regia Camera osservati dalla Regia Bagliva di Lecce e con decreto della stessa ......... in data dè 10 giugno 1790 fu decretato che la suddetta quota parte di possessione fu soggetta a detto peso di Messe dovesse pagare la bonatenenza pro medietatem perciò a Donna SAMBIASI gli è ricaduto il peso di............................. annui ducati 6 e grana 11.

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Filippo BELI, di Acaya.

Possiede a Caprarica una quota parte di chiusa nominata Fierro in luogo detto Pranzo, olivata di macine 1, tomola 6 in fronda; giusta li beni di Romano GARRISI da borea, li beni del Venerabile Monjstero di Santa Chiara di DD. Monache di Lecce e via pubblica da ponente. Stimata la rendita carlini 20, sono............oncie 6,20

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Don Diego BRUNETTI

Patrizio della Città di Lecce (p. 244)

Possiede il Palazzo con più e diverse camere superiori ed inferiori, stalle, rimesse e nivera con piccolo giardino di delizia, sito fuori l'abitato per uso proprio e del suo agente, quale protrebbesi affittare a ducati 5.

Di più accosto a detto Palazzo, un trappeto in ordine da macinar olive, stabilita la rendita per annui ducati 15, sono........................oncie 50

Di più in detto luogo dicesi Li Marini, possiede 2 piccoli ortali contigui a detto Palazzo di terra seminatoria di stoppelli 4 con alberi comuni; giusta li beni dell'illustre marchese, e di Antonio MAZZEO. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 10, sono....................................oncie 3,10

Di più una possessione nominata Difesa seu Messer Antonio, olivata, di macine 18 in fronda; giusta li beni del Sagro Ospidale di Lecce da gerocco, li beni delli poveri ammalati di detta città da levante e via pubblica da borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati..........................

Di più una Massaria con curti, case e capanne di fabrico per uso del massaro e per ricetto dei bestiami, dotata d'infratti territori.

Sono in tutto oncie 774.

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Reverendo Seminario della città di Lecce (p. 375)

Possiede una possessione nominata Lisantoni in luogo detto Li Ifbery, olivata, di macine 10 in fronda, dico di macine 20 in fronda; giusta li beni del Reverendo Capitolo di Lecce da borea, li beni di Francesco GRECO da gerocco, li beni di don Giovanni Battista GRECO da levante e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati..............................22

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Marchesal Camera di Caprarica (p. 376-377)

Possiede li seguenti Beni Feodali cioè:

Possiede una possessione nominata Donnapinta, olivata, di macine 20 in fronda; giusta li beni di m. Pietro Maria FERRAROLI di Lecce da gerocco, li beni del venerabile Munystero d'ogni bene di detta città . Lo spartifeodo di Lizzanello da borea, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati.............................................................................22

Un'altra nominata Allato di terra seminatoria di capacità in semine tomola 3 con alberi d'olive di macine 4 in fronda; giusta li beni del Venerabile Munystero di San Matteo di DD. Monache di Lecce da borea, li beni del sacerdote Filippo DELL'ANNA di Galignano da levante, li beni del Capitolo da gerocco e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati .............7 e mezzo

Un'altra nominata Crocicchia di terra seminatoria di tomola 1 e stoppelli 4 con alcuni pochi alberi d'olive di tomola 1 in fronda; giusta li beni del venerabile Monjstero di San Leonardo di DD. Monache di Lecce da levante, li beni di Don Filippo DELL'ANNA di Galignano da borea, e via pubblica, per ove si va in Calimera da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini..................16 e mezzo

Trappeti 4 in ordine da macinar olive siti in 2 grotte dentro il Palazzo Marchionale con un giardinetto di sopra d'agrumi di delizia. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati.....................60

Botteghe numero 4 sotto lo suddetto Palazzo marchionale, 2 dè quali affittate per ducati 5 l'anno, e due altre inaffittate.

Di più possiede annui ducati 67 incluso il prezzo delle galline che esigge da diversi cittadini di questa Terra per causa di censi minuti, seu estagli sopra Case che da medesimi si possedono situate sopra suolo feodale.

Le Università (Comuni) di Sternatia (p. 307 del catasto) e quella di Martignano (p. 308) possiedono, ciascuna, un pozzo d'acqua sorgente, in feudo della Terra di Caprarica, per la qualcosa pagano distintamente: oncie 2

Collettiva Generale dei Cittadini

Residenti di Caprarica (p. 378)

Finis

Catasto Onciario Firmato da:

Leonardo GRECO, Sindico;

segno di croce di Donato GRECO, Eletto;

segno di croce di Raffaele D'ORIA, Eletto;

Gio. Vito DORIA, Eletto;

Leonardo Antonio GARRISI, Testimone;

segno di croce di Lorenzo DORIA, Eletto;

segno di croce di Niceta GARRISI, Eletto;

segno di croce di Cataldo CUCURACHI, Eletto.

* * * *

Alla fine della descrizione del catasto onciario, è bene mettere in risalto la derivazione della parola CHIUSA (campagna), tanto usuale e molto significativa proprio per il casale di Caprarica.

La parola chiusa deriva dal latino clausorium che viene tradotto in clausura e da cui sono derivati i lemmi chiusura, chiusa che significa, pezza di terreno chiuso da mura, prevalentemente, a secco. Il MULLER, però, fa derivare o ricava dalla parola clausorium l'equivalente claustra montium, spiegando che si tratta di un fondo situato fra monti (L. De Simone, Op. cit., p. 170).

Da questa interpretazione etimologica si ricava, dunque, che il concetto di chiusa, che nel vernacolo salentino diventa chisura o chesura, nasce in località montane o sopraelevate; essendo, perciò, Caprarica un sito sopraelevato, si può ritenere, il concetto di chiusa, molto più suo perchè vicino alla sua conformazione geografica.

E' importante, ancora, focalizzare i toponimi dei fondi e delle contrade rurali e urbane che si evincono dal suddescritto catasto onciario di Caprarica di Lecce del 1744. Da questa ricerca si possono evincere i toponimi che, nonostante siano passati più di 250 anni, sono rimasti invariati e quelli che sono scomparsi. Accanto al nome o gruppo di nomi di fondi rurali si metterà il nome della contrada (se c'è).

Giardino, Monticello (contrada: Monte); le Palate, Lucente, la Chiusura grande (contrada: le Palatej); Li Cormuni (contrada: le Terre); la Pagliara; Trappeto del Moro (contrada: Trappeto del Moro); (Palazze, contrada urbana); li Celsi; le Trozze (contrada rurale); le Filare; Ottavio De Leone (contrada: le Malicupe); Sant'Antonio abate; li Santantoni; Santa Venneri; Palma; Perrulli; San Paolo, (contrada: lo Pranzo); Sierro (contrada: Sierro di Ottavio); Profico; Insite (contrada: Sciummata); Mangiasole (contrada: la Madonna della Grazia); Trozze (contrada: Polette Mute); Selviate (contrada: Tamburro); Malispinose, Campore (contrada: Marc'Antonio Santo); Pedengrene Schiati (contrada: lo Pranzo); Agostino; li Palatej; Ciccoli (contrada: Tamburro); Partita; Camporelle; Trozze; Martanielli; Monache; Grande; Pinzelle; Costantino; Fica; Pizzaniche; Pezzaniche; di Sotto; di Pacco; Perrino; la via di Calimera; Donna Pazza; Crocefisso; Pichichi vecchi; Montegrande (contrada: Pichichi); Aera; Ferraro; Petrosa; Cornula; li Marini; Salomo; Gigiola; Sciumbata; le Cornule; Cicalelle seu Insite (contrada: le Cicalelle); Giudjche (contrada: le Difise); Defisa; la Noce, Cisterna (contrada: le Cicalelle); Puzzo nuovo; Longa, Gianella (contrada: Gianella); Giardino; Pire (contrada: San Marco); li Vecchi; Vigna vecchia; Freolita; (contrada urbana: Puzziello); Grotta del Moro (frantoio); Tiberio (contrada: li Tiberj); Marc'Antonio Santo (contrada: le Malespine); Stelo (contrada: le Tagliate); Porcicelli, Porcili, Vittoria (contrada: li Porcili); Monticello (contrada: Trecase); Aera, D'Antonio (contrada: Gianella); Augusto; Mangialicon (contrada: lo Monte); Rizzato (contrada: Sant'Antonio); Puzzo nuovo (contrada: Pozzarelle); Agliastro; Brancacci; Lucentella; Difesa seu messer Antonio; Lisantoni (contrada: li Ifbery); Donna Pinta; Allato e Crocicchia.

10. Gli abusi dei diritti feudali

Prima di passare oltre, si deve riflettere su quella che è, tra il XV e il XVIII sec., la "forma-mentis" del feudalesimo: qual è la realtà , quali sono i gravi disagi materiali e morali in cui versa la popolazione di Caprarica, come di tutte le Università del Salento, sotto la feudalità .

In quel periodo, al di là della loro valentia politica e diplomatica, si pretendono, da parte dei baroni, i diritti più odiosi e le prestazioni più ingiuste.

Nel Salento, un quinto della popolazione, è prostrata dalla prepotenza signorile, avvilita dalla povertà , dal dolore, dalla sofferenza e schiacciata da ogni sorta di angherie; tutto questo è mirabilmente descritto e sintetizzato dal grande e geniale sociologo ed economista della seconda metà del settecento, Giuseppe Maria GALANTI, il quale, nella sua veste ufficiale di Visitatore Generale, ebbe a redigere una relazione ufficiale a Re Ferdinando IV sulla Terra d'Otranto il 24 aprile 1791.

Si riportano, perciò, le sue considerazioni che ben possono considerarsi una "denuncia" degli abusi posti in essere da quel sistema che "era mostruoso".

In questo quadro si colloca anche la situazione locale di Caprarica.

Scrive il Galanti: "...Con difficoltà io ho procurato di ridurre i diritti feudali di questaprovincia a classi generali, per farli presente alla M.V. Oltre di essere infiniti, essi variano da territorio a territorio e da feudo a feudo.

Spesso accade, che lo stesso vocabolo nei diversi paesi ha diverso significato. Mi restringo a dire, che le prestazioni, che si fanno sui prodotti dei fondi vengono denominate sotto il nome di "DECIME"; ma spesso un tale vocabolo denota l'OTTAVA, la NONA, la DECIMA, la QUINDICESIMA, la VENTESIMA parte del frutto.

Non solo i diritti feudali sono diversi, ma la maniera di esigere è pure diversa. In alcuni luoghi la decima dei frutti estivi si esige in genere, in altri in denaro, precede la stima e tale stima si fa dall'erario del feudo. Quando si tratta dell'olio la stima segue per lo più, allorchè, il frutto è immaturo sugli alberi, e per dieci tomoli di olive si deve dare uno staio di olio. Se poi le olive si perdono o deteriorano, la decima si paga come fu fissata".

E' facile notare il grave danno che, in un clima di generale ingiustizia i baroni arrecano agli sventurati contadini, pretendendo, anche in caso di raccolto andato perduto o scarso, la decima sul frutto così come stimato sugli alberi, prima che giunga a maturazione.

Quindi, al povero contadino non rimane neppure un pò di olio per condire la sua frugale mensa costituita quasi sempre da legumi o da verdura selvatica.

"Varie sono ancora le decime (scrive il Galanti) dei vini mosti e di tutti i generi di vettovaglie. Vi sono dei luoghi dove si detrae dalla decima l'uso dei frutti estivi, e ve ne sono altri, dove tutto ciò che si coltiva e nasce vi è indistintamente sottoposto. Fino i giunchi, le mortelle, gli ortaggi, il prezzemolo, i fiori medesimi, che si piantano in vasi di creta nelle case, non sono esenti in alcuni luoghi di questa contribuzione.

E non deggio tralasciare di far presente a M.V., che per esigere tali prestazioni sono accaduti degli omicidi.

Vi sono ancora nei feudi di questa Provincia i diritti detti di erbatica e di carnatica. In forza dell'ultimo si esige una porcella di ogni parto di scrofa, in forza dell'altro da ogni meandro di pecore o di capre si riscuotono annualmente un'agnella ed il cacio e ricotta di un giorno. Questa prestazione dovrebbe almeno essere unica per ciascun gregge, ma a dispetto della ragione e delle discussioni dei tribunali in molti paesi si raddoppia se si da a colonia o in affitto e si triplica se si passa a subaffitto.

Così l'avidità non ha limiti quando va unita la forza. Nella vendita delle case e dei poderi nei feudi si paga il Laudemio una prestazione di carlini 5 che dal compratore si offre al barone in ricognizione del dominio; oppure si paga il vero Laudemio, ma nella maggior parte dei fondi si contribuisce al barone la decima del prezzo che si ricava dalla vendita.

Nei feudi vi è un diritto chiamato Coltonio, dove si esige una data quantità di grano per ogni paio di buoj aratorj, dove altra simile prestazione da ogni particolare che esercita l'industria di seminare.

Infine, il famoso diritto del Cunnatico, che ha richiamato la generale attenzione, non si manca di esigere in questa provincia. In qualche feudo ho trovato che la maritata paga carlini quattro all'anno per l'uso del suo corpo, e la vedova paga meno per averne fatto uso".

A Caprarica, in questi secoli, vi è un'usanza, diffusa, peraltro, in tutto il Salento, detta cunnatica o ius primae noctis o anche "ragione delle femmine quando si maritano". Si tratta del diritto dei baroni ad avere ogni giovane sposa nella prima notte di matrimonio, che, nei tempi successivi, si trasforma in una specie di tassa matrimoniale. E' evidente che il barone abusa dell'ignoranza e del timore reverenziale dei contadini.

Fra gli altri diritti feudali di cui i baroni possono disporre, c'è quello dell'adutorio. Infatti, in caso di gravi calamità , i vassalli sono in dovere di prestare aiuto al barone.

La clausola nà‚° 20 dei bandi pretori, reperito presso l'A.S.L., recita testualmente: "Si ordina e comanda a tutti e quali vogliano persone che quando sentono sonare all'armi le campane del palazzo baronale, che è segno di domandare agiuto, debbono suboto accorrere a detto palazzo baronale, armati con quelle armi che più prontamente ponno havere sotto pena di giorni 20 di carcere ed altre a nostro arbitrio...".

L'oppressione rovinosa si intravede anche in quella che è chiamata "legge dei diritti d'esclusione o dei diritti proibitivi"; in altre parole, ai contadini di Caprarica, con questa legge, è fatto divieto di "servirsi dei frantoi, dei mulini se non fossero quelli del barone, tenere taverne, ecc.".

Nel 1809, 48 villaggi hanno chiesto alla Commissione Feudale la facoltà di raccogliere e macinare ghiande.

In un documento del Bodini si legge: "Coloro che presumessero far taverne o furni o trappiti o portassero le olive ad altro trappito fuori lo territorio doveva pagare una penalità al Baglivo".

Si pagano ancora delle tasse alla morte di ogni uomo, quasi che sia questo l'ultimo atto di ossequio e di dura schiavitù che il feudatario "esiger volea dal suo vassallo". La cupidigia di questi signori arriva perfino ad imporre tributi "ai quali non sa dare un nome, perchè non sa su quale atto della vita su quale merce lo impone: per cause ignote, per quieto vivere, per cose dubbie".

Il barone gode di particolari onorificenze e priorità quando, con la moglie ed il suo seguito, si reca in chiesa; risulta, infatti, da un decreto emanato nel dicembre 1792 "che debba esser ricevuto all'ingresso della chiesa dal parroco o di alcuno del clero vestito di cotta e di stola, che li porgeva l'acqua benedetta con l'aspersorio, e che l'accompagni nell'uscire: che possa tenere in chiesa le sedie camerali con genuflessioni e cuscini siti nella linea laterale (corrispondente alla parte laterale dell'altare dell'epistola), con la conveniente semplicità e moderazione senza tappeto, o strato, senza copertura, e senza essere fisso ma amovibile, che nelle domeniche e in altre tali solennità gli si dia l'aspersorio dell'acqua benedetta precedente la messa solenne, l'incenso e il bagio della pace da un dei preiti assistenti prima di darsi al comune degli astanti. Che nei sermoni l'oratore debba salutare prima il barone, poi il capitolo, che nelle funzioni di rendimento di grazie all'Altissimo per la S. persona di S.M. e della Real Famiglia, debba il barone essere invitato e infine di tutto debba goder anche la di Lui moglie dell'incenso e della pace e senza meno i fratelli e sorelle e figli di esso barone, di tenere le sedie amovibili nella medesima chiesa".

Oltre a ciò, gli ulteriori seguenti diritti:

1) Il diritto di avere nella chiesa le insegne gentilizie o l'iscrizione del nome di Famiglia.

2) La precedenza nelle processioni e simili funzioni.

3) Il diritto di banco (digniorem sedem in ecclesiam sed extra presbiterio et sine baldacchino).

4) Lo ius precum.

In Terra d'Otranto, la feudalità è abolita dai Francesi, i quali nel 1806 emanano la "Legge eversiva della feudalità " con cui si dichiarano decadute tutte le prestazioni personali, comunque definite; i possessori di feudi, a seguito di questa legge, non possono più riscuotere dalla popolazione nessun tributo, fatta eccezione per alcune concessioni.

11. La situazione politico-sociale nel XVIII secolo nella contea di Lecce ed in Caprarica

Nonostante la grande riforma operata dal re Carlo III, con l'imposizione del nuovo catasto onciario e l'ispezione operata dal GALANTI per conoscere la reale condizione di vita dei sudditi, la situazione nel Regno di Napoli e nella contea di Lecce, per il popolo, è di totale paralisi.

L'Università di Caprarica, nel XVIII secolo, si trova nella miseria più totale; le campagne sono abbandonate perchè molti sono in condizioni fisiche precarie; nel catasto onciario del 1744, infatti, si legge che molti abitanti del casale sono "... di mal salute ed inabili a fatiga di campagna...".

In un lavoro del TANZI ("L'archivio di stato di Lecce", p. 43) si sottolinea come nel XVIII secolo "Il governo dei vicerè, che aveva dissipato le finanze dello Stato e distrutto l'economia, abbandonò a sè stesse le amministrazioni comunali. I comuni di Terra d'Otranto, una delle provincie più lontane dalla capitale (Napoli), subirono allora la più dura sorte: parte caddero in balia dei propri feudatari, le poche città demaniali (Lecce, Otranto, Gallipoli, Brindisi e Taranto) vennero affidate ad amministrazioni indolenti, che si modellarono sulla corte di Napoli. Le scritture raccolte fanno testimonio delle fortunose vicende, da cui furono in questi tempi di decadenza travagliate quelle Università , strette tra l'avarizia e la prepotenza dei baroni".

Dopo le rivoluzioni popolari di Tommaso ANIELLO detto il Masaniello (1647), nel napoletano, di Gian Girolamo ACQUAVIVA, duca di Nardò e conte di Conversano, soprannominato per le sue scelleratezze il Guercio di Puglia (1647) ad Otranto, e del siciliano Nino de la Pelosa, il popolo del meridione d'Italia cerca, attraverso, continui fermenti popolari, alla fine del settecento, di liberarsi dalla oppressione reale e baronale.

Questi ultimi cercano, attraverso regalie verso i coltivatori ed il popolo minuto, di estorcere danaro con l'assenso dei parlamenti locali, anche sotto la minaccia di gravi pene pecuniarie e corporali.

L'effetto che ne segue è quello di vedere gli abitanti di intere Università allontanarsi dalle campagne, il dilagare di una pastorizia selvaggia, il diffondersi di una giustizia sommaria, con cui vengono vendicati i soprusi e l'onore tolto alle spose, alle madri o alle sorelle; molti, inoltre, si danno alla macchia ed al brigantaggio forzato.

Gabriele PEPE, nel XVIII secolo, afferma che il Regno delle Due Sicilie è: "un deserto spirituale...e che Napoli e le provincie erano popolate da plebi superstiziose ed affamate, da baroni più bestioni che uomini, da pubblici magistrati ignoranti e disonesti...".

Nascono in questo periodo molte associazioni caritatevoli-assistenziali, benefici, opere pie, confraternite ecc. che cercano, per quanto è loro possibile, di alleviare le sofferenze del popolo minuto. Anche in Caprarica, come si può vedere dal sopra descritto catasto onciario, vi sono queste congregazioni religioso-assistenziali.

Alla fine del settecento il popolo chiede, con forza, l'eversione della feudalità , ma tale richeista avrà i suoi frutti effettivi solo nella prima metà del novecento.

Questa situazione di crisi economica e di sconvolgimenti politico-sociali è avvertita anche nell'Università di Caprarica, i cui coloni mal sopportano le angherie del marchese Francesco GIUSTINIANI e del patrizio leccese Diego BRUNETTI, il quale, come è stato più volte detto, possiede una masseria fortificata.

Il casato della famiglia di Diego BRUNETTI, a quanto sostiene A. Foscarini (Op. cit., p. 55), è una nobile famiglia la quale comincia ad elevarsi col notaio Donato Maria nella prima metà del XVII sec., e si estingue nel 1745 con il già detto Diego, proprietario in Caprarica, figlio di un altro Donato Maria.

Essa s'imparenta colle famiglie GIUSTINIANI, marchese di Caprarica, BOZZICOLONNA ed altre ed ha la sua casa dominicale nel Portaggio di San Biagio in Lecce, isola della cappella di Santa Lucia.

Oltre ai possedimenti in Caprarica, la famiglia BRUNETTI possiede il feudo del Tasso (territorio posto nelle pertinenze dell'antica Rudiae presso Lecce), che il Dr. Ottavio Bernardino, figlio del detto notaio Donato Maria BRUNETTO, acquista per ducati 1.550 di carlini di argento da Ippolita GIORGIO (o DE GIORGI), figlia ed erede del fu Francesco Antonio GIORGIO, con istrumento 11/07/1652 per notar Francesco GUSTAPANE di Lecce.

In questo triste XVIII sec. il marchese di Caprarica, Francesco GIUSTINIANI, ultimo di questo ramo, non avendo avuto figli, cede il titolo ed i beni del feudo, come già detto, ai nipoti della moglie Francesca TRESCA, mentre vende il feudo, nella sola parte allodiale, a Giovan Battista ROSSI, al quale succede il figlio Costantino e, a questi, nel 1797, il figlio Liborio; i successivi eredi si fregiano del titolo di baroni di Caprarica.

Si deve registrare, poi, la presenza di alcuni rampolli della famiglia baronale dei TRESCA di Lecce, i quali vantano il possesso di alcune quote di beni nella Terra di Caprarica.

Francesco TRESCA, figlio di Achille e di Gaetana STOMEO, nel 1806 è Sindaco di Lecce per il ceto nobile; egli è padre di due figli: Achille e Giuseppe, il primo dei quali, nato il 29 dicembre 1797, gli succede nel titolo di marchese di Lecce; egli ha anche diverse proprietà in Caprarica, come la già citata Cappella del Crocifisso (v.: catasto onciario).

12. I primi fermenti di rivolta contro i baroni in Caprarica

Come si è visto, tra i secoli XVII-XVIII, vi sono dei fermenti di sollevazioni, isolate o in gruppi, causati dai regimi reali, dai vicerè e dai baroni.

Masaniello, prima, il Guercio di Puglia, poi, e fermenti sparsi un po' in tutto il regno borbonico, inducono il re Carlo III a concedere alcuni sgravi e ad eliminare alcuni balzelli; il malcontento, però, non si arresta, anzi aumenta sempre più, finchè non si perviene alla legge napoleonica del 1806.

Anche in Caprarica, questo malcontento generale serpeggia e si intravede già nel XVIII secolo quando l'Università o comuni cittadini cominciano a fare delle interpellanze o ad instaurare veri e propri processi contro il locale barone o marchese di turno cercando, finalmente, di rivendicare i propri legittimi diritti.

Risale proprio al XVIII secolo, e precisamente al 22 ottobre 1735, un documento, reperito presso A.S.L., riguardante le scritture delle Università e feudi (Atti diversi, 14/2), in cui si descrivono i primi segnali di ribellione e contestazione da parte degli Eletti dell'Università di Caprarica contro i soprusi pecuniari e di evasione del fisco da parte del locale marchese Ambrogio GIUSTINIANI.

Questo è il documento: "Avendo preteso nell'anni trascorsi l'Università della Terra di Caprarica di Lecce dall'Illustrissimo marchese della medesima (Terra) la bonatenenza dè beni burgensatici, che quello possiede in detto suo feudo, richiesto porgerla a cagione d'un peso di (.....) Legati (.....) in essi beni imposti; quindi nel giorno 11 cennato dell'anno 1733 il dott. fisico Vito QUARTA, Sindaco in quel tempo dell'Università predetta, avendo congregato pubblico parlamento propose ai cittadini la pretensione di esso Illustre marchese, dai quali fu conchiuso, che l'Università si fusse rimessa alla determinazione al di Lui avvocato ordinario, e di quanto di esso detto marchese; perlocchè essendo stata discussa dall'avvocati dell'una e l'altra parte le loro scambievoli pretensioni, fu determinato che l'Illustrissimo marchese non avesse pagato cosa alcuna per ragione di bonatenenza, atteso che l'annuo frutto di detti beni burgenseatici sarà bastante per il peso dè Legati (.....) in esso approvati. Nondimeno siffatta determinazione fu ricusata dall'Università per modo che il suddetto marchese per liberarsi affatto da ogni impaccio, nè ricorse alla Regia Camera della Summaria, dalla quale sotto il dì 23 settembre del passato anno 1734 in Banca del magister Marc'Antonio PISANELLI annonario di quella Terra, ottenne provvigioni dirette allo spettabile signor Preside (...) e (....) don Domenico CITO di questa città insigne; ordinantino, che sopra l'esposta e riferita pretensione di esso detto marchese avessero provveduto di giustizia. (.....) o (.....) e con le parti contrapposte furono i provvedimenti osservati dal predetto CITO, Deputato, e sotto il dì 5 ottobre di detto anno notificata all'amministrazione di detta Università (.....) di più atti; inviati a Cataldo CUCURACHI, Sindaco di essa Università , sotto ordinazione del passato settembre (.....) di Generale nuovo pubblico reggimento, e proposto tutto ai cittadini; fu ancora conchiuso e determinato di priegarsi l'Ill.mo marchese a condiscendere, rimettersi nuovamente alla determinazione arbitraria e parere dell'avvocato ordinario dell'Università (.....), li quali avessero deciso il tutto buonariamente per accettare le liti e dispendi, giusta che leggesi dalle scritture e conclusioni esistenti nel processo per tal causa formato.

In adempimento, dunque, di ciò Noi qui sottoscritti attuali amministratori (?) dell'Università di Caprarica, e dell'Ill.mo marchese della stessa Terra, avendo attentamente riconosciuto le scritture dell'una e dell'altra parte, e tutto il processo, abbiamo osservato, che toltone le due chiuse nominate Donna Pinta e l'altra Gallato, le quali sono feudali, tutti l'altri beni che possiede esso Ill.mo marchese in feudo di detta Terra di Caprarica sono ammessi e sottoposti al peso di vari Legati (.....), come fa fede l'istrumento per mano del magister notaio Vito Antonio GIANCANE della Terra di Lequile, foglio ....., i quali beni tutti secondo la fede dell'Apprezzo della detta Università negli atti fogli.... Ascendono al valore di ducati 6.414 e grana 28, e avendo liquidato l'annuo frutto di detti stabili alla ragione del 3% per quanto da prattici ci siamo informati che possono rendere tra fertile ed infertile, nonostante che esso Ill.mo marchese abbia presentata negli atti fede di due esperti, che liquidano alla ragione del 3%, calcolano li suddetti ducati 6.414 e grana 28, annui ducati 204 e grana 50 delli quali deducendone (.....) i ducati 207 e grana 50, l'Ill.mo marchese deve in adempimento di detti Legati secondo il calcolo che se n'è formato, restano per esso illustre marchese ducati 17, delli quali deve all'Università la bonatenenza, la quale sebbene si dovrebbe liquidare alla ragione di grana 4, ciaschedun ononerà , secondo la liquidazione dell'apprezzo dell'Università (...........) abbiamo stimato, e di comune consentimento siamo di parere che l'Illustre marchese di Caprarica di Lecce debba pagare a beneficio dell'Università di detta Terra annui ducati 2 e grana 32 per cagione di detta bonatenenza, e così siamo di parere ed abbiamo determinato.

Lecce, 22 ottobre 1735

Io sottoscritto Giuseppe CARRONE, avvocato, dell'Università di Caprarica di Lecce;

Io Dr. Giuseppe PORCELLI, avvocato, dell'Ill.mo marchese di Caprarica.

* * *

Il 28 giugno 1742, a prosecuzione del precedente processo, intentato tra l'Università di Caprarica e il suo marchese Ambrogio GIUSTINIANI, come una sorta di ritorsione, viene richiamato in causa il dott. fisico Vito QUARTA ed il fratello Oronzo a motivo di debiti non pagati per alcuni loro immobili di proprietà .

Questo è il documento: "Noi Donato INGROSSO, Leonardo GRECO ed Oronzo DELLE DONNE, Sindaco ed Eletti dell'Università della detta Terra di Caprarica di Lecce, nella corrente annata 1741 e 1742 certi, dichiariamo, attestiamo e ridichiariamo, congiunti in giudizio e fuori, la verità come il dott. fisico Vito e Oronzo QUARTA, fratelli, nostri cittadini di questa Terra di Caprarica, posseggono pacifica quiete ex legittima successione, un comprensorio di Case site dentro l'abitato di questa Terra, nel luogo detto la via di Martignano consistente in due camere terragne, orto dentro, cisterna, forno, ed altro, vicino le case di Nicola VERRI ed altri di questa Terra come sopra le dette Case non abbiano mai saputo che altre persone si avessero pretensione ma queste sono state possedute e si possiegono dai detti fratelli QUARTA sì come l'hanno possedute i di loro maggiori (.....). La verità che noi sappiamo de causa scientia, abbiamo fatto la presente sottodesignata deposizione di nostra propria mano in fede.

Caprarica di Lecce, il 28 giugno 1742

Io Donato INGROSSO, Sindaco, dichiaro come di sopra;

Io Leonardo GRECO, Eletto, dichiaro come sopra;

Si crocia di propria mano di Oronzo DELLE DONNE, Eletto, che dichiara come sopra".

Caprarica ed il "Consorzio intercomunale". Con l'avvento delle già citate nuove leggi napoleoniche, l'Università di Caprarica (come tutti i casali del Regno) - da quel momento, chiamata Comune - viene aggregata, tra il 1806/1812, ad un, per così dire, bacino di utenza definito "Consorzio tra Comuni".

Con le leggi napoleoniche abbiamo il primo tentativo di aggregazione di un territorio, con una sede comunale centrale. Dal 1806 e sicuramente fino al 1814 il Comune di Caprarica [detta in quel periodo anche "la Comune"] fa parte del "Consorzio tra Comuni" autogestito, formato dai casali di Caprarica, Castrì Francone e Castrì Guarino; nel casale di Castrì Francone viene individuata stabilmente la Centrale del "Seggio...delle sedute Decurionali", dove si riuniscono i rappresentati decurioni di tutti i Comuni consorziati, per discutere argomenti di particolare rilevanza; non si è in grado di dire, non avendo reperito altri documenti, se vi erano altre Università limitrofe facenti parte di questo Consorzio.

Questo cambiamento politico si evince molto bene da un documento (Scritture Università e feudi, serie I, Atti diversi, Caprarica di Lecce, fasc. 14/6, b.2), depositato presso l'Archivio di Stato di Lecce, trascritto il 6 gennaio 1814 dal cancelliere, notaio BRAY Pantaleo, della Centrale comunale di Castrì Francone; vi si legge quanto segue: "Certifico io sottoscritto cancelliere (...), della Comune Centrale di Castrì Francone, ed aggregate Caprarica di Lecce e Castrì Guarino, come avendo perquisito l'antico catasto del casale del Comune di Caprarica, nella rubrica dè Forastieri abitanti laici ed al foglio 406 dello stesso ritrovo riportato l'Illustre don Fabiano GIUSTINIANI, marchese di detta Terra di Caprarica, il quale tra gli altri beni al medesimo intestati vi sono li seguenti: ...omissis...Come tutto ciò può chiaramente rilevare da detto catasto allo quale mi rimetto. Castrì Francone lì 6 gennaio 1814.

F.to: notaro Pantaleo BRAY, Cancelliere".

Non si è riusciti a reperire ulteriori fonti per dedurre fino a quale data Caprarica sia rimasta vincolata al Consorzio intercomunale.

13. Il casato dei baroni ROSSI ultimi feudatari della Terra di Caprarica

L'ultima famiglia baronale che regge le sorti del feudo e della Terra di Caprarica è quella dei ROSSI; in realtà , con l'eversione della feudalità , il titolo baronale è più formale che effettivo.

Civile famiglia napolitana che Candida Gonzaga ha confuso con altre omonime ma nobili famiglie; è stata padrona della città di Castrì e dei casali di Vignacastrisi, Vitigliano, Cerfignano, Diso, Spongano (un tempo formanti il contado di Castro); il ricco negoziante Gennaro ROSSI fu Giovan Battista, da Napoli, acquista dalla Regia Corte, per ducati 96.000, con istrumento 11 ottobre 1785 per notaio della Regia Corte, Antonio MARINELLI, Caprarica di Lecce (anche se, in verità , ha cominciato la pratica della compra della Terra di Caprarica, almeno a partire dal 1780).

Esistono due tele della seconda metà del settecento - le cui fotografie ci sono state gentilmente concesse dall'avv. Edoardo ROSSI - raffiguranti il primo barone di Caprarica, Giovanni Battista ROSSI (questa epigrafe è ben visibile sul bigliettino che reca in mano il barone ROSSI del dipinto) e la sua consorte.

In questo periodo, Giovanni ROSSI (detto Giobbatta) effettua una serie di acquisti di feudi in Terra d'Otranto, perfezionati e portati a termine dal figlio Gennaro, tra cui, come già detto, la contea di Castro (L. A. MONTEFUSCO, Op. cit., p. 113); essendo morto improle il barone Gioacchino LOPEZ DE ZUNICA il 10/10/1777, ed essendo, perciò, la contea ricaduta sotto il Regio Fisco, è acquistata sub-hasta, con atto 11/10/1785.

Con atto del 07/10/1804, Gennaro ROSSI refuta la contea al nipote, ex frate Gaetano,Giovan Battista.

Il MONTEFUSCO (Op. cit., p. 20) afferma che due terzi del feudo dei laghi Alimini (l'altra quota è di pertinenza della Mensa arcivescovile di Otranto) nel 1789, di proprietà del barone di Pisignano Marcello SEVERINO, vengono ceduti a Gennaro ROSSI, figlio di Giovan Battista, barone di Caprarica, al quale succede il fratello Gaetano, contro il quale la Regia Camera della Summaria invia lettera di significatoria per il pagamento del relevio nel 1802.

Il feudo di Caprarica viene posseduto e passa, già intorno al 1790, a Liborio ROSSIche, nel 1798, acquista da Francesco SEVERINO, conte di Pisignano, anche il feudo di Seclì (v. MONTEFUSCO, Op. cit., p. 467).

E' possibile congetturare che questi ROSSI, tramite il capostipite di Napoli, Gio. Batta, siano legati alla più potente famiglia genovese ROSSI-MARTINI (essendo il nome Gio. Batta molto ricorrente in questo casato) nel cui stemma, oltre alle tre stelle, appare una capra.

A confermare il rilievo di questa famiglia nelle fortune di Caprarica, nella parte nord del castello baronale, su di un capitello vi appare un'epigrafe, datata 1783, fatta incidere dal barone Costantino ROSSI:

"HIC CONSTANTINUS MERITO BARO P.MUS

HABETU(R) NOMINE IAM FIRMO

PERPETUATUR HONOS 1783"

[Costantino, per meriti acquisiti barone (di Caprarica), ha ormai mantenuto e consolidato (la nomea) del casato affinchè sia perpetuata la fama - Anno del Signore 1783]

L'ARMA DEL CASATO: D'Azzurro a tre bande d'oro e tre stelle d'argento nel capo.

I baroni ROSSI continuano la discendenza, sul feudo di Caprarica, con Liborio, a cui succede il figlio Carlo.

La discendenza dinastica dei ROSSI, in Caprarica di Lecce, si conclude con Margherita, Costantino, Carlo, Gennaro, Celestina, Raffaela ed Agata; dalla primogenita Margherita coniugata con Crescenzo CARROZZINI nascono i figli Luigi e Lucia.

Tra tutti i fratelli, Carlo ROSSI risulta essere l'ultimo barone di questo ramo e con lui si estinguono tutti i casati baronali in Caprarica.

Giovanni Battista Rossi, barone di Caprarica di Lecce  Consorte - baronessa

1. Il Movimento Cattolico nel XVI sec. nella contea di Lecce ed in Caprarica

Nel XVI sec. quando, in modo incessante e frenetica, ferve l'opera di costruzione delle fortificazioni militari, si sviluppa con rinnovato vigore il mondo cattolico; quest'impulso, senz'ombra di dubbio, è da individuarsi al tempo del Concilio Tridentino.
Questa nuova ventata di spiritualità , nel Regno di Napoli e nella contea di Lecce, viene recepita, soprattutto, con l'energia con cui i sacerdoti predicano tra la nostra gente, sia perchè i vescovi di Lecce cercano di incentivare la predicazione popolare, chiamando predicatori di nuovi e più agguerriti ordini religiosi (Gesuiti, Teatini, Olivetani, Minori Osservanti ecc.); questi ordini stimolano nuove e antiche pratiche di pietà , si sforzano di visitare e di controllare i luoghi della loro giurisdizione e di sorvegliare o acquisire, alla loro giurisdizione, molti luoghi esenti.
Al Concilio Tridentino (1546) partecipa anche il futuro vescovo di Lecce, Braccio Martelli il quale, in quell'occasione, fa sentire la sua voce. Ma come dice l'amico Piero DORIA - nel suo contributo "Un vescovo ribelle al Concilio di Trento: Braccio Martelli" - è un vescovo scomodo perciò viene, quasi con la prepotenza del potere, messo in minoranza.
A confortare la tesi del DORIA vi è un profilo che fa G. ALBERICO, a proposito della figura del vescovo Martelli presente in quel contesto Tridentino, egli dice: "...Il tono dell'indirizzo è fermo e dignitoso, ma completamente privo, sia nella forma che nel contenuto, di accenti o concetti eversivi. Solo nell'atmosfera accesa della città conciliare esso potè apparire, almeno agli occhi dei prelati più intrasigenti e superficiali, come irriverente e provocatore...".
Per i cittadini della Diocesi di Lecce, invece, è stato un grande vescovo perchè ha introdotto la cultura a sue spese facendo pubblicamente leggere la filosofia da Marcantonio ZIMARA. E' stato molto attento nell'osservanza dei sacri riti; molto affetto ha avuto nei confronti del poveri della sua Diocesi.
IL FATALO' a questo proposito dice: "...haveva presso di sè numerosa una nota di povere famiglie, et à queste con impenetrabile secretezza somministrava cotidianamente l'aiuto (...) la dote più segnalata (...) fu la piacevolezza de costumi e la trattabilità de discorsi...".
La riforma del Concilio di Trento nel Regno di Napoli è stata - come ha scritto Antonio CESTARO - soprattutto una "storia di tentativi di vescovi zelanti, di resistenze mentali e culturali; storia di popolo, clero e baroni recalcitranti dinanzi ad un modello di chiesa gerarchica e centralizzata, di spinte particolaristiche proprie di chiese locali fortemente abbarbicate alle proprie tradizioni ed alla propria autonomia, di condizionamenti provenienti oltre che dal potere regio anche dai vari poteri locali".
Con queste spinte conservatrici devono fare i conti i vescovi leccesi ed otrantini - nella cui diocesi è posto il casale di Caprarica - post-tridentini come Braccio Martelli, Annibale Saraceno e soprattutto Scipione Spina.
Accogliere le numerose novità veicolate dal concilio di Trento, significa per il clero e, soprattutto, per quello capitolare - come ha già rilevato il CESTARO - rinunciare ad una condizione di privilegio maturata in passato.
La chiesa leccese ed otrantina, perciò, cerca con l'operosità dei suoi vescovi di interessare fortemente il tessuto sociale territoriale diocesano.
* * *
Dal Concilio Tridentino (1545/63) in poi, il parroco della chiesa matrice di Caprarica(così come in tutte le parrocchie della diocesi otrantina o leccese) ha l'obbligo di registrare non solo i battezzati (dei quali a fine anno deve calcolare e dividere i maschi dalle femmine), come è stato fino a quel momento, ma anche i matrimoni ed i morti.
In questo modo la chiesa cattolica con due secoli e mezzo di anticipo, sugli stati laici, promuove ed incoraggia, per le parrocchie, la tenuta dei registri che si possono già definire di "stato civile".
Il Regno di Napoli, perciò, ossequioso al dettato tridentino e pontificio si accoda, a tutti gli stati cattolici di quel tempo, promulgando la "Pragmatica de Parochis" del 5 gennaio 1561, la quale conferma ai Parroci l'obbligo di aggiornare continuamente i tre registri.
Su tale problematica il Regno Borbonico aggiorna continuamente le sue leggi ed il collegamento con Santa Romana Chiesa e Lorenzo CERVELLINO in un suo lavoro "Direzione ovvero guida delle Università di tutto il Regno di Napoli per le sue rette amministrazioni" redatto nel 1776, in Napoli, spiega tra i tantissimi argomenti che tratta anche quello che lega lo Stato napoletano con la Chiesa in una Pratica ed istruzioni della numerazione dè Fuochi del Regno di Napoli del 1662, terminata nel 1669, con le annotazioni ed appendici di Lionardo RICCIO, ed altre di Giambernardino MANERIO ed, in particolare, al comma 5°, del XXV Capo, si parla, appunto, dei Libri dè Battesimi, Matrimoni e dè Morti che si debbono procurare dà Reverendi Parrochi.
Questi registri sono importanti perchè su di essi si possono trovare importanti notizie non solo sugli estremi anagrafi di una persona ma, anche, riguardanti i reticoli di comparaggio, fatti storici accaduti in quei determinati periodi ecc.; per cui l'archivio parrocchiale diviene una ricca miniera di notizie dove, anche attualmente, molti storici e appassionati di storia locale vanno a consultare e ricercare.
Gli archivi parrocchiali, in conformità a questa legge, in via generale cominciano intorno al 1561.
Il dettato Tridentino, della metà del XVI sec., si vede svilupparsi con maggior forza, in Caprarica nella prima metà del XVII sec. quando si registra la presenza di ben due conventi, quello dei Carmelitani e quello dei Francescani (da individuarsi presso la Cappella del Palazzo Brunetti), e sette chiese oltre alla chiesa matrice. Le cappelle sono dedicate a San Vito, Santa Maria, San Procopio, San Paolo, San Marco, Santa Veneranda, al Crocifisso; la chiesa matrice è dedicata al protettore San Nicola, vescovo di Mira.
In numerose cappelle di Caprarica vi sono state delle fosse comuni, sia all'interno che all'esterno, dove sono stati, nei tempi andati, tumulati i morti.

2. L'antica e la nuova Parrocchiale di Caprarica

Il DE GIORGI quando, intorno al 1887, girando per la Provincia di Lecce, va a visitare anche Caprarica, a proposito delle strutture religiose locali, annota (come ha scritto in "La Provincia di Lecce- Bozzetti di viaggio", p. 335) "...Poco qui resta dell'antica parrocchiale dedicata a San Nicola, nella quale il MORRA trovò nei primi del XVII sec. da notare per pregio artistico la cappella del Sacramento e quella di Sant'Onofrio. E quasi niente più rimane delle chiese di Santa Veneranda, di San Procopio, di San Marco e di San Paolo...".
La chiesa matrice, così come si presenta fino al 27 giugno 1958, epoca della sua demolizione totale, come è stato detto, "... per ragioni di staticità ", è strutturata in una navata centrale, più ampia, con due navate laterali, divise da colonnati; vi è un artistico altare centrale in stile rococò, sormontato da un loggiato su cui sorge un organo a canne. Lungo gli altari laterali vi sono degli artistici e grandi dipinti raffiguranti San Giovanni, l'Immacolata, San Vincenzo da Paola, i compatroni Sant'Oronzo e San Nicola, la Madonna Addolorata e San Luigi.
La chiesa, dopo aver subito un forte danneggiamento, durante il ciclone del 23 novembre 1884, come già detto, è stata demolita nel 1958 per riferite ragioni di staticità e di sicurezza per i fedeli.
Dell'antica parrocchiale sono rimasti, come cimeli, il tabernacolo ed alcuni artistici pezzi, in pietra leccese, dell'altare maggiore, ora depositati presso la confraternita di San Nicola; proprio recentissimamente, un San Pietro scolpito in pietra locale, prima collocato sul frontale della vecchia chiesa, è stato posizionato all'interno dell'attuale chiesa parrocchiale.
Mons Vittorio BOCCADAMO, in verità , durante un'omelia tenuta in Caprarica, ha confermato che è esistito in loco un antichissimo tempio, addirittura precedente alla matrice demolita nel 1958, risalente al XII secolo, dedicata sempre al patrono San Nicola.
Cinque anni più tardi, nel 1963, Caprarica ha la nuova chiesa matrice benedetta con una messa solenne da S.E. Mons. Gaetano POLLIO, vescovo di Otranto.
L'inaugurazione della nuova chiesa, costruita con un'unica grande navata e annessa sagrestia, è testimoniata da un'epigrafe scoperta ai fedeli il 5 maggio 1963 e che così recita:
AMDG
ANNO DOMINI MCMLXIII DIE V MAY
HANC AB INTEGRO ORTAM ECCLESIAM
DICATAM PATR. ET TIT. E.P. CAPRARICAE LYCIENSIS
SANCTO NICOLAO
REI PUBBLICAE ET FIDELIUM SUMPTU
REGNANTE SUMMO PONTIFICE
JOANNE XXIII
PAROECIAM REGENTE
SACERDOTE ALOISIO VERRI
HYDRUNTINAE DIOECESEOS PASTOR
ARCHIEPISCOPUS CAIETANUS POLLIO
CONSECRAVIT
A.P.R.M.
[Nell'anno del Signore 1963, il giorno 5 del mese di Maggio, questa chiesa è stata costruita, totalmente, dalle fondamenta e dedicata al patrono e titolare di Caprarica di Lecce, San Nicola, attraverso i contributi dei fedeli e della pubblica amministrazione, sotto il pontificato di Giovanni XXIII (Papa). La (nuova) Parrocchia è retta dal sacerdote Luigi VERRI ed è stata consacrata dall'arcivescovo Gaetano POLLIO, pastore della diocesi di Otranto].

Di queste ed altre chiese sono stati da noi trovati i benefici che si possono vedere, nel catasto onciario del 1744, riportati al capito III, paragrafo 9, da cui si evince che, in quel periodo, hanno un buon movimento complessivo incidendo, non poco, sia dal punto di vista economico che religioso nel tessuto sociale di Caprarica.

Chiesa parrocchiale demolita

Inaugurazione nuova chiesa

3. La Cappella del Crocifisso

La chiesetta del Crocifisso è stata costruita dal locale marchese Fabiano GIUSTINIANI nella prima metà del XVIII secolo. E' stata concepita a croce latina, con volta a botte e possiede un campanile a vela.
Secondo opinioni tutte da verificare, all'interno, esiste una fossa comune dove sono stati seppelliti i morti sino alla fine dell'ottocento. Qui è stato seppellito nel 1888, in pompa magna, l'allora arciprete Nicola MARULLI.
La chiesetta dai marchesi GIUSTINIANI è passata ai TRESCA e, successivamente, alla famiglia GRECO.
Esiste una memoria storica su questa chiesetta, depositata presso l'archivio parrocchiale locale, secondo cui nel corso dei secoli ha subito diverse burrascose vicende; noi riportiamo un sunto della corposa ricerca storica che ha condotto il canonico, arciprete, Oronzo VERRI il quale ha cercato di dimostrare che la cappella del Crocifisso è di proprietà della chiesa locale.
Questo è un sunto di un documento inviato dalla Curia arcivescovile di Otranto al parroco, canonico Oronzo VERRI: "In riscontro alle sue - notizie e documenti intorno alla cappella del S.S. Crocifisso in Caprarica di Lecce - si trasmettono alla S.V. altre notizie e documenti desunti dalla Curia Arcivescovile di Otranto perchè li abbia ad esaminare e considerare per la definizione della nota vertenza. La Cappella del S.S. Crocifisso fu eretta nel 1701: "Cappellam hanc erexerat et dotaverat anno 1701 (familia GIUSTINIANI) [visitatio quarta Parochiae Capraricae facta anno 1845 ab ill.mo ac Rev.mo Domino Vincentio Andrea GRANDE]. Il 22 giugno 1725 il signor don Matteo dè marchesi GIUSTINIANI per atto del notar Vito Antonio GIANCANE di Lequile faceva testamento, aperto poi e pubblicato dallo stesso notaro il 3 luglio 1725. Nel testamento si ha la fondazione del legato: "Lego e fascio e fondo una semplice Cappellania laicale seu legato pio coll'obbligo di una Messa il giorno nell'altare di san Lorenzo GIUSTINIANI esistente dentro la Chiesa seu Cappella del S.S. Crocifisso, posta fuori l'abitato di Caprarica, e coll'obbligo ancora ecc. e voglio che il Cappellano seu legatario pro omni futuro tempore habbi ad essere il signor marchese don Fabbiano mio pronepote et erede, e venendo a far figli che sia il figlio cherico il maggiore d'età e così in perpetuo di esso sig. marchese e dei suoi figli e discendenti... ita ut che il Cappellano e legatario in perpetuo habbi ad essere il primo prete et in sua mancanza il primo laico della linea masculina e poi della linea femminile e discendenti dal primogenito..... e così in mancanza delle linee e discendenza di esso signor marchese don Fabbiano che debba essere della stessa maniera della discendenza di don Ambrogio poi del....don Benedetto ed infine del D. Donato Maria BRUNETTO, in mancanza di tutte del Reverendo Capitolo di Caprarica colla facoltà al Cappellano seu legatario in ogni futuro tempo che per la celebrazione delle S.S. Messe potesse deputare un Cappellano amovibile ad nutu... per fondo della Cappellania seu legato pio lascio e lego tre possessioni d'olive col loro suolo e territorio..... da me comprati sotto il II del mese di Gennaio 1718.....".
Da ciò si deduce che nella Cappella eretta dalla stessa famiglia GIUSTINIANI un membro di essa, D. Matteo, fonda una Cappellania laicale (iuris patronatus) con chiare determinazioni, come dal detto testamento.
Nel 1735 si ha un elenco di legati, tra i quali si elenca: "Io Don Fabiano GIUSTINIANI marchese di Caprarica.....aver fondato un legato laicale iure patronatus della mia famiglia di una Messa il giorno in perpetuo nella Cappella del S.S. Crocifisso... ipotecando per detto legato l'entrate d'una chesura nel feudo di Caprarica... Il mutato fu mutato con licenza della Curia Arcivescovile sopra una masseria di Francesco CAPECE da me comprata...(Caprarica 15 ottobre 1735)".
Nello stesso elenco si ha ancora: "Io Don Fabiano GIUSTINIANI marchese di Caprarica... tenere un legato di una Messa il giorno in perpetuo nella Cappella di San Lorenzo GIUSTINIANI per l'anima di Don Matteo.... come appare per istrumento per mano di notar Vito GIANCANE di Lequile (Caprarica 15 ottobre 1735)".
Questi sono gli unici legati fondati nella Cappella del Crocefisso e tutti e due sono fondazioni della famiglia GIUSTINIANI; ve ne sono molti altri; ma in altre cappelle di Caprarica.
Nel 1738 si ha una petizione dello stesso marchese Don Fabiano GIUSTINIANI per surrogare un fondo della Cappellania locale fondata dal prozio Don Matteo GIUSTINIANI nell'altare della Chiesa del Crocefisso fuori dell'abitato di Caprarica, con altro fondo dello stesso marchese Fabiano GIUSTINIANI, legatario della stessa fondazione. La Sacra Congregazione con un rescritto del 12 maggio 1738 concedeva la surrogazione. Tra l'altro si ha un esame del perito agrario sui beni della surrogazione: "Interrog.: An sciat bona quae possidet simplex cappellania laicalis in altare S. Laurenti Jiustiniani intus ecclesiam S.S. Crucifixi in terra Capraricae et per quem possidetur ista cappellania. Traduz..: La Cappellania o sia legato pio laicale nell'altare di San Lorenzo GIUSTINIANI dentro la chiesa del S.S. Crocefisso di Caprarica istituita dal fu Don Matteo GIUSTINIANI la possiede il sig. Don Fabiano GIUSTINIANI marchese di detta terra ed io so li beni della medesima...".
A prosecuzione e conferma di queste deduzione è stato da noi trovato, sul catasto onciario di Caprarica del 1744, che tra i pesi e misure del marchese Fabiano GIUSTINIANI vi sono anche le seguenti: Pesi, e deduzioni
Sopra delli suddetti beni vi tiene il peso d'annui ducati 36, e grana 50 per celebrazione di Messe una il giorno nell'altare di San Lorenzo GIUSTINIANI, sito nella Cappella del SS.mo Crocifisso fuori l'abitato e una Messa cantata nel giorno di San Filippo Neri per l'anima di Don Matteo GIUSTINIANI, come dal suo testamento, che sono.............................................. oncie 121,20
Di più altri ducati 36 per celebrazione di Messe, una al giorno per l'anima del fu Francesco Maria GIUSTINIANI, che sono ..........................................oncie 120
Altri ducati 10 e grana 40 per celebrazione di Messe due la settimana per l'anima del fu don Matteo GIUSTINIANI, che sono.................................oncie 34,20
Altri ducati 6 per mantenimento dè suppellettili dell'altare di detta Cappella, che sono....................................oncie 20
Il 4 gennaio 1812 al canonico D'ELIA vicario di Otranto giunge una petizione presentata con una lettera di raccomandazione del Vescovo di Troia. "Memoria pel pio legato fondato da Don Matteo GIUSTINIANI dè marchesi di Caprarica in terra d'Otranto. Don Matteo GIUSTINIANI chierico secondogenito nel 1725 per notaro Vitantonio GIANCANE di Lequile solennizzò il suo testamento, col quale, sottoponendo i suoi beni ad una primogenitura, fondò una Cappellania laicale, seu legato pio, chiamando legatario di detta cappellania il possessore della primogenitura. I fondi che sottomise a detto legato esistono in territorio di Caprarica, diocesi di Otranto e sono i seguenti......... Nel fondare il chierico GIUSTINIANI la descritta Cappellania lasciò al suo legatario pro tempore la libertà di surrogare a descritti fondi altri fondi; e si farà vedere al sig. vicario con documenti che buona parte dei fondi descritti nella fondazione sottoposti al legato pio non esistono ma a quelli ne sono surrogati altri. Il peso che addusse a detto pio legato fu di una Messa bassa quotidiana alla ragione d'un carlino l'una, ed una Messa cantata nel giorno di San Filippo NERI, da celebrarsi nell'altare in corno evangelo dell'altare maggiore della Chiesa del S.S. Crocefisso fuori Caprarica, gentilizia della famiglia GIUSTINIANI, che ora si possiede dal Cav. Don Vincenzo TRESCA, erede dell'ultimo marchese Don Francesco GIUSTINIANI in cui è estinta detta famiglia. Sono parecchi anni che Don Giovanni FAVERI CERASINI di Monopoli possedendo per decreto del già S.R.C. la primogenitura, possiede anche il pio legato. Il medesimo restando obbligato a far celebrare quotidianamente la Messa bassa in detto altare, si vede nel dovere di mettere sotto l'occhio del sig. vicario ragioni di fatto tali da poter domandare la riduzione di dette Messe basse ed anche la traslocazione di detto peso in altra chiesa ed altare della città di Monopoli.....Il signor Vicario conoscerà da sè se è plausibile la domanda del signor FAVERI CERASINI nel chiedere la riduzione aggiungendo alle ragioni addotte quella del numero ristretto dei Preti che esistono in Caprarica, ragione anche marchevole perchè non si trova un sacerdote che voglia prestarsi alla quotidiana celebrazione, trattandosi di essere in ogni mattina in una cappella circa un miglio fuori del paese. Nella fondazione dando il possesso del legato pio al possessore del maggiorato, vuole il fondatore che il Cappellano celebrante delle Messe sia il primo prete della linea stessa. Possedendosi oggi il legato pio da Don Giovanni FAVERI CERASINI, ed avendo egli un fratello canonico per nome Don Benedetto, costui viene chiamato alla celebrazione. Ma poichè il detto canonico appartiene alla Chiesa di Monopoli, da cui non può appartare assegnato dal fondatore; ed è questa la ragione per cui si bramerebbe la traslocazione del peso annesso dell'altare suddetto sito nella chiesa gentilizia di GIUSTINIANI in Caprarica, in una delle chiese di Monopoli. Nè è da far remora, ad accordare la traslocazione, il dubbio che l'altare assegnato possa restare deserto, poichè si è detto di sopra che quell'altare è di una chiesa gentilizia dè signori GIUSTINIANI, che tutta viene governata dal Cavaliere Don Vincenzo TRESCA di Lecce, cui si appartiene. Si compiacerà dunque il signor Vicario....".
Nel 1845 nella Visita di Mons GRANDE si ha: "Capella S.S. Crucifixi iam reparata est exponsis Domini Achillis TRESCA haeredis marchionis, seu familiae GIUSTINIANI, quae Capellam hanc erexerat ac dotaverat anno 1701: utrum vero Missarum onera hic celebranda fuerint statuta, non constat. Fit solemne festul die 3 maii (cum Capella in honorem S.S. Crucifixi sit erecta) cum magno incolarum nec non finitimorum oppidorum concursu ad lucrandas indulgentias a S.S.mo Domino nostro G. XVI concessas iis, qui poenitentes, confessi, ac sacra Eucaristia refecti hanc Capellam visitaverint. Festum celebratur expensis Don Achillis TRESCA. Altare est competenter ornatum... est et aliud altare sub titulo S. Michaelis Arcangelis, in quo imago debet reparari, et in eo ex innumeris bonis erat onus Missae quotidianae, quod anno 1835 reductum fuit ad annuas Missas 120 cum elemosina obulorum 20 Capitularibus praestanda quam elemosinam seu annuos Duc. 24 praestat Nicolaus VERRI possessor bonorum legati huius ex instrumento emptionis, stipulatum per notarium D. Ignatiani METRAJA circa annum 1838. Onus hoc impletur, ac nuper praedictus possessor providit de novo ornamento altaris. Sacrae vestes tamen, ac omnia ad Sacrun necessaria hic non habentur, atque ab Ecclesia dereruntur. Missae celebrandae pro legato S. Michaelis Arcangeli regulariter inter Capitulares dividantur, ac nemo deinceps a Nicolao VERRI privatim, inconsulto clero, elemosinam accipiat".
Per maggiore chiarezza di riepilogo si deve dire che la Cappella è stata eretta e dotata del marchese GIUSTINIANI nel 1701: è stata sempre ritenuta gentilizia di tale famiglia.
Nel 1725 nella stessa Cappella Don Matteo GIUSTINIANI fonda un legato Cappellania laicale (de iure patronatus) legando molti suoi beni per una messa quotidiana all'altare di San Lorenzo GIUSTINIANI poi forse divenuto di San Michele Arcangelo. Cappellano e legatario deve essere sempre della famiglia secondo le linee determinate nel testamento. Mancando tutte le linee la Cappellania (da non confondersi con la Cappella) sarebbe passata al Capitolo di Caprarica.
Poichè il possessore del pio legato, possessore della primogenitura , nel 1812 è a Monopoli, e poichè il fratello del legatario, pur essendo sacerdote (e quindi obbligato a celebrare la Messa quotidiana al Crocefisso), non può soddisfare al suo obbligo perchè Canonico nella Chiesa di Monopoli, si chiede la riduzione del legato e la traslazione in una chiesa di Monopoli; non dovrebbe far difficoltà , dice il postulante, il fatto che con la traslocazione del legato verrebbe a mancare la Messa nella Chiesa del Crocefisso, poichè questa è una chiesa gentilizia dei GIUSTINIANI posseduta ora dal Cavaliere Don Vincenzo TRESCA.
La Cappellania o legato pio nel 1845 risulta già passato al Capitolo di Caprarica, forse perchè verificata la circostanza determinata nel testamento per tale passaggio. La Cappella però appare ancora possesso privato della famiglia TRESCA erede della famiglia GIUSTINIANI: infatti verso il 1845 Don Achille TRESCA la fa restaurare a proprie spese e a proprie spese fa anche la festa solenne del Crocefisso il 3 di maggio.
Nelle notizie e documenti si identifica oratorio privato con proprietà privata; un oratorio, benchè non privato in senso giuridico, può essere di proprietà privata; la chiesa del Crocefisso è un esempio e resta, però, sempre sotto il controllo e la vigilanza ecclesiastica, per quanto riguarda il culto.
Non si vede il motivo per cui il marchese TRESCA dovrebbe ricorrere a stratagemmi per impossessarsi della Cappella, poichè questa, ritenuta gentilizia della famiglia GIUSTINIANI, la eredita con titolo pubblico o giuridico.
La Cappella del Crocefisso, pur essendo destinata al culto pubblico è gentilizia di proprietà privata.
Che la Cappella fosse di proprietà privata lo riconosce lo stesso parroco di Caprarica Don Oronzo VERRI nel 1942. Nelle lettere a S.E. Mons. Arcivescovo (20/06/1942 e 26/06/1942) riconosce proprietari della Cappella i TRESCA i quali avrebbero espressa l'intenzione di donare alla parrocchia. Se poi Achille TRESCA, che secondo il parroco sarebbe padrone solo di una quota parte, avesse venduto di sua iniziativa alla GRECO anche le parti degli altri eredi, il torto lo avrebbe fatto ai TRESCA non alla Parrocchia la quale ancora non aveva alcun diritto di proprietà sulla cappella: il difetto nella vendita, come la prescrizione, dovrebbe essere impugnata dai TRESCA.
L'intenzione di questi di donare alla parrocchia, come il compromesso, sono ormai argomenti senza alcun valore giuridico perchè annullati da altri fattori decisivi, quali la vendita e l'ulteriore prescrizione.
Questa chiesa viene chiusa il 13 novembre 1913 che come risulta da un manoscritto, redatto dal Rev.do Parroco don Oronzo VERRI "Era stato importato quale sostituto del parroco Alfarano CORRADO in Caprarica, un sacerdote di Alberobello, tal Arturo SARACINO, il quale era subìto dal suo vescovo, onde trovò rifugio qui nella carità del suddetto parroco, e nell'appoggio di alcuni parenti, poichè suo padre era di Caprarica, dove ancora vivevano fratelli, sorelle e relative famiglie. Ben presto meditò il piano di distruggere il vecchio parroco, e prender lui le ambite redini della parrocchia. Avea tirato dalla sua il sodalizio delle Figlie di Maria, e la Pia Unione dè Luigini, che una prima volta nella Pasqua del 1910, e poi definitivamente il 13 novembre del 1913 si costituirono in sommossa contro il Parroco, fatto bersaglio a sassaiole, insulti, calunnie, e con il sac. Oronzo VERRI, che dall'arcivescovo a cui designato a sostituto del parroco in Caprarica...".
Ma in Caprarica, oltre a questa particolare chiesa di culto e di patronato, appaiono altri culti a diversi Santi già citati (al paragrafo I), i quali non sono frutto del caso ma rispondono tutti a dei precisi schemi storici e di fede degli abitanti locali.
Quello che rileva subito, ad un osservatore attento, è che questi Santi danno tutti una chiave di lettura precisa, cioè, alcuni sono di chiaro rito latino, altri di rito greco-bizantino; perciò si può affermare, senza tema di essere smentiti che, in Caprarica almeno fino al XVI secolo, vi era il doppio rito e, molto probabilmente, quello ortodosso è stato abbandonato, definitivamente, con i dettami Tridentini.

4. Il rito bizantino in Caprarica ed il culto a San Nicola

Le statue di San Nicola, primo patrono di Caprarica di Lecce, di San Marco, e Santa Barbara, dunque, unite ad un'altra intitolata a Santa Marina rappresentano, veramente, un substrato molto forte di storia e cultura greco-bizantina.
In molti paesi limitrofi, come Sternatìa, Corigliano d'Otranto, Carpignano, Borgagne, Martignano, Melendugno, Otranto ecc., vi è stata la presenza, per molti secoli, di monaci basiliani, i quali sono venuti dall'oriente, in seguito alle persecuzioni iconoclaste degli imperatori bizantini; questi monaci hanno introdotto nei luoghi dove si sono insediati i culti a santi o sante bizantine.
Le due grandi migrazioni orientali, sui nostri lidi, cominciate con l'esodo degli Iconofili e particolarmente dei monaci basiliani, hanno, profondamente, bizantineggiato i casali salentini che così hanno formato la cosiddetta Grecìa salentina(7) e, nel meridione, la nuova Magna Grecia.
In seguito, col sussidio che viene dagli imperatori bizantini, si opera il distacco di molte di queste chiese salentine dalla dipendenza da Roma e la sottomissione al Patriarcato Costantinopolitano: come le Chiese dipendenti dalla metropolitana di Otranto o, dalle altre, di Reggio Calabria e di Severiana.
Secondo il PARLANGELI (v.: "Sui dialetti romanzi e romaici del Salento", p. 85) Caprarica doveva, sicuramente, far parte dell'area grecanica più antica del Salento mentre dal XVIII sec. in poi ha perso via via questa sua specificità .
In Caprarica (che è stata sempre sotto la giurisdizione della diocesi Otrantina), perciò, il culto a San Marco è molto antico, ma lo stesso culto si nota anche nei territori di Calimera; a Melendugno, addirittura, tra il XII ed il XIV sec., San Marco è stato patrono principale insieme a Santa Corona, prima di essere sostituito da un altro santo patrono orientale, imposto sempre dai monaci basiliani, San Niceta; di Santa Barbara e Santa Marina sono presenti, un po' in tutto il Salento, culti beneficiali, non solo in chiese e cappelle ma, addirittura, nelle cripte-ipogee o laure scavate dai monaci eremiti. In una contrada posta nel territorio di Borgagne, vi era una laura dedicata a Santa Marina, a Carpignano vi è un altro ipogeo di rito greco e via di questo passo.
L'avvento dei monaci basiliani è venuto radicandosi in vari siti del Salento e, a seconda del luogo dove si sono insediati, si sono contraddistinti ed hanno assunto una caratteristica ben delineata.
I monaci che sono vissuti in cripte-ipogee, dette anche laure anacoretiche, intorno al V-VII sec. d.C., generalmente sono detti monaci eremiti, perchè conducono una vita solitaria in contemplazione solo con Dio; questi li possiamo trovare in località come Borgagne, Carpignano, ecc.
In altri casi, i monaci che sono vissuti in insediamenti rupestri, vivendo in comunità , hanno dato vita anche ad una cappella rupestre e li troviamo in località come Roca vecchia, dove fondano una chiesa rupestre dedicata a Santa Caterina in Alessandria, a Torre dell'Orso, dove fondano una chiesa dedicata a Sant'Orsola e a San Cristoforo.
In altri casi, questi monaci greci risiedono in grancie, che sono distaccamenti di monasteri più grandi, dove vivono in comunità . Resti di grancie sono evidenti in Pasulo (presso Borgagne), Corigliano d'Otranto, ecc.
I casi di massima espansione, del rito greco-bizantino, li troviamo negli insediamenti monastici, di grandi conventi, come a San Nicola di Casole presso Otranto, a San Niceta in Melendugno e a Santa Maria di Cerrate presso Squinzano.
In questi conventi, l'egumeno che è il capo spirituale e temporale, raccomanda la regola, non deve insuperbire della sua potenza, della ricchezza e dei possedimenti del monastero. Deve condurre vita semplice ed umile ed essere veramente un racendite, appellativo che vuol significare la veste lacera che indossano i solitari del deserto, e che gli egumeni usano aggiungere al proprio nome.
Così, infatti, si denomina Simone di Cerrate, come risulta dalle iscrizioni del baldacchino di quella chiesa, egumeno di quel monastero.
Quando l'egumeno esce dal convento, per esempio, non deve, senza necessità , farsi portare da cavalli o da muli ma camminare a piedi, non deve tener servi nè per sè nè per il monastero, ricordandosi "...che l'uomo fatto ad immagine di Dio, non deve essere soggettato a servizio di altri". E conclude la regola dell'egumeno, con questo fiero precetto: "...Tu non onorerai più di quello che è conveniente alla comunità : le persone privilegiate e che esercitano un potere secondo il mondo e non temerai di esporre la tua vita fino al sangue per seguire le leggi ed i Comandamenti di Dio".
Tali norme di vita rigorose, ma pur tanto sagge, fanno dei monasteri il centro della vita sociale di quei tempi e dei monaci i pionieri di una grande penetrazione culturale tra la popolazione di tutti i ceti, dai dotti ai coloni ed anche Caprarica, attraverso il protettore San Nicola, obbedisce a questa regola.
I monaci basiliani, ovviamente, si spostano anche negli altri casali a portare la parola di Dio ed il loro rito; in questo modo, spesse volte, nascono in casali, dove è assente questo rito, delle chiese greche; è il caso di Martano, di Calimera, di Sternatia, di Galugnano ecc.
Ecco perchè anche in Caprarica, molto probabilmente, intorno al XII-XIII sec. vi doveva essere una chiesa di rito greco-bizantino che ha imposto il culto a San Nicola e l'amore, per questo Santo, è divenuto così forte tra il popolo, tanto da farlo eleggere a patrono principale del casale.
Un'altra chiave di lettura è quella secondo cui il culto, per questo santo, è molto forte già dal XII sec. in Lecce dove il re Tancredi d'Altavilla, conte di Lecce, innalza, per sua devozione, un grande convento dedicandolo a San Niccolò e Cataldo.
Essendo, poi, in questo periodo - come si è visto - una quota del casale di Caprarica amministrato direttamente dai conti di Lecce, è probabile che il conte stesso abbia imposto il culto al casale mandandovi, magari a proprie spese, imponendo un beneficio perpetuo (com'è documentato per altri siti come Melendugno), un prete o monaco greco-bizantino.
D'altra parte allo stesso San Nicola è dedicato il gran convento basiliano di Otranto e, per un periodo, anche quello di Melendugno; perciò, come si vede, San Nicola è un Santo molto venerato non solo in Caprarica ma in molti casali limitrofi.
Per capire come mai anche questi preti di rito-greco-bizantino - i quali, come si sa, possono anche sposarsi - vivono la vita non solo religiosa ma anche sociale nei casali dove si radicano, si riporta un diploma che porta la data del 13 dicembre 1401 (6190, secondo il loro calendario). Questa è la seconda carta greca di Terra d'Otranto pubblicata, per la prima volta, dal MULLER e, successivamente dal DE SIMONE (Op. cit., p. 139) la quale contiene una permutazione scritta, di proprio pugno, nel vicino villaggio di Galugnano e munito del suo solito segno (?), dal sacerdote Matteo, figlio del sacerdote Nicola di Sternatia "...a preghiera dei coniugi Giovanni di Stefano PICCARISI e Caterina di Giovanni NAPLO e di mastro Antonio di Domenico TOMA. I coniugi danno una vigna, franca di ogni servitù laicale ed ecclesiastica; il TOMA un asinello, otto pecore, e due misure e mezzo (?) di olio. I contraenti giurano di non contravvenire alla convenzione sotto la pena di una multa di un'oncia d'oro e pro della Corte regia, e di un'altra a pro della Corte di Raimondo del BALZO, Principe di Taranto".
Come si vede, a conferma di quello testè detto, sia a Caprarica, con San Nicola, che nel limitrofo casale di Sternatia, che in altri casali, si hanno tutti Santi patroni facenti parte della diaspora basiliana.
Il problema principale, a questo punto, è quello come Caprarica abbia perduto la memoria storica del rito greco-ortodosso in quanto, molto probabilmente, quando i conti di Lecce hanno ceduto la seconda quota ai baroni, è venuto meno anche il beneficio perpetuo e l'elargizione amministrativa per questo rito; perciò dal 1369, anno di cessione della quota da parte dei conti, viene a scomparire la chiesa e il sacerdote di rito greco-bizantino, ma continua a vivere il culto a San Nicola come patrono principale di Caprarica al quale, come si sa, viene aggiunto nel XVII sec. anche il patrocinio di Sant'Oronzo.
SAN NICOLA. Il culto a San Nicola, per il Salento e per Caprarica, comincia proprio nel 1087, anno importante per la storia della fede verso questo Santo, quando le reliquie vengono trafugate da marinai baresi a Mira.
La scelta del patrono s'intreccia, come si è visto, anche con le vicende storiche locali, se è vero che proprio in quel periodo in Caprarica, per la quota che è sotto i conti di Lecce, Tancredi d'Altavilla ne impone il culto ed i monaci basiliani ne continuano, con gran trasporto, la predicazione.
E' facile, d'altra parte, voler bene a San Nicola il quale oltre alla devozione salentina, è il Santo più venerato al mondo, con una fama diffusa ovunque. Egli è il patrono di Bari, di Berlino, di Castellaneta, ecc.
San Nicola ha lasciato poche tracce biografiche della sua vita terrena; pochi documenti ne attestano opere e attività , numerosi, invece, quelli che comprovano le sue virtù soprannaturali. Il miracolo è il filo conduttore del culto nicolaiano.
Tra tutti si ricordano: la tempesta sedata, l'uragano che placa la sua furia davanti alla prua di una fragile barca permettendo ai marinai di salvarsi (da qui l'indubbio affetto che la gente di mare ha nei Suoi confronti), la Sua attenzione verso i giovani da salvare da pericoli imminenti materiali o morali che fossero.
Infine c'è la serie infinita di piccoli o grandi miracoli che i devoti di tutto il mondo attribuisce al Santo.

5. Il rito latino in Caprarica ed il culto a Sant'Oronzo

E' sintomatico, perciò, notare come, tra le numerose chiese beneficiali ed altari devozionali, posti all'interno delle cappelle o conventi, che sono sorti dall'XI secolo in poi, in Caprarica, molte sono dedicate a Sante o Santi sia di rito latino che di rito greco-bizantino.
Molti sono i preti ed i chierici greci e latini che appaiono, dal XII secolo in poi, operare attivamente in numerosi casali del Salento. Il padre COCO (in un suo lavoro su "Le cause del tramonto del rito greco in Terra d'Otranto") elenca tutti i casali salentini dove appaiono religiosi che seguono il rito latino nel 1261 e, tra questi, riporta anche Caprarica dove risultano esserci 2 sacerdoti latini e 4 chierici in sacris.
A tale proposito, perciò, si ricorda che sono di chiaro rito latino le statue ed i culti a Sant'Irene, Santa Veneranda e, il futuro compatrono, Sant'Oronzo, mentre, di rito bizantino sono, prima di tutto, il Santo patrono San Nicola, poi vi sono le statue di San Marco, Santa Marina e Santa Barbara, trovate per caso, nel convento dei carmelitani, durante i lavori di ripristino del pavimento della chiesa.
In questa chiesa sono stati scoperti depositi di cornici spezzate, intagli rotti ecc., resti che sicuramente facevano parte di un'antichissima chiesa di cui si è perduta la memoria storica e che la Sovrintendenza non ha concesso, alla parrocchia, il benestare per un eventuale recupero.
a) SANT'IRENE e SANTA VENERANDA. Le due statue rappresentanti Sant'Irene e Santa Veneranda sono due antichissime Sante di origine leccese, per cui possiamo affermare con forza che gli abitanti di Caprarica, dal punto di vista della fede cattolica, sono i primi depositari e custodi, nel Salento, tra coloro che serbano nella loro essenza intima, storica e religiosa, i prodromi del loro antichissimo culto devozionale alle due Sante. Questa memoria storica di fede, in verità , dobbiamo dire che è stata smarrita per strada non solo dagli abitanti di Caprarica ma anche da quelli di tutto il Salento.
Per riscoprire quest'antichissima fede a Santa Veneranda e a Sant'Irene, per molti secoli anche padrona principale di Lecce, finchè Sant'Oronzo non è intervenuto nel XVII sec. a togliere quell'antica autorevolezza, si trascrive un passo scritto da Mons Paolo REGIO, il quale alla fine del XVI sec. (in un suo lavoro dal titolo "Delle Opere spirituali"), tra gli altri Santi, ha scritto anche sulle Sante oggetto della nostra indagine, in cui si può veramente capire e palpare come mai il culto a queste Sante è giunto a Caprarica, intorno al V - VI sec. d.C., non a caso.
Il testo del REGIO recita: "Di S. Irene figlia di Licinio cognato ed amico di Costantino il Grande, e della sua amica S. Venera....Ora, fra quelli che si opponevano alla Fede di Cristo era un tale Licinio, cognato del pio Costantino Imperatore; ed essendo egli fatto partecipe dell'Impero da Massimiano Galerio alla morte dell'Imperatore Severo nell'anno 308 della nostra salvazione, pensò di seguire quest'ultimo nella miscredenza che presto manifestò avverso il Cristianesimo....Quando egli pervenne all'altezza imperiale procuratagli dalla moglie Costanza, sorella di Costantino, dalla loro unione nacque Sant'Irene che oggi noi onoriamo. Questa Santa donzella, quantunque nata da un padre nemico di Cristo, essendo la madre cristiana e di sangue imperiale, inclinava piuttosto a seguire la madre nella Fede anzichè le barbarie e l'empietà del padre. Leggesi in Pomponio Leto, in Cassiodoro, in Eutropio ed in Eusebio - gli storici di Costantino - come anche nei vecchi Commentarii della città di Leccio (donde questa storia è tratta), che Sant'Irene nacque in questa città ed ebbe per compagna una vergine cristiana nomata Venera. Ma essendo Licinio un nemico di Cristo, non cessò mai di guerreggiare contro i suoi seguaci, e senza timore o vergogna fece trucidare molti di quelli che non intendevano servire gli idoli; sino al punto che Costantino, dopo averlo esortato e pregato a desistere, fu costretto ad esercitare la sua autorità contro di lui..... Ora, prima che Licinio si avventurasse nell'Asia quando viveva in Lecce aveva deciso di dare sua figlia Irene in matrimonio ad un grande Generale, sperando di ottenere aiuto contro le forze di Costantino. E questo guerriero avendo già udita la fama della bontà e bellezza della Vergine, senza esitazione espresse il suo desiderio, di guisa che fra i due fu conchiuso il matrimonio. E Licinio, desideroso d'informare la figlia, che nulla sapeva intorno ai disegni del padre ed erasi votata a perpetua castità indotta dallo Spirito Santo, cominciò a parlarle con frasi gentili e amorose: Dolce fanciulla, tu sei la mia unica speranza contro l'avversa fortuna, giacchè soltanto col darti in matrimonio al grande e valorosissimo Generale, io posso con l'aiuto di costui recuperare il perduto Impero. E sebbene il mio cuore rifugga dal sopportare un così grande dolore, giacchè tu sei per me una dilettissima figlia, tuttavia la necessità mi obbliga, poichè io debbo oppormi alla pretensione degli altri in modo che non soltanto ricuperi le mie provincie perdute, ma possa affrontare con sicurezza in ogni tempo i miei nemici. Or dunque, approntati, copri le tue vesti coi preziosi gioielli e adorna la tua beltà come conviensi a donna nata nella porpora. A queste parole la fanciulla cristiana, dopo avere pregato Dio con tutto il suo cuore affinchè le desse la forza di resistere a tutto ciò che si opponeva alla sua volontà , così rispose: padre, se tu vuoi ascoltare le pie parole con amore veramente paterno, io sono sicura che tu esaudirai tutti i miei desiderii. Sappi dunque che io, nata da Imperiale lignaggio, ed educata come si conveniva alla mia nascita, ho riposto le mie speranze così in alto, che nessuno sposo terreno può giammai essere pari a me stessa; ed io ho deciso nel mio cuore, che il mio signore non sarà un figlio della fortuna, ma il Signore dell'Universo, Re e Padre di tutti gli uomini. Quegli che tu vorresti farmi sposare, può facilmente vedere abbattuta la sua grandezza; il suo valore può essere sopraffatto dai trionfi dei nemici; ma il mio Signore trionfa da per tutto, sicchè nessuno può contrastargli; la sua bontà è immensa e risiede nei luoghi segreti di coloro che lo temono, di coloro che egli ha eletto, per sè, che sperano in lui al cospetto di tutti gli uomini. Questo mio sposo è Signore, rompe gli intendimenti delle Nazioni, ed annienta i desideri dei popoli. E beata è quella Nazione della quale è Dio il mio Signore, e che Egli ha eletto come sua eredità .
A questa inaspettata risposta Licinio rimase meravigliato ed attonito, e domandò a lei di spiegarle più chiaramente chi fosse lo sposo ch'Ella laudava tanto altamente e in qual modo essa si fosse sposata a lui senza che il padre lo sapesse. Rispose la Vergine, che il suo Signore non era di questa terra, ma del Cielo, e che Egli era figlio di Dio.
Avendo ciò udito Licinio domandò, se per caso fosse Marte.
(N.d.A.: si tenga presente che in quel tempo in Lecce vi era un grandissimo tempio dedicato al Dio Marte) lo sposo, o qualche altro dei figli di Giove; ma Irene replicò, che essa non considerava come deità costoro, ma come demoni infernali, e che il suo Signore non era altri che Gesù Cristo.
Questo nome era così odioso a Licinio, che udendolo pronunziare dalla sua figlia, subitamente la sua affezione paterna per lei si convertì in un odio diabolico; quindi la minacciò di morte, infuriando e fulminando contro di Lei e contro la sua compagna Venera, perchè credeva che costei avesse istruito la figlia nella Fede di Cristo. Egli concepì l'empio disegno di condurre entrambe al martirio. Infatti aveva già fatto conoscere il suo crudele intendimento quando i suoi familiari lo persuasero di rinchiudere le sante fanciulle in una stanza del suo palazzo con alcune altre donzelle pagane, perchè in tal modo quelle potessero distrarsi dai loro pensieri. E così, quantunque le vergini spesso fossero tentate da queste donne, tutto fu vano, perchè la fidanzata di Gesù, come una salda rocca battuta dalle onde incalzanti, rispondeva sempre vittoriosamente alle loro esortazioni. In modo che invece di convertire la donzella secondo i desideri del padre, le fanciulle pagane furono esse stesse convertite. Fu perciò loro manifesta la virtù del Dio Uno e Trino che risplende in ogni uomo, che intende a propagare la parola di Cristo. Finalmente esse confessarono che per loro non eravi che un solo e vero Dio, il Dio dei Cristiani.
Nel frattempo Licinio poco sospettando che le due fanciulle avessero tratto le altre dalla idolatria, venne per esaminare alcuni suoi più bizzarri destrieri, uno dei quali avendo rotto il capestro a cui era legato, colpì il petto di Licinio con un ferocissimo calcio, quindi lo calpestò riducendolo quasi in fin di vita. Si sparse subito la notizia che egli fosse morto, onde Irene, udendo il grido della folla che correva verso la scuderia, vi accorse anche lei.
Avendo veduto suo padre giacente in fine di vita a terra, elle s'inginocchiò e pregò il suo Sposo Divino che volesse ridonare la salute a colui che aveva dato a lei la vita. Essendo stata esaudita la preghiera, Licinio sorse da terra forte e sano, e recatosi con grande meraviglia in casa, domandò alla figlia per quale potere essa avea operato il prodigio. E la fanciulla tutta incoraggiata gli disse: "sappi o padre, che io ti ho salvato dalla morte imminente non per virtù di erbe benefiche nè per incantagioni ma per fede nell'infinita grazia del mio Dio che io umilmente implorai, perchè ti ridonasse la salute; e per questa ragione tu devi per ringraziamento di questo gran dono riconoscere il tuo errore, domandare perdono e adorare umilmente Iddio. Anche io ti assicuro che se tu confesserai i tuoi peccati e riceverai il santo Battesimo, tutti i tuoi delitti ti saranno perdonati. Riconosci dunque questo miracolo in te operato e la potenza del mio Cristo, ed io sarò per sempre una fanciulla obbediente e tu sarai il mio amato genitore".
A queste pietose parole Licinio non rispose, e considerando per tutte le circostanze che il suo pericolo era stato eccessivamente grave, e che qualora egli si mostrasse indegnamente disposto contro la sua figlia e benefattrice, egli sarebbe reputato un ingrato, ricordò a lei di ritornare nelle sue camere. Così questo impenitente nemico del Cristianesimo che aveva ucciso non pochi dè suoi soldati in macedonia e in Sebaste, fu ora persuaso dalla propria figlia a ricevere la Fede di Cristo, quantunque il suo cuore fosse indurito come quello di Faraone.
* * *
Come Sant'Irene e Santa Venera, essendo state rinchiuse in buie camere, furono trovate con due luci miracolose, e come esse furono martirizzate.
L'ostinazione generata dall'orgoglio rende l'uomo tenace nelle sue opinioni, ed è per questa ragione che gli uomini caparbi spesso sono malvagi più degli altri, biasimando essi tutte le azioni fuori delle proprie, e guardando con compiacenza soltanto queste ultime. Così avvenne che Licinio per il suo eccessivo orgoglio persistesse nella persecuzione contro i Cristiani, non dimenticando neppure nella sua ostinazione di inferocire contro la propria innocente creatura. Ritornando dunque alla nostra narrazione, passati pochi giorni, egli fu ripreso dal suo vecchio odio contro i Cristiani, e ne fece trucidare molti tanto in Lecce quanto nelle contrade circostanti. Quindi fece rinchiudere in una torre Sant'Irene relegandola in una oscura camera, e sperando che quivi ella morisse di stento. Ma la santa donzella poco curava la paterna ostinazione, tutta accesa dell'amore verso Cristo, e con fervido cuore offriva la sua passione al celeste amante il quale non permettendo che la sua amata Irene vivesse nelle terrestri tenebre, mandò a lei per mezzo dell'Agnello una lampada brillante e splendente, per essere appesa al muro della oscura prigione, la quale di giorno e di notte diffondeva la luce di un miracoloso splendore. Per la qualcosa gioiva la vergine dicendo con Davide: Lo splendore del Signore nostro Dio è sopra di noi (Salmo 39). I guardiani della torre avendo scorto la luce misteriosa ne riferirono a Licinio. Onde egli sospettò che qualcuno della città avesse portato a lei la lampada insieme col cibo quotidiano, ed inviò alcuni dè suoi servi per spegnerla. Ma essi non poterono nè estinguerla nè rimuoverla, che anzi profondamente meravigliati ritornarono a Licinio e gli narrarono il fatto. Egli non credette alle loro parole, ed inviò alcuni suoi fidatissimi cavalieri, i quali domandarono alla Vergine da chi ella avesse avuto quella luce. Rispose che il suo Eterno Signore aveva ascoltato le preghiere di lei, e le aveva riferite allo stesso Iddio che illumina le tenebre esterne. Ora essi ne furono molto confusi e tornarono a Licinio e gli dissero che la lampada non era stata ivi collocata da mano mortale com'egli supponeva; ma perchè egli potesse persuadersene farebbe bene a collocare delle guardine le quali spiassero se per caso qualcuno provvedesse la lampada dell'olio necessario; e qualora ciò non fosse, era chiaro che questa era opera divina e non cosa naturale. Questo consiglio piacque a Licinio, ed avendo disposto diligentemente le guardie intorno alla torre, ed essendosi persuaso che la lampada ardeva continuamente quantunque nessuno apparisse che la provvedesse di olio si fece manifesto che ciò era opera non di mano mortale, ma effetto di un vero miracolo, e dimostrava la santità della fanciulla essere superiore alle leggi di natura. Ma ad onta di tutto ciò egli rimase ostinatamente nemico della Fede Cristiana, e non ebbe pace finchè vide la figlia perseverare nel culto di Cristo. Quindi egli studiò come dovesse uccidere Venera compagna di lei; ed alcuni dei suoi satelliti, essendosi recati per ordine di lui presso questa donzella, la trovarono in atto di preghiera con una lampada simile all'altra, collocata innanzi a lei presso l'immagine del nostro Salvatore Gesù Cristo; e non potendo essi nè spegnerla nè rimuoverla, la credettero che ciò fosse opera di magia. Essi dunque persuasero Licinio, che sottomettendo la Vergine a tortura, essa rivelerebbe il segreto per modo che essi scoprirebbero anche il segreto intorno all'altra lampada collocata nella camera di S. Irene. Egli seguì il consiglio cercando di estorcere dalle labbra di S. Venera la confessione mediante le più crudeli torture, ma ella non confessò altro che il nome di Cristo. Disprezzando la vanità degli idoli essa rese l'anima al Creatore tra le gloriose torture; e la lampada rimase accesa nella stanza di lei per molti giorni, come segno che ella era una delle Vergini Prudenti. Quindi tramando il crudele tiranno di ricondurre S. Irene all'idolatria, e trovando la medesima sempre tenace e costante nella propria fede, egli fu talmente travolto dall'ira, che condannò la propria figlia a morire insieme con altri gloriosi martiri. E tutti furono meravigliati per l'invincibile coraggio di una sì tenera donzella, che nella lieta compagnia di altre prudenti Vergini era stata reputata degna di entrare nella celeste gloria del suo divino amante. Così fu consumato il glorioso martirio di Sant'Irene e Santa Venera nell'anno 326 di nostra salvazione. Ma Licinio non andò impunito pure in questo mondo di questa sua crudeltà , poichè essendosi nuovamente ribellato a Costantino sempre sorretto dalla speranza di riconquistare l'impero perduto colle forze delle armi, fu trucidato per ordine dell'Imperatore, e insieme con lui un certo Marziano ch'egli aveva creato Cesare suo alleato nella ribellione.
Fu Licinio un principe assai crudele, di natura rapace, disonesto ed avido di comando. Egli martirizzò molti altri fedeli oltre S. Irene e S. Venera; visse come tiranno 15 anni e fu ucciso al 60° anno della sua età . Qualche scrittore vorrebbe farci credere che egli lasciò un figlio chiamato anche Licinio nato da Costanza sorella di Costantino, e che fu creato Cesare insieme con Crispo, figlio del suddetto Costantino e di Minervina sua concubina, i quali entrambi dopo un regno breve ed infelice furono uccisi dai sicari dell'imperatrice Fausta".
Come si vede, dunque, Sant'Irene nata e martirizzata nella città di Lecce, si può dire che è stata una di quelle poche "profetesse in patria", in quanto il popolo leccese la fece sua protettrice e la tenne sempre in grande onore e venerazione; fabbrica chiese ed altari in memoria di lei, invocando il suo nome in tutte le necessità .
Così viene venerata e celebrata il cinque Maggio; il culto si propaga in tutto il Salento e Caprarica è uno dei primi casali che recepisce la lezione di fede di Sant'Irene e Santa Venera che le adotta come sue ausiliatrici nel novero dei Santi locali.
A sancire, definitivamente, questo fermento di vita radicato ormai da secoli in questo casale, il già citato catasto onciario del 1744 rileva esserci, in Caprarica, un importante beneficio a sfondo sociale e religioso detto di "Santa Veneranda" e che, per comodo del lettore, si riporta:
beneficio sotto il titolo di santa veneranda (p.192)
Don Giuseppe CALVIELLO, beneficiato.
Possiede una chiusa nominata Santa Veneri, olivata di tomoli 1, ettara 8 in fronda, giusta li beni del Sagro Ospidale di Lecce da levante, e borea, e via pubblica da gerocco. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 18, e grana 3, sono.....................................................oncie 6,3
Alberi 4 di olive dentro la chiusa nominata Palatej dell'Illustre Don Ambroggio GIUSTINIANI. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui carlini 4, sono............................oncie 1,10
Alberi 3 di olive dentro la chiusa nominata Palma del Sagro Ospidale di Lecce. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 25, sono..............25
Alberi 3 d'olive dentro la chiusa nominata Palma del m. Carlo TEODORO di Lequile. Stimata la rendita extra: annue grana 20, sono..............................20
Un albero dentro la chiusa nominata Perrulli del m. Bernardo CATTANI di Lecce. Stimata la rendita extra: annue grana 8, sono.............................................8
Alberi 3 d'olive dentro la chiusa nominata Pinzelle del m. Pietro Maria FERRAROLI di Lecce. Stimata la rendita extra:
annue grana ...........................20
Sono in tutto oncie 9,16.
b) SANT'ORONZO. Dopo il patrono San Nicola (che è di rito bizantino), Caprarica, nel XVII sec., con l'avvento, in Lecce e nel Salento, della ventata di fede, portata dal culto verso Sant'Oronzo (di rito latino), celebrata da diversi e agguerriti ordini religiosi, aggiunge, come suo patrono principale, a San Nicola, anche Sant'Oronzo.
Sebbene il culto del primo protettore risalga, molto probabilmente, al XIII sec., gli abitanti di Caprarica di Lecce, pur conservando una filiale e rispettosa devozione per San Nicola, considerano Sant'Oronzo il vero e principale protettore del paese.
Sant'Oronzo, dunque, primo vescovo di Lecce, è in Caprarica ricordato con l'espressione in vernacolo locale "Santu Ronzu te lu racà nu" (Sant'Oronzo dell'uragano) e si festeggia ogni 23 di novembre, in ricordo dello scampato pericolo, grazie alla sua intercessione, quando, appunto, il 23 novembre 1884 uno spaventoso uragano colpisce e distrugge mezzo paese e circondario.
Quell'evento distruttivo è unanimemente considerato come il più disastroso che abbia colpito nei secoli le nostre terre.
A Caprarica, in ricordo di quell'avvenimento luttuoso, ogni anno, il 23 novembre, si svolge una sentita processione che termina, intorno alle 13, sulla via per Galugnano, da dove proveniva l'uragano. Una "batteria" di colorati fuochi d'artificio ricorda i fatti di oltre un secolo fa, ancor oggi vivi nella memoria collettiva della cittadina.
Si narra che una giovane e bella contadina, di nome INGROSSO Adriana, sia stata la prima ad avvertire i concittadini dell'imminente catastrofe, ma che, come novella Cassandra, non sia stata creduta.
L'uragano viene scambiato, al suo sopraggiungere da ponente, come rumore del deragliamento di un treno locale, lungo la linea ferroviaria SUD-EST che serve la vicina Galugnano.
Quando gli abitanti di Caprarica si accorgono della gravità della situazione, non possono fare niente per prevenire la sciagura; il ciclone oltrepassa la serra che da ovest sovrasta il paese e si dirige verso le abitazioni.
Tuoni, fulmini e distruzioni accompagnano il suo arrivo; grandi alberi secolari d'ulivo vengono sradicati e molte pajare vengono rase al suolo.
Chi può si dirige, a fatica, verso la chiesa madre dove i primi disastri hanno indotto i più previdenti, insieme al parroco, ad esporre la statua di Sant'Oronzo. Un coro caloroso e intenso intona preghiere ed inni a Sant'Oronzo.
Tutti ormai credono che sia giunta l'ora della fine quando, ad un tratto, l'uragano, che ha già distrutto case, divelto alberi, ecc., miracolosamente devia. La bufera si dirige verso Castrì e Caprarica è salvo.
Tutti gli abitanti, unanimemente, gridano al miracolo ottenuto per intercessione di Sant'Oronzo.
Quando, però, gli abitanti escono dalla chiesa e cominciano a fare la conta delle cose distrutte o mancanti, si accorgono che la bufera ha distrutto il campanile della parrocchiale; cinque persone si vedono giacere sotto le macerie ma vengono, immediatamente, estratte e ci si accorge che, sebbene travolte da una grande quantità di pietre, sono miracolosamente vive.
Inoltre, in una contrada rurale, un tal Giuseppe VERRI, infermo ed impossibilitato a muoversi, si salva dal crollo della sua misera capanna grazie al fatto - ritenuto prodigioso, vista la violenza della bufera - che il tetto ha retto.
C'è un ragazzino, un tal Oronzo MAZZEO (nato in Caprarica il 13/10/1868 e morto il 07/05/1959) che, con le sue pecore e le sue capre, si ripara dietro un muretto a secco; la bufera distrugge tutta la parete a secco tranne, miracolosamente, il tratto dietro al quale si è rifugiato il piccolo pastore.
Il destino, beffardo, non è, invece, benevolo per un tal Oronzo CENTONZE, l'unica vittima della bufera. Egli è un uomo litigioso, che si rifiuta ostinatamente di andare in chiesa e per questo ci sono continui battibecchi con la moglie che così lo apostrofa: "...a ttie speriamu cu tte trasane ‘ccisu ‘ntra la chiesia... - speriamo che ti portino ucciso in chiesa"; e così, da morto, il CENTONZE entra nella chiesa in cui non ha voluto mai entrare da vivo.
A ricordo di quella terribile sciagura il canonico Oronzo VERRI, parroco di Caprarica (dal 1919 al 1955), ha scritto una serie di quartine in vernacolo locale, cortesemente forniteci dall'attuale parroco don Antonio SCOTELLARO: "
SANTU ‘RONZU TE LU RACANU
I - A bintitrè Nuembre de la nnata
mille ottucentu ottanta quattru,
stia la gente ‘ncora a casa ritirata
ddhra duminica doppu menzadia.
II - Ddhru giurnu, de tre zite Craparise
era la festa, e li parienti icini
iane minatu a mmienzu a lu paise
treni, fiuri, turnisi e candilini.
III - All'una, de la serra se partia
nu spamintusu rusciu ndimuniatu -
Gridau la ‘Ndriana: "De la fierruia
lu papore, serai, se ‘nda scappatu".
IV - Se ‘mpopula la chiazza - A nnu mumentu
lu fumulizzu face l'aria scura;
se scatinane lampi, treni e ghientu...
nuanta segna a tutti la paura.
V - ‘Mpisu a lu cielu cala nnu zunfiune;
scardina, gnutte, sdradica, scunquassa,
e, sturcenduse comu sirpintune,
riduce terra piana de ddhru passa.
VI - Ramure, strazze, pampane, cappieddhri
parune all'aria crauli de lu gliernu,
fitandu comu tanti sciucarieddhri...
erane an terra e ni paria lu ‘Nfiernu!
VII - Mamme cu li lattanti an brazze e an piettu;
auri piccinni strinti a lu fustianu;
‘nfirmi fusciuti fore de lu gliettu;
siri cu li guagnoni an cueddhru e a manu.
VIII - A ddhru ni rifugiamu? A ddhru fuscimu?...
A campagna, alla chesia, a la cantina?...
Nun c'è locu, nè tiempu nni scundimu:
L'ira de Ddiu ni secuta: è bicina!
IX - Se sente allora tra ddhra cunfusione,
l'arciprete Marullu pridicare:
"Fede e curaggiu: de la distruzione
lu Santu ‘Ronzu nestru n'ha sarvare".
X - "O Santu ‘Ronzu ‘nticu Prutittore,
aggi armenu pietà de l'innucenti;
cerca pè nnui perdunu a lu Signore;
lluntana sti periculi prisienti.
XI - "Diesti pè nnui lu sangu a Gesù Cristu,
e mò ni lassi comu scanusciuti?...
Se vuei nni sarvi, lu mumentu è uistu:
ce sire sinti tie, se nu mi gliuti?"
XII - Rimbomba la campana - Signu Santu!
De dece manu a bandulu è sunata...
Se mmiscane a ddhru senu gridi e chiantu
de la gente dimerta e scunfidata.
XIII - ‘Ntise lu Santu... nnanzi a l'abitatu
de mendula è schiantatu n'arvirune;
poi s'ausa e bascia, ma però frinatu
sempre de Santu ‘Ronzu lu zunfiune.
XIV - Alla putea de frunte a lu palazzu
quattru amici faciane lu patrunu;
s'iane date le carte de lu mazzu,
ma senza ‘ncora lle cuffrunta ognunu.
XV - Tre cumpagni, minandule, fuscera
intra la chesia de la sacristia;
‘Ronzu Centonze, ca tinia primera,
le cose an pauda e rretu a quiddhri scia.
XVI - Lu forte andulisciare scatinà a
lu campanaru a vela, e a ddhru mumentu
ceddhri putia pinsare, ca bastà a
cu ‘nde scoppa na spinta de ddhru glientu.
XVII - Lu ‘Ronzu sta rrià a, quandu n'uccettu,
comu llanzatu de lu campanaru,
propu dicisu ffazza nu dispiettu,
ccise ddhru pueru ‘Ronzu paru, paru!
XVIII - E dire, ca a maritusa, fissatu
Tantu, ca a nuddhra chesia mai trasia,
"Cu te trasane ccisu e sfracellatu"
rraggiata, mescia Peppa li dicia.
XIX - Lu campanaru intantu sculumbà a
subra la lamia de la sacristia,
ca all'urtu, e pè lu caricu spundà a,
e sutta a petre e chianche seppellia.
XX - ‘Ronzu Nnicola Grecu cunsiglieri,
Masi Conte, De Vitisi Paulinu,
‘Ronzu Nicola Grecu messu e uscieri,
e Minicu centonze Callurinu.
XXI - "Oh spinturati, ce distinu maru"
- gridane le muglieri e li parienti -
"Ssutta li piezzi de lu campanaru!"...
Tutti uardane, e ceddhri facia nienti.
XXII - Nu figliu pè paura nu trasia;
pè nu fare cchiù dannu a ddhri parieddhri,
n'auru cu stompa subra se dulia...
- Chiamara "Tata" e nu rispuse ceddhri!...
XXIII - Ma doppu n'ura li carusi arditi
li piezzi chianu, chianu ‘nde lliara
de subbra a ddhr'infelici seppelliti,
e sarvi tutti cinque li cacciara.
XXIV - E le campane?--- Tisa lu zunfiune
mmienzu la strata ‘nde spinculisciau
la grande, e la piccinna a nu truncune
de lu pilastru ‘mpisa se fermau.
XXV - Sulamente lu ‘Ronzu disgraziatu,
rimasu de nu piezzu a truncu ccisu,
subbra l'artare, tuttu ‘nsanguinatu,
de San Bicenzi lu ‘mpuggiara stisu.
XXVI - Nu ssacciu, se li ficera funzione;
ma pè mancanza de campane, certu
rimase senza senu e sperazione,
ossia, senza l'unori de lu muertu.
XXVII - Giusti fini de Ddiu! ...però la manu
scusa, ma certa de lu Prutittore
nu ni lassau, fintantu lu raganu
de tuttu lu paise nu ssiu fore.
XXVIII - Intra l'urtima casa de la scisa
Giuseppe Verri ‘nfirmu stia curcatu;
lu cannizzu spundau, ristandu tisa
sula ddhra parte an capu a lu malatu.
XXIX - ‘Ronzu Mazzeu, striu de sidici anni,
tandu cu quattru pecure rrià a,
e a lu parite, pè scansare danni,
de lu sciaardinu "Illa" se parà a.
XXX - De tutte e ddoi le manure spurrau
lu parite cu conza frabbicatu;
tisa la sula stozza ‘nde ristau,
a ddhru lu maru ‘Ronzu stia ‘ngucciatu.
XXXI - Pecure sarve, e ‘Ronzu senza nienti;
e ssaccia ognunu, senza se scraeddhra
pè ddhr'auru nume ci li dae la via,
ca de tandu ristau "lu PECUREDDHRA".
XXXII - Turnau la carma e ssiu l'arcubalenu.
Crisciu, ca Santu ‘Ronzu se ‘nfacciau,
e de lu Cielu pracidu e serenu
nu salutu a Craparica mandau.
XXXIII - E' storia quista; e se cirvieddhru umanu,
prima cu crìscia a tantu Prutittore,
spetta cu bìscia e tocca cu le manu,
o nu bole capisca, o è senza core!
Sac. Oronzo VERRI"
Non a caso, dunque, a lui si sono rivolti con devozione e fede altri centri salentini tanto che lo hanno adottato come patrono principale. Si ricordano, oltre a Lecce capoluogo ed a Caprarica, Acaya, Ostuni e Turi; a Potenza e a Zara vi è un culto a Lui dedicato.
Ad Ostuni, per esempio, è così forte la fede per questo Santo che è stata istituita, circa tre secoli fa, la "cavalcata di Sant'Oronzo" (processione del Santo a cavallo ed in costume).
Essa è una manifestazione di riconoscenza dei "vaticali" (i carrettieri che trasportavano le merci da un paese all'altro) al patrono che ne protegge i traffici.
Ad Acaya nell'agosto 1999 è stata approntata, per la prima volta, dai giovani locali e con l'approvazione del parroco locale, Mons. Rosario CISTERNINO, una processione con costumi rinascimentali, in onore del patrono Sant'Oronzo e del barone che ha costruito il borgo nel 1535, Gian Giacomo DELL'ACAYA. I giovani, con una commovente cerimonia, vicino alla porta detta "Terra", nella persona che ha rappresentato il barone DELL'ACAYA, ha consegnato a Sant'Oronzo le chiavi del borgo fortificato.
Come si vede la fede per questo Santo è così forte tanto che, in tutte le città dove è venerato, vengono organizzate manifestazioni colossali, spendendo anche molto denaro, ma qual è il substrato storico della figura di Sant'Oronzo, vescovo di Lecce?
Verso la fine dell'Impero e gli albori del cristianesimo si parla della grande figura di un nobile leccese che ha lasciato l'impronta del proprio passaggio ed inciso il proprio nome nelle menti e nel cuore di molti paesi del Salento: Sant'Oronzo.
Questo patrizio, è stato convertito alla fede di Cristo da San Giusto, discepolo di San Paolo, Egli riesce a convertire non solo Oronzo ma tutta la sua famiglia che comprendeva anche il cugino Fortunato.
Oronzo, addirittura, va a Corinto per incontrare l'Apostolo Paolo per pregarlo, addirittura, di venire con lui in Lecce. San Paolo è entusiasta della fervida fede incontrata in Oronzo - ma i suoi impegni lo portano altrove -, oltretutto Paolo è convinto che sia Oronzo stesso in grado, insieme con Giusto e Fortunato, di convertire molti pagani leccesi al cattolicesimo; l'Apostolo delle genti, infine, nomina Oronzo primo vescovo di Lecce.
L'ARDITI nel suo lavoro (op. cit.) afferma che presso le: "(...) perenni paludi che appellano Cesine, le quali si congiungono con le attigue di San Cataldo (...) è tradizione che quivi appunto avvenne l'incontro di S. Oronzo con S. Giusto nel primo secolo cristiano (...)".
Al ritorno della triade, composta - come si è detto - da Oronzo, Giusto e Fortunato, vengono acclamati, con grande loro meraviglia, dal popolo e da numerosi soldati romani, ma giunti all'orecchio dell'imperatore Nerone i prodigi che compie Oronzo, inizia la persecuzione.
Nonostante le torture, i cristiani leccesi restano fermi e non abiurano la loro fede, cosicchè, Oronzo e Giusto vengono decapitati nel luogo dove ora sorge in Lecce la chiesa detta di Sant'Oronzo fuori le mura, essa si trova al 3 km. lungo la strada che conduce a Torre Chianca.
Questo è quello che scrive Paolo REGIO (op. cit.) a proposito di Oronzo: "...ma essendosi (i romani) convinti di essere incapaci a scuotere la loro fede, essi cominciarono subito a minacciarli di una morte crudelissima, se non abbandonassero subito a minacciarli di una morte crudelissima, se non abbandonassero il loro culto e non s'inchinassero agli Dei pagani di Roma, Marte, e Giove. Quindi, essendo i Santi rimasti inflessibili nella fede e tenaci nel confortare i loro confratelli, furono assoggettati agli oltraggi e alle torture, finchè nel primo sabato di settembre, essi morirono com'è solennemente creduto, e in questo giorno si è sempre celebrato il loro glorioso martirio che ebbe luogo nell'anno 68 di N. S. . In tal modo la Chiesa di Lecce fu tinta del sangue dei SS. MM. Giusto ed Oronzo..... sotto la tirannia di Nerone. In seguito alcuni fedeli leccesi avendo raccolto i Santi corpi dal mezzo della piazza ove erasi consumato il martirio, li ricoverarono in un posto sicuro adornati di gemme preziose, dove riposarono sino al tempo in cui il grande Costantino fu battezzato. Soltanto allora fu accordato ai Cristiani il permesso di costruire Chiese in memoria di Dio e dei Santi, ed altari in onore loro. Fu perciò che i cittadini di Leccio rinvennero questi corpi santi (?), ed avendo collocati i loro corpi in due custodie d'argento, costruirono una splendida Chiesa in loro onore che è situata fuori la porta ad occidente della Città , dove essi furono martirizzati. Quivi riposa il corpo di San Giusto, e quello di S. Oronzo è seppellito in un'altra chiesa fuori della città insieme ad un grande tesoro...".
A contraddire la versione ed alcune certezze del REGIO interviene il PROTOPAPA il quale, nel suo lavoro ("Caput Sancti Orontii Martiri"), afferma che Sant'Oronzo e Giusto pressati dalla persecuzione sono indotti, per l'amore che nutrono verso il popolo (e non per paura della morte), a fuggire; essi si rifugiano in alcune grotte in Ostuni e Turi, dove attualmente - non è, dunque, un caso - sono venerati, ma poi ritornano in Lecce dove subiscono il martirio.
Il PROTOPAPA dice che per diversi secoli e fino al XVII sec. Sant'Oronzo non ha avuto alcun culto in Lecce dove la protettrice ufficiale è Sant'Irene. Così si esprime, infatti, Nicola VACCA in un suo scritto: "...Credo di dir cosa nuova per gli studi patrii facendo sapere che il culto di S. Oronzo è vivissimo sin dall'alto medioevo nella Dalmazia, quando qui da noi era soltanto un culto secondario. Sant'Oronzo era festeggiato il 22 gennaio a Grado, si festeggia a Zara il 21 febbraio e se ne commemora il martirio il 2 ottobre...". Il VACCA afferma anche di sapere che il capo di Sant'Oronzo martire si conserva a Zara.
Nel libro scritto da C. F. BIANCHI (dal titolo "I fasti di Zara" alla p. 19) così si legge: "... Nell'anno 1091 Sergio, giudice di Zara, figlio di Majo, fa eseguire una cassetta d'argento adorna di figure, vi ripone il capo di Sant'Oronzo martire, e la dona alla chiesa cattedrale di Sant'Anastasia".
A questo punto si può obiettare che anche la cassetta descritta da P. REGIO è d'argento e che, quindi, può essere la stessa; qui si entra in un vasto discorso, molto intricato, che si tralascia perchè non utile ai fini della presente indagine, ma che si spera conducano altri.
Dopo numerose indagini si scopre che il capo di Sant'Oronzo può avere due piste ben definite: la pista di Sant'Oronzo di Lecce, e, la pista di un Sant'Oronzo di Potenza. Oronzo, infatti, durante la sua vita di religioso ha percorso tutto il Salento, si è spinto verso la Basilicata, l'Abruzzo; è stato a Turi ed ad Ostuni dove in una grotta ha compiuto un prodigio, battendo col suo bastone la pietra.
A proposito del corpo di Sant'Oronzo il CONIGER nelle sue "Croniche" ci dice che "...Francesco Orsini del Balzo proferse a questa huniversità lo corpo de Sancto Orontio, che sua Signoria sapea dove stava, e questa huniversità , ingrata et non degna di tanto bene ne foi pigra...".
Anche lo storico-sacerdote G. C. INFANTINO afferma questa tesi e cioè che "...Francesco del Balzo Duca d'Andria offerse alla città di Lecce i Corpi di Santa Irenesua protettrice, di Giusto, e d'Orontio, sapendo ben'egli dov'era riposti, se ben poi o per pigritia dè Leccesi, o per voler divino non hebbe la cosa effetto".
Queste ultime affermazioni stridono con quello detto prima, ma, sicuramente qualcosa è successo tanto che il corpo di Sant'Oronzo è sfuggito alla custodia dei leccesi. Qualcuno afferma che le spoglie mortali del Santo si trovano ben nascoste in un luogo segreto nei sotterranei della cattedrale di Lecce, ma, ciò, è tutto da verificare. L'enigma, in ogni modo fino a questo momento resta, ai cultori il compito di scioglierlo.
Quello che conta, ai fini di questo lavoro, pur tuttavia, è che Sant'Oronzo martire è realmente esistito in Lecce e questa chiave di lettura nessuno può metterla in dubbio.
Infatti, una bolla del conte Tancredi d'Altavilla datata 1181 fa riferimento ad un viottolo vicinale, rurale, "que vadit ad S. Arontium", che voleva indicare una chiesetta dedicata al santo martire Oronzo. In un'altra bolla di re Ladislao Durazzo d'Angiò, del 9/5/1407, si specifica che nei pressi della suddetta chiesetta oronziana si svolgeva ogni anno la tradizionale "fiera di Sant'Oronzo".
Vari autori del regno napoletano affermano che nel 1656, tutto il regno è stato afflitto dal morbo della peste, solo Terra d'Otranto è stata esentato dal contagio per intercessione di Sant'Oronzo.
Il CINO nelle sue "Memorie ossia notiziario di molte cose accadute in Lecce dall'anno 1656 sino all'anno 1719, in Cronache..., p. 51" afferma che. "[(A.D. 1656...) In quest'anno ancora fu la peste per tutto il regno di Napoli fuorchè nella provincia quale per intercessione di Sant'Oronzio nostro protettore fu preservata libera].
Pur tuttavia il culto oronziano viene sancito definitivamente nel secondo Sinodo diocesano leccese, celebrato dal vescovo PAPPACODA, ed apparso in Roma in un libello del 1669; in appendice a questo sinodo, si rivela il consenso della Congregazione dei Riti, per la conferma dei santi Oronzo, Giusto e Fortunato, il vescovo PAPPACODA ha scritto testualmente (B.A.V.): non obstat (...) quod huic immemorabili consuetudini Ecclesiae Lyciensis celebrandi festum, cum missa solemni, et officio duplici cum octava dictorum sanctorum (...) videntur ipsa Civitas, et Capitulum renunciasse anno 1640. Quo, et pluribus annis sequentibus illud celebrare omiserunt (...).
Ma una chiarificazione bisogna pur farla, nel senso che, nel Salento sono solo gli abitanti della cittadina fortificata di Acaya che festeggiano Sant'Oronzo nel giorno indicato da Paolo REGIO. Molto probabilmente è stato il marchese Andrea VERNAZZA che ha introdotto in Acaya il culto a Sant'Oronzo.
6. Il centenario del patrocinio a Sant'Oronzo (23/11/1884-23/11/1984).
Presso l'A.P.C. è conservato il resoconto dei preparativi e delle manifestazioni di fede di Caprarica, in occasione del Centenario del Patrocinio di Sant'Oronzo.
Questo è il documento-relazione nella sua interezza, stilato dal parroco don A. SCOTELLARO: "23 Novembre: Centenario del Patrocinio di S. Oronzo (1884-1984). Durante il periodo estivo gli organizzatori hanno limato il programma del Centenario del Patrocinio di S. Oronzo lavorando intorno a due iniziative necessarie di un tempo lungo di preparazione: un giornale commemorativo e un'opera teatrale in grado di far rivivere in scena gli eventi del novembre 1884. Nei mesi di ottobre-novembre sono stati sensibilizzati i fanciulli della scuola elementare ed i ragazzi della scuola media a comporre un elaborato sotto forma di racconto, disegno sui fatti celebrati o su un aspetto particolare dell'evento.
Mentre la gente di Caprarica si stava preparando a vivere le celebrazioni conclusive, durante la notte del 6 novembre un violentissimo uragano ha spazzato via decina di alberi d'ulivo, di cipresso e di pini, ha danneggiato case, diroccato mura di cinta, distrutto una stazione della via Crucis all'ingresso del Cimitero, risparmiando però le persone.
La sentita commossa partecipazione alla solenne tredicina predicata, ai riti, alle processioni ha dimostrato in modo significativo come tutto il paese ha visto in quel fatto un ulteriore segno della Protezione di S. Oronzo.
23 Novembre 1984. Il popolo con il Parroco hanno salutato con profonda commozione quel giorno ringraziando il Signore datore di ogni bene. Tutti hanno rinnovato l'attestazione della loro devozione al Santo compatrono S. Oronzo, primo cristiano, primo vescovo, primo martire del Salento.
I giovani hanno distribuito il giornale commemorativo "IL CENTENARIO" diretto da G. DELLE DONNE. Iniziativa questa che ha riscosso larghi consensi. Molti hanno voluto acquistare più di una copia da conservare o da regalare a parenti o emigranti. Il giornale ha riportato articoli di giovani e di vari autori sulle tradizioni locali poesie e racconti in dialetto caprarese, intervista al parroco, vita pastorale parrocchiale.
Alle ore 11 ha avuto inizio la S. Messa solenne con numerosa attenta e devota partecipazione popolare. Il discorso celebrativo è stato tenuto dal sac. Don Salvatore FIORENTINO. Alle ore 13 è stato letto il racconto rievocativo in versi del Can. Oronzo VERRI e quindi si è snodata la processione con la statua del Santo in via Galugnano.
In quel luogo l'Amministrazione Comunale ha voluto porre un ceppo commemorativo con una lapide sulla quale è stata incisa l'iscrizione: "Nel primo centenario - l'amministrazione comunale - ed i cittadini tutti - in segno di perenne devozione - al compatrono S. Oronzo - per aver salvato Caprarica - da più funeste conseguenze" Caprarica 23/11/1984.
Alle ore 15,30 la processione ha percorso quasi tutte le vie principali del paese con la partecipazione totale del popolo. Al termine della processione, alla presenza dell'Arcivescovo Mons. Vincenzo FRANCO, delle Autorità , del Clero e dell'intero popolo è stato inaugurato il Nuovo Campanile della Chiesa parrocchiale. Su di esso è stata collocata una lapide a ricordo dell'avvenimento centenario su cui si legge: "I parroci don Luigi VERRI - don Antonio SCOTELLARO e il popolo tutto hanno fatto erigere questo Campanile per testimoniare la loro fede. 23.11.1984".
Quindi i fedeli e le autorità comunali e provinciali hanno riempito la Chiesa che, nonostante la non trascurabile grandezza, si è dimostrata insufficiente a contenere tutti. Alle ore 17 si è svolta la solenne concelebrazione eucaristica presieduta da Mons. Arcivescovo. All'inizio del sacro rito il parroco ha rivolto un ringraziamento al Signore per la degna celebrazione centenaria, ha manifestato la gioia della comunità , per la presenza del Pastore della Diocesi - per il restauro della chiesa (tetto a tegole, marsigliesi) e ha rivolto un accorato appello all'Arcivescovo e alle autorità per favorire le opere parrocchiali, necessarie per la vita della parrocchia.
Un caloroso applauso ai giovani che sono stati all'altezza del momento storico. Mons. V. FRANCO, all'omelia, si è congratulato per le realizzazioni che la parrocchia ha fatto durante l'anno 1984 e per le celebrazioni degne del Centenario.
Ha inoltre ringraziato la famiglia del defunto Angelo MAZZEO tragicamente scomparso in seguito ad un incidente stradale. Aveva trasportato da Livorno il Dipinto della Madonna dei Fiori, gratuitamente. Ringraziamento alla Ditta Antonio MURCIANO e all'ing. Pietro TOMMASI per la collaborazione nella costruzione del Campanile e al Comm. R. PROTOPAPA per l'opera teatrale "Lu raganu" composta per l'occasione.
A conclusione della giornata tutti nella palestra della scuola media di Caprarica per rivivere nel modo visivo quel giorno di un secolo prima. La rappresentazione da parte del gruppo filodrammatico parrocchiale dell'opera teatrale "Santu ‘Ronzu e lu raganu" composta dal Comm. R. PROTOPAPA ha riscosso un tale successo da costringere gli organizzatori a replicarla nei giorni successivi.
Questi gli avvenimenti di quei giorni che celebrando un Centenario hanno voluto esaltare una fede che gli anni e varie generazioni non sono riusciti a scalfire nella speranza di una ulteriore spinta che salvaguardando in futuro quella stessa fede le ricordi di restare sempre concreta in nome e con l'aiuto di Dio e del comprotettore S. Oronzo".

7. Il Convento dei Carmelitani

Il Convento dei CARMELITANI, già esistente dal 1600, è soppresso dalla costituzione del PAPA Innocenzo X, nel 1652 (Bullarium Carmelitanum).
Su di un documento giacente presso la Casa Generalizia dei Carmelitani, in Roma (A.G.O.C.R.), si parla del Convento del Carmelo della Terra di Caprarica - Provincia della Puglia, Diocesi di Otranto - e, il padre che ha redatto l'atto, enumera, per i vari possessi del convento, oltre i nomi dei diversi donatori, l'elenco ed il valore delle cose offerte.
Molto interessante ai fini della valutazione dell'importanza del convento, una lettera originale con sigillo, indirizzata alla detta Casa Generalizia, datata 23/12/1652. In questa, mentre si chiede la non soppressione di alcuni conventi, per quello di Caprarica, si dice che ad esso poteva essere incorporato, addirittura, quello di San Pietro in Galatina.
Con le rendite dell'ex convento, com'è usanza del tempo, si fonda un istituto di beneficenza per soccorrere i poveri e, in particolare, le ragazze orfane che devono sposarsi per le quali si provvede con la dote.
Dai documenti parrocchiali si apprende che il primo di ogni anno il clero ed il popolo, "congregati ad sonum campanae", si radunano nella chiesa di Caprarica per ottenere l'assegnazione di una somma necessaria per il matrimonio.
E' prassi inserire, nell'urna, i cognomi delle orfane di quell'anno e si procede all'estrazione in pubblica chiesa. A tale proposito e per curiosità , si possono verificare i cognomi di alcune vergini orfane di Caprarica, pronte per il matrimonio, così come appare sul catasto onciario del 1744.
Il convento, ormai scomparso, s'identifica con quello della cappella annessa, tant'è che il nome popolare della medesima è "convento" e nella versione in vernacolo: "cumentu".
Convento è la località alla quale si dà il nome ufficiale di Largo SAN MARCO, dal nome del santo venerato nella medesima cappella.
Infatti, nella stessa chiesa, vengono venerati i Santi: Santa Lucia, Santa Veneranda, Sant'Irene e Santa Barbara.
Un dipinto raffigura San Marco con lo sguardo ispirato nell'atto di scrivere il VANGELO sul rotolo di pergamena; accovacciato ai suoi piedi, un leone quieto come un animale domestico.
Nella stessa chiesa del Carmine al principio del novecento, è stata sovrapposta la figura di Santa Lucia su di un affresco raffigurante Sant'Eligio che testimonia l'antico culto al Santo, vissuto nel VI sec., protettore dei fabbri, mercanti di cavalli, meccanici ed orefici. Anche se, attualmente, il culto a questo Santo è letteralmente scomparso, nel XVII sec., invece, è molto prolifico si registrano culti a Calimera, ad Acaya ecc.
La Congregazione dell'ordine carmelitana ha come segno distintivo lo "scapolare" con l'effigie della beata Vergine del Monte Carmelo.
L'ordine dei Carmelitani, uno dei più antichi della storia della Chiesa, non ha un vero fondatore, ma ha un grande nome: il culto a MARIA.
Lo "Scapolare" non è un amuleto; è il simbolo della materna protezione di Maria, un sacramentale che trae il suo valore dalle orazioni della Chiesa e dalla fiducia di coloro che lo indossano.
Tale Congregazione, menzionata nella visita pastorale di Mons. Vincenzo Andrea GRANDE, ha il compito della manutenzione ordinaria e straordinaria della cappella.
La Chiesa del Carmine è stata tenuta, in grande considerazione, dai parroci della diocesi di Otranto e dalla fede del popolo e considerata un centro di devozione.
Nel sopracitato documento, giacente presso l'A.G.O.C. di Roma, si afferma che: "La chiesa è una delle più belle e più grandi di tutti i luoghi convicini. Vi sono cinque cappelle ben ordinate, vi è un principio di dormitorio con cinque camere e tutte le officine per le comodità dei religiosi".
Nel 1845 l'Arcivescovo invita il clero di Caprarica, composto, in quel tempo, da cinque sacerdoti: Bernardino RUGGERO (Arciprete), Fortunato CUCURACHI (Economo curato), Vincenzo GRECO, Vincenzo CALO' e Vito Leonardo CALO' (Curato) a celebrare la Messa nei giorni festivi (com'era stabilito da tempo e da un'antica tradizione).
Nella metà dell'ottocento, la cappella è stata abbandonata, come è stato per tutte le opere d'arte, l'oratorio, del convento soppresso, viene ridotto ad alloggio di bande musicali, di deposito di attrezzi agricoli di proprietà dei ricchi signori del paese.
Agli inizi del novecento si tenta di ravvivare il culto alla MADONNA. Infatti, si rimette a nuovo la cappella della Madonna del Carmelo.
Tale cappella rappresenta per Caprarica un atto solenne di devozione. Infatti, ogni anno, vicino a questa chiesa si svolgono due importanti fiere: il 25 aprile la "fiera di San Marco" e la prima domenica dopo il 13 dicembre, quella di "Santa Lucia".
L'ultimo restauro della cappella è stato realizzato dal parroco don Antonio SCOTELLARO con i fondi della parrocchia e della Regione Puglia.
Le navate della Chiesa, composte di pietra leccese e carparo, sono state pulite e riportate all'antico splendore ed hanno donato una gradevole luminosità a tutto l'edificio.
* * *
A Caprarica, oltre a questa chiesa, esiste la chiesetta di San Francesco, risalente al XVI sec. (Palazzo BRUNETTI).
Si ha notizia certa del convento dei Francescani conventuali abbandonato nel 1810. Nè parla, di questo, il padre Primaldo COCO sul suo volume: "I francescani nel Salento" e se ne può ricavare altra nota nel registro del catasto generale dell'Università di Caprarica del 1744 (già riportato), alla pagina 244 e seguenti dove sono elencate le proprietà di don Diego BRUNETTI, patrizio della città di Lecce. In esso si trova menzione di una cappella, attualmente adibita a stalla, posta sulla via che ancora oggi è denominata "Brunetti".

Convento dei Carmelitani

8. Organigramma dei Parroci di Caprarica di Lecce

Questo è quello che risulta, all'archivio parrocchiale di Caprarica, in relazione alla successione dei Parroci locali dal XVII sec. ad oggi.
- dal 1696 al 1730      - Oronzo    INGROSSO, Arciprete.
- dal 1730 al 1762      - Leonardo VIZZI, Arciprete.
- dal 1762 al 1772      - Ippazio   FERRANTE, Arciprete.
- dal 1773 al 1777      - Pasquale  PALMIERI, Arciprete.
- dal 1777 al 1804      - Tommaso GARRISI, Arciprete.
- dal 1804 al 1810      - Fortunato CUCURACHI, Economo Curato.
- dal 1810 al 1813Â Â Â Â Â Â - Franc.Saverio De DONFRANCISCO, Ec. Cur.
- dal 1813 al 1840Â Â Â Â Â Â - Bernardino RUGGIERO, Arciprete.
- dal 1840 al 1842Â Â Â Â Â Â - V. Giuseppe De DONFRANCESCO, Ec. Cur.
- dal 1842 al 1848      - Giuseppe FAZZI, Economo Curato.
- Giugno/Agosto 1848  - Antonio  CUCURACHI, Economo Curato.
- dal 1848 al 1888      - Nicola   MARULLI, Arciprete.
- dal 1888 al 1890      - Pietro    LEZZI, Economo Curato.
- dal 1891 al 1892       - Pasquale MANGIA, Economo Curato.
- dal 1892 al 1893      - Pasquale MANGIA, Arciprete.
- dal 1893 al 1896      - Noè    DELL'ANNA, Economo Curato.
- dal 1896 al 1918      - Corrado ALFARANO, Arciprete.
- dal 1918 al 1919      - Oronzo  VERRI, Economo Curato.
- dal 1919 al 1955      - Oronzo  VERRI, Parroco.
- dal 1955 al 1958      - Luigi    VERRI, Economo Curato.
- dal 1958 al 1972      - Luigi    VERRI, Parroco.
- dal 1972                   - Antonio  SCOTELLARO, Parroco.

1. Discorsi e disquisizioni sintetiche intorno all'evoluzione socio-economica e della popolazione nel Regno di Napoli, in Terra d'Otranto e nel casale di Caprarica dall'XII sec. fino al XX sec

Prendendo lo spunto, proprio, dal catasto onciario di Carlo III, del 1744, è doveroso fare una pausa ed effettuare una disamina, su quella che è  l'evoluzione demografica di CAPRARICA nel corso della sua storia.

Certo fare un'analisi demografica, anche se sintetica, è molto difficile ma, da quello che è dato sapere, i dati più significativi sono quelli riportati dall'Arditi nel suo lavoro (Op. cit., pp. 103-104) da cui si evince chiaramente che Caprarica non ha mai avuto un numero di abitanti molto elevato.

* * * * * *

Quando Roma ha conquistato la terra dei Messapi, questa zona viene identificata come la XXIX Regione (secondo la mappa Topografica antica stilata dall'Abate Romanelli) dell'Italia.

Polibio (Libro II, cap. XXIV) afferma che quando Roma nel 225 a. C. dichiara guerra ai Galli chiede, tra gli altri, anche ai popoli confederati dei Peucezi e dei Messapi il loro appoggio militare che essi prontamente ed unitariamente attribuiscono nella misura complessiva di 50.000 fanti e 16.000 cavalieri.

Sulla base di questi dati il Cagnazzi (Saggio sulla popolazione del Regno di Napoli, p. 268, 270) afferma che la terra dei Messapi potesse aver fornito ai romani, in quel periodo, 20 soldati per ogni migliaio di abitanti, per cui stima aver avuto una popolazione complessiva di 3.000.000 di abitanti.

A partire dall'anno 1000 in poi e fino agli Angioini, il Galanti afferma che la popolazione del Regno di Napoli doveva contare poco più di 2.000.000 di abitanti.

Caprarica, nella prima metà del XIV sec., quando è sotto il possesso di Pasquale GUARINI, familiaris della regina Maria D'ENGHIEN, conta all'incirca 7 fuochi per una popolazione complessiva di 42/49 abitanti, i quali si raccolgono in caso di attacco di nemici intorno alla casa-Torre fortificata risalente ad epoca normanna.

Caprarica, quando fino alla metà del XIV sec. è divisa in due quote, la prima di proprietà del barone Agostino GUARINI, la seconda gestita direttamente dai conti d'ENGHIEN di Lecce, si può ipotizzare - dai documenti - che potesse avere un conglomerato urbano, complessivo, di 15 - 20 famiglie (considerando come base media per fuoco di 6 unità ) per un numero generale di 90 - 120 abitanti circa.

Successivamente, a causa delle numerose guerre, Alfonso d'Aragona nel periodo compreso dal 1447 al 1465 effettua l'enumerazione delle famiglie, detti anche fuochi, di tutto il Regno e giunge a contare complessivamente 1.647.576 abitanti.

In questo periodo (1447/65), quando l'unico barone di Caprarica, nelle due quote, finalmente, riunite, è Antonello GUARINI, si possono contare nel borgo all'incirca 250/300 abitanti.

Dopo pochi anni il Re fa la riconta e nel 1483 trova nel Regno una popolazione complessiva di 1.540.642; Nel 1505 trova 1.760.939 abitanti. Come si vede nel Regno la popolazione aumenta, di poco più, di 200 unità circa.

In Caprarica, dopo l'invasione Turca del 1480, tra le perdite (compresi morti e deportati) e la venuta di nuova popolazione inquadrabile nei profughi (di Roca ed Ussano), nel 1506, quando il barone Vincenzo GUARINI, come si è visto, sebbene mantiene un comportamento non consono e, all'interno del casale di Caprarica si registra la presenza di ulteriori 6 fuochi di cittadini leccesi (Libro rosso cit., pp. 1236-38), qui pervenuti, si contano all'incirca 300 abitanti, segno evidente che nel borgo vi è una situazione di relativo stallo dovuta, soprattutto, al cattivo comportamento del barone locale.

Nel 1518 vi sono nel Regno 1.737.196 abitanti circa; nel 1519 si trovano 1.824.070 abitanti.

Al tempo del barone di Caprarica, Vincenzo GUARINI, il re Carlo V effettua anch'egli dei censimenti sulla popolazione e nel Registro detto "Levamentum focolariorum Regni" redatto nel 1525, che si riferisce allo sgravio dell'imposta del sale e di altri pesi sopra i fuochi del Regno, per la Terra d'Otranto si registrano 17.084 fuochi, per una popolazione complessiva di 102.504 abitanti (in tutto il Regno, invece, se ne registrano 1.778.938).

In Caprarica, invece, nel 1532 quando la Terra sta per passare, dal decadente e rapace barone Vincenzo GUARINI, all'intraprendente Gregorio ADORNO (1533) il suo bacino di utenza (capacità demografica) ammonta, a quanto afferma l'ARDITI (Op. cit., p. 104) a 57 fuochi ossia 342 abitanti almeno allo stato strutturale (se, invece, si vuole considerare 7 come unità media di un fuoco, allora, si hanno 399 abitanti).

Per capire l'evoluzione demografica in relazione alle imposizioni fiscali, si deve dire che, complessivamente, in tutto l'arco di tempo che va dalla metà del XIV sec. e fino alla metà del successivo, dal punto di vista fiscale, a quanto afferma il CERVELLINO (Op. cit. Op. cit. pp. 96-97) vi è una prima imposizione di grana 151 a fuoco (che è stata imposta in due tornate), cioè carlini 12 a fuoco nel 1442 dal re Alfonso I; e per questa imposizione si obbligano le Università del Regno al posto di 6 imposizioni, che si chiamano Collette imposte dagli antecessori, e propriamente dall'imperatore Federico, che l'introdusse sotto nome di adjutorio, come afferma CAPECE Latro (Dec. 116, num. 5); questi non si pagano ogni anno, nè vi è una somma determinata; ma secondo i bisogni si esigono, or più, or meno come afferma Luca DE PENNA (nella l. penult., num. 3, C. de Annon. Trib. Libro 10).

Per altri bisogni occorsi vengono aggiunti da Ferdinando II, nel 1496 altri carlini 5, che uniti in unum divengono carlini 15 a fuoco (Reg. Latr. In d. dec. 116 num. 6). Il Regio Fisco, però, è tenuto a dare un tomolo di sale a fuoco per il quale si paga, in questo periodo, un grano di portatura; complessivamente, all'inizio del XVI sec., i casali del Regno, e quindi anche Caprarica, hanno un'imposizione fiscale unita a quella di 10 precedenti carlini, di grana 151.

Il Parlamento Generale nel 1607 delibera che il sale si venda a chi ne ha, effettivamente, bisogno per carlini 8 il tomolo; per la Puglia, si stabilisce che il fondaco del Sale, per affitto, ammonta a complessivi annui ducati 41.000 (L. CERVELLINO, Op. cit., pp. 96-97).

Come si vede, dunque, è un discorso fiscale molto intricato; ma tornando al discorso demografico, si deve dire che negli anni del regno di Carlo V, sotto il vicerè don Pietro di Toledo e mentre in Caprarica governano i baroni, Barnaba, Prospero e Geronimo ADORNO, è veramente un periodo in cui prospera la giustizia, le arti e l'umanità ed i baroni non opprimono granchè i loro vassalli, la popolazione del Regno e quella del nostro casale si raddoppia.

Nell'arco di tempo che attraversa tutto il XVI sec. (dal 1532 al 1599), l'Università di Caprarica aumenta sensibilmente, si registra nel 1545 una presenza demografica di 68 fuochi pari a complessivi 408 abitanti.

Dopo Carlo V, il Regno di Napoli passa progressivamente nel XVII sec. sotto la gestione amministrativa dei vari vicerè fino al 1734.

Nel corso del XVI secolo vengono fatte altre quattro rilevazioni demografiche in tutto il Regno che vengono, poi, pubblicate nel 1614 da Pietro Antonio Sofia nel suo mirabile lavoro "Il Regno di Napoli diviso in dodici Provincie ecc.".

Il Sofia in questo libro parla dei rilevamenti effettuati in due fasi: la prima fase è del 1561, "la vecchia numerazione", la seconda fase è del 1595, "la nuova numerazione".

Per la Terra d'Otranto, nell'anno 1561 (vecchia numerazione) appaiono registrati 71.775 fuochi per una popolazione complessiva di 430.650 abitanti. In Caprarica nel 1561, mentre è barone locale Prospero ADORNO, risulta una presenza di 91 fuochi pari a 546 abitanti.

Mentre nell'anno 1595 (nuova numerazione) appaiono registrati, in Terra d'Otranto, 66.737 fuochi per una popolazione complessiva di 400.422 abitanti. In Caprarica nel 1595, mentre è barone Geronimo ADORNO, si registra il dato demografico, più alto, corrispondente a 111 fuochi pari a 666 abitanti, come valore medio (se, invece, si vuole tenere 7 come valore medio per fuoco si hanno: 777 abitanti).

In un documento "Breve descrizione di Terra d'Otranto", redatto in Napoli da Henrico BRACCO nel 1601, si evince che l'Università di "Caprarica" mantiene inalterati i suoi 111 fuochi.

Intorno ai secoli XVI-XVIII si costruiscono, in Caprarica, numerose chiese e conventi, con inclusa la parrocchiale che è del 1600; intorno a queste strutture religiose (dove gli abitanti vanno a chiedere - a livello spirituale - venia ai loro mali e ad implorare l'aiuto di Dio in caso di attacco da parte di nemici) e a quelle fortificate dei baroni locali si stringono ed aumentano, progressivamente, di numero le povere case dei villani, i vicoli, le piazze e le case a corte dei contadini (bracciali), degli artigiani (artieri) e dei pastori.

Anche Filippo IV, quando sale sul trono di Napoli, ordina il 31 dicembre 1660 un censimento della popolazione, che va per le lunghe, e che viene condotto a termine sotto il regno di Carlo II; il 10 marzo 1670 questo censimento viene approvato definitivamente dal Tribunale della Regia Camera della Summaria e che ha dato per la Terra d'Otranto, nell'anno 1669, il seguente risultato: 44.678 fuochi per una popolazione complessiva di 268.068.

Come si vede, appena sessant'anni dopo, nel 1669 viene registrata in Caprarica una paurosa caduta del numero degli abitanti, quando è barone Niccolò-Geronimo BOTTA-ADORNO, che ammonta ad 82 fuochi, pari una popolazione complessiva di 492 abitanti. Segno evidente che nel casale, o all'interno della famiglia baronale, nel XVII sec., la situazione economico-demografica è in profonda crisi.

Questa situazione di estrema crisi, per il casato e per l'Università , si manifesta in tutta la sua tragicità quando il barone Niccolò-Geronimo BOTTA-ADORNO si vede costretto a vendere, per pagare gli enormi debiti che ha contratto, la Terra di Caprarica al genovese Francesco Maria GIUSTINIANI, il quale - come si è già visto - con diploma dell'08/05/1682 ottiene sul casale anche il titolo marchionale.

Alla fine del XVII sec. e l'inizio del XVIII il Regno comincia ad indebolirsi sia sul piano politico che economico, le guerre avanzano in modo continuo. In questo periodo scrive il Galanti: "...I baroni napoletani non solamente ne andavano per la più parte immuni o per ragiri, o per connivenza de' regj ministri (insomma non pagano le tasse), e per aperta prepotenza; ma per la strana maniera di esigere i tributi, gli stessi vassalli traevano a loro pro altrettanto, o la metà più della somma che si mandava in Ispagna...".

Da tutto questo stato di cose si capisce che la popolazione del Regno di Napoli comincia, logicamente, a diminuire prostrata, avvilita, salassata dalle continue tasse e affetta dal morbo della peste [questa diminuzione si può riscontrare confrontando i dati di Terra d'Otranto del 1595 (ab. 400.422) e quelli del 1669 (ab. 268.068)].

Con l'avvento al potere di Carlo III di Borbone la res pubblica per le derelitte popolazioni del meridione d'Italia cominciano a migliorare. Egli promulga per le Università il censimento delle persone e delle cose, ai fini di un equo pagamento dei tributi, cosicchè fa compilare dalla Regia Camera della Summaria, a norma del Real Dispaccio 4 ottobre 1740 i cosiddetti "Catasti Onciari".

L'imposta perciò viene pagata per oncia, gli immobili sono tassati per carlini tre, mentre le arti (industrie) per carlini sei. I braccianti (bracciali) sono tassati per quello che hanno, i ricchi in relazione ai loro possedimenti.

Bisogna tener presente, però, che nel Regno delle Due Sicilie il computo delle imposte (fatto per once di carlini tre) non esiste nè come moneta reale nè come moneta di conto (moneta ideale, non effettiva) [Cfr.: D. Prioli, Torino di Sangro, Lanciano, 1957].

Caprarica verso la metà del XVIII sec. vive un periodo di grande crisi, vi è povertà nel basso popolo e negli operai di campagna. Il GALIANI scrivendo nel 1750 intorno alla moneta, del Regno di Napoli, dice: "Un uomo, per povero che sia, non può in alcuna parte del Regno vivere con meno di 20 carlini al mese, quando si dovessero ridurre a prezzo e la pigione della casa, in cui vive, e tutto quel che vestendosi o nutrendosi colle proprie mani si risparmia; e tutto quello ancora che senza denaro si ricoglie, come sono le picciole industrie dè contadini di galline, uova, cacciagione, legna, viveri, frutti freschi, ed altro...".

La popolazione nel Regno delle Due Sicilie arriva a toccare un totale complessivo di 4.925.381 nell'anno 1791 ma sarebbe potuta essere ancora di più se non si fosse messa in mezzo la Sacra Inquisizione, la quale è affidata a' venali scrivani e subalterni dice il Cagnazzi "...ed il condannare i rei con pene straordinarie, ossia arbitrarie, ai giudici. Ecco un potere dispotico superiore alla stessa legittima sovranità . Oltre a questi poteri comuni a tutti i giudici, vi si univa l'autorità amministrativa per quelli della R. Camera della Summaria sopra dè beni comunali, e di tutti i pubblici stabilimenti; e così anche per i Giudici delle udienze provinciali. Questi Magistrati dunque condannavano, assolvevano, transigevano le pene come loro piaceva, dopo aver accomodate senza alcun ritegno le carte; disponevano delle rendite pubbliche, e davano sussidj, ed impieghi a chi loro piaceva: per la maggior vergogna della Sovranità si ricercava il vidit della Camera Reale, composta da cinque Magistrati, per avere esecuzione ogni nuova legge...".

Anche Caprarica alla fine del settecento, risente di quest'aumento complessivo demografico registrato in tutto il Regno, e, mentre amministra il feudo nel 1797 il barone Liborio ROSSI, il feudo sale a contare 92 fuochi pari a 552 abitanti.

Bisogna dire in verità che Caprarica, dopo gli antichi, floridi ma brevi periodi economici vissuti sotto Antonello GUARINI, Prospero ADORNO, prima, e Ambrogio GIUSTINIANI, poi, a distanza di più di 300 anni rivive un rinnovato splendore economico incentivato dal suo barone Liborio ROSSI, il quale riconsolida il borgo, che risulta essere, a quanto afferma l'ARDITI (Op. cit. p. 104) "... a forma quasi quadrangolare..." come sono, del resto, i borghi fortificati da mura nel medioevo, rifà la porta di accesso e ristruttura la chiesa matrice.

All'inizio del XIX sec., durante l'interregno Francese, avvengono, nel meridione d'Italia, grandi cambiamenti, nell'ambito dei territori comunali, infatti, i casali che hanno una popolazione complessiva intorno ai 1000 abitanti vengono designati "Comuni".

L'influsso del francese si rileva, ancora ai nostri giorni, quando nelle varie espressioni del vernacolo salentino si sente dire "...Sta bbau a ‘lla Comune..."; senza dubbio il vocabolo deriva dal termine femminile "La Commune", governo rivoluzionario francese formatosi nel 1792 e poi una seconda volta nel 1871.

Il Congresso di Vienna, con un colpo di spugna cancella quello che di buono la politica di Giuseppe Bonaparte, all'inizio del XIX sec., sta portando avanti nel meridione d'Italia, e riporta sul trono del Regno di Napoli i Borboni.

Nel 1836, mentre nel Regno Borbonico sono in atto le grandi rivoluzioni politiche, la popolazione è affetta dal cholera morbus che viene a turbare la salute pubblica, e vi permane nel Regno per quasi un anno.

Quando l'ARDITI, pressappoco cinquant'anni dopo (1879), stila la sua opera (Op. cit., p. 104), per quanto riguarda il problema della salubrità pubblica in Caprarica, afferma che vi è: "...dominanza di catarri e di febbri miasmatiche...".

In questo periodo, a causa delle continue guerre e crisi economica, scoppia nel Regno anche il grave problema dei mendicanti, che in verità è già presente nei secoli passati.

La maggior parte dei mendicanti non hanno tetto e pernottano durante l'estate all'aria aperta, e nell'inverno in caverne, tagliate nel tufo o nella roccia, in un intollerabile libertinaggio. Essi vivono nella corruzione morale ed il loro numero cresce di continuo.

A causa di questo problema, nella metà del XIX sec., in Terra d'Otranto, risulta una popolazione complessiva di 382.629, per un numero di 152 abitanti per ogni miglio quadrato; i mendicanti sono 28.678. Il Cagnazzi su questo problema scrive "...quel sistema di mendicità che un tempo era la conseguenza necessaria di un legale sistema, ora vi è per abitudine. L'infima classe dunque non molto dedita al delitto, anzi morale, è facile a mendicare, e non reputa a scorno fuggire il travaglio, ma più tosto crede una santa umiliazione. Lodevole è poi la carità dei possidenti e dei baroni, che alimentano una gran massa di mendici, e ciò indica in tutto il resto la loro moralità ...".

Su questo punto non si è, affatto, d'accordo col Cagnazzi, in quanto egli quasi santifica i baroni e la classe dirigente dell'epoca per le loro "elemosine", dimenticando che se esiste questo problema lo si deve proprio alla feudalità oppressiva che ha sottoposto la Terra d'Otranto alle più oltraggiose ed abiette delle servitù.

Mentre il casale di Caprarica, come quasi tutti i casali di Terra d'Otranto, langue nella povertà e nella miseria più estrema, nel 1850 conta una popolazione complessiva di 1000 abitanti circa, e, così si presenta 10 anni dopo (1860) con l'avvenuta unità del Regno d'Italia.

Caprarica avendo una popolazione che nel 1860, oscilla intorno alle 1200 unità circa, viene definitivamente dichiarato e confermato "Comune", e, nel marzo 1865, viene emanata la "Legge per l'unificazione amministrativa del Regno d'Italia" il cui titolo II, art. 14, afferma testualmente che: "I Comuni contermini, che hanno una popolazione inferiore a 1.500 abitanti, che manchino di mezzi sufficienti per sostenere le spese comunali, che si trovino in condizioni topografiche da rendere comoda la loro riunione, potranno per Decreto Reale essere riuniti, quando il Consiglio Provinciale abbia riconosciuto che concorrono tutte queste condizioni".

Il DE GIORGI (Geografia cit., p. 128), che ha annotato la popolazione del Salento sulla base dei Censimenti ufficiali, afferma che Caprarica, all'indomani dell'Unità d'Italia, nel 1861 ha una popolazione complessiva di 1149 abitanti; dieci anni dopo, nel 1871 ha una popolazione complessiva di 1176 abitanti.

Quando l'Arditi effettua nel 1879 il suo lavoro (Op. cit., p. 104), egli afferma che Caprarica, conta 1272 abitanti, possiede 5 mulini, ha un numero complessivo di 268 case, ed in catasto conta una rendita di £. 7782,32; mentre il DE GIORGI (Geografia cit., p. 34) aggiunge che vi sono 12 frantoi.

A conferma che Caprarica, nel XIX sec., è in una fase di forte ascesa non solo demografica ma anche economica e sociale, motivo per cui anche se non ha i 1500 abitanti viene confermato Comune. A giustificazione di questa ascesa sociale l'ARDITI ci fa sapere che: "...è ben fornita di nuove strade per Martano-Maglie-Otranto, Cavallino-Lecce, Castrì-Vernole, ed in progetto per Galugnano-ferrovia ...". In questo contesto, l'Arditi proseguendo il suo commento sulla situazione sociale di Caprarica, dice che la maggior parte de: "... gli abitanti son dediti all'agricoltura, buoni d'indole e strenui faticatori. Tengono ed allevano quasi in casa molte bestie bovine e pecorine ...". Ed ancora, il DE GIORGI (Op. cit., p. 128) afferma che nel 1881 Caprarica ha una popolazione complessiva di 1248 abitanti segno, evidente, di un lento ma progressivo aumento del livello demografico.

Nei censimenti nazionali esperiti dopo i due disastrosi conflitti mondiali Caprarica - secondo i dati forniti dall'ufficio di stato civile - presenta un dato demografico che così si articola nell'arco degli ultimi cinquant'anni:

ANNOÂ Â ABITANTI

1951Â Â Â Â Â 2.531

1961Â Â Â Â Â 2.583

1971Â Â Â Â Â 2.676

1980Â Â Â Â Â 2.870

1981Â Â Â Â Â 2.876

1982Â Â Â Â Â 2.879

1983Â Â Â Â Â 2.939

1984Â Â Â Â Â 2.997

1985Â Â Â Â Â 2.991

1986Â Â Â Â Â 3.017

1987Â Â Â Â Â 3.012

1988Â Â Â Â Â 3.023

1989Â Â Â Â Â 3.000

1990Â Â Â Â Â 2.994

1991Â Â Â Â Â 3.006

1997Â Â Â Â Â 2.925

1999Â Â Â Â Â 2.829

Presso l'ufficio demografico del Comune di Caprarica di Lecce a tutto il 30 Ottobre 1999risultano 2.829 abitanti per complessive 1.016 famiglie.

* * *

Evoluzione Toponomastica di Caprarica: Questi sono i toponimi, più significativi, che sono stati individuati e che si sono succeduti nel corso della sua storia.

- Craparice (da: L. DE SIMONE "Studi storici in Terra d'Otranto", p. 219. Editto del conte di Lecce, Giovanni D'ENGHIEN del 1372).

- Creparica [dai: "Statuta et capitula florentissimae civitatis Licii" della regina di Napoli e contessa di Lecce Maria D'ENGHIEN (1410)].

- Caprarica.

2. Pozzelle e neviere nel Salento leccese ed in Caprarica

- Le Pozzelle.

Come si sa, fin dalla preistoria, l'uomo non ha mai potuto fare a meno dell'elemento primario vitale, per la sua esistenza, com'è l'acqua.

In qualsiasi insediamento urbano nel corso della storia si è proposto il problema dell'approvvigionamento idrico per usi alimentari e di igiene; tanto che il conglomerato urbano di Caprarica, come di tutti i casali, si sono formati intorno a corsi d'acqua, o dove vi sono approvvigionamenti idrici. Già l'ARDITI (Op. cit., p. 103), comunque, ci assicura che in Caprarica "...L'aria vi è buona, l'acqua di uso pluviale nell'interno, sorgiva e potabile fuori verso nord-est alla profondità di circa metri 27...".

In qualsiasi processo insediativo, perciò, i fattori determinanti sono: la struttura geologica del terreno, l'idrografia e quindi i fattori climatici, senza evidentemente minimizzare le altre cause di ordine storico.

Si sa, per esempio, che una delle ragioni che hanno prodotto l'accentramento della popolazione salentina in piccoli centri contigui, è stata la presenza dei depositi superficiali tufacei "inzuppati" come scrive il CALAMONICO "da una falda acquifera di solito poco copiosa e di lento rifornimento", per questo, per evitare l'esaurirsi dei pochi pozzi, la popolazione ha evitato di concentrare le abitazioni in uno stesso sito, dando luogo in tal modo, alla nascita di centri urbani molto piccoli e vicinissimi tra loro (Salento-leccese). Il problema della penuria idrografia, del resto, ha catturato l'attenzione del latino ORAZIO il quale, già duemila anni fa, nell'ode 3a epodon, sentenzia e chiama la Puglia "...situculosae Apulia...", dello stesso avviso è il PERSIO il quale nella I satira dice che: "...Nec linguae, quantum sitiat canis Apula, tantum...".

In mancanza di acque superficiali e nella impossibilità di attingere alla falda freatica, sempre molto profonda, gli abitanti sistemano le loro abitazioni in prossimità di avvallamenti del terreno, dove le acque piovane, per la particolare struttura del suolo, non si disperdono facilmente.

Parlando dell'idrografia del Salento, il termine "Lago" potrebbe meravigliare, eppure la toponomastica ci assicura che di "Laghi" dovevano essercene parecchi in questa zona e, anche se le dimensioni ridotte, forniscono acqua sufficiente alle popolazioni dei centri abitati e alla gente di campagna.

Il "Lago del Capraro" e il "Lago de LU-LAI" il primo in contrada Soleto-Sternatia e il secondo in feudo di Soleto. Il "LAGO ROSSO" in feudo di Caprarica sono riportati nella cartografia al 25.000 dall'Istituto Geografico Militare.

Ma altri "Laghi" sono stati presenti nel territorio di Maglie e nei dintorni di Corigliano, dove diffuso è ancora il toponimo "Padulano", "Paduli" e "Lame" si trovano poi in tutto il Salento.

E' di particolare interesse il modo con cui, l'uomo, ha badato a conservare le acque piovane che si depositano in queste naturali depressioni del terreno.

Il problema è quello, evidentemente, di evitare l'evaporazione dell'acqua durante i mesi estivi, ma è anche necessario, per ragioni igieniche, proteggere l'acqua dagli animali o dalla caduta di materiali diversi.

Pertanto gli abitanti provvedono a realizzare un altro manufatto che si può ritenere complementare all'insediamento. Sono le cosiddette "Pozzelle" o "Pozzi dei laghi", un'ulteriore manifestazione dell'operare umano che ancora si può osservare in molti paesi del Salento, compreso Caprarica.

Si tratta sicuramente di una delle espressioni più remote dell'architettura ipogea. "L'antichità di questi monumenti sembra sicura", osserva il GUILLOU, "ed essi sono un'immagine ancora tangibile di una condizione economica collettiva fondata sul gruppo familiare"

Il sistema di scavare dei "pozzi" sul fondo di più o meno estese depressioni d'origine carsica, risale ad epoche remote. Nelle città greche dell' VII secolo a.C., le "cisterne pubbliche" erano simili alle nostre pozzelle.

Certamente non possiamo affermare che le "pozzelle" del nostro Salento siano un'appendice della civiltà ellenica, nè possiamo dire se la tecnica di raggruppare le cisterne sul fondo dei "laghi" abbia avuto un luogo d'origine o sia una tecnica che l'uomo ha adottato spontaneamente.

Ma è anche vero, come osserva lo SPANO, che nel Salento "pozzelle" a gruppi si rinvengono quasi puntualmente proprio nei paesi dove memorie storiche o tradizioni orali localizzano antiche residenze dei Greci, come Carpignano, Sternatia, Galugnano, Martano e Caprarica.

Non sappiamo se anche le cisterne di Sternatia sono state delle pozzelle e se quella "matria" (da cui viene matria) indica una cisterna vera e propria oppure è stata anch'essa una pozzella più grande di uso pubblico.

Grandi cisterne per la raccolta delle acque piovane si costruiscono comunemente, nei tempi andati, in tutti i paesi privi d'acque superficiali o sorgive, dove la falda freatica è molto profonda.

Nel Salento, però, sono molto frequenti le cisterne private, di modeste dimensioni e di solito scavate all'interno dei cortili privati o comuni. Altre volte, specialmente nei paesi dove è meno diffusa la tipologia della casa a corte, le cisterne sono scavate sotto l'abitazione e sono accessibili dall'interno dell'abitazione stessa o dalla strada mediante una finestrella aperta nello spessore del muro. Se ne vedono in paesi come Caprarica, Sternatia, Martano.

L'uso delle cisterne comuni dovrebbe, pertanto, corrispondere oltre che al concetto più antico di vita comunitaria, a condizioni economiche più disagiate. Non è da escludere, che le "pozzelle" o i "pozzi dei laghi" rappresentino un sistema primitivo da approvvigionamento dell'acqua; il quale, così come è successo per i sistemi abitativi, si è cristallizzato soprattutto in quelle aree che maggiormente hanno risentito dell'isolamento e dove la gente è rimasta legata ai modi più arcaici di sfruttamento e di utilizzazione del suolo. Queste "pozzelle" chiamate anche "frèate" (dal greco pozzo), in grico "ta frèata" (i pozzi) li troviamo, in massima parte, in prossimità dei centri abitati di Zollino, Martignano, Martano, Castrignano e Caprarica.

Cento cisterne disposte in ordine, come racconta l'ARDITI, "ciascuna col nome della famiglia che la fece e cui serve" si trovavano nel luogo suburbano appellato pozzelle nel Comune di Martano. Oggi non esistono più, ma al loro posto, esiste una piazza chiamata appunto "pozzelle".

Altre pozzelle le troviamo in corrispondenza di villaggi e casali scomparsi nel medioevo (ad Apiliano e Masseria Gloria; tra Zollino e Martano).

Un'altra pozzella la troviamo nel feudo di Caprarica detta "LAGO ROSSO"; altri significativi affini toponimi, ancora, li troviamo riportati nel già descritto catasto onciaro di Caprarica di Lecce del 1744 dove si legge testualmente:

Di più nel luogo detto Le Trozze una metà di giardino di capo in semine stoppelli 4 con alberi comuni dentro; giusta li beni del Venerabile Munystero di San Matteo di DD. monache di Lecce da levante, a borea li beni à solco di Donato INGROSSO da ponente. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: grana 75 sono oncie 2,15.

Un'altra nominata Cisterna in detto luogo Le Cicalelle, olivata, di cui 18 in fronda; giusta li beni a sulco dell'Illustre Ambroggio GIUSTINIANI da gerocco, la Cappella suddetta di Sant'Oronzo da borea, e li beni propri da levante. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 22 e grana 25, sono.........oncie 74,5.

Un'altra nominata Puzzo nuovo seminatoria di ettara 3 in semine, con alberi d'olive di cui 76 in fronda; giusta li beni di detto Illustre don Ambroggio GIUSTINIANI da levante, beni propri da gerocco, e via vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 4, sono..............................................oncie 13,10.

Un giardino per uso di fogliami vicino l'abitato nominato Puzziello con terra scapola di ettara 4 in semine e vigna 7 con diversi e comuni dentro, puzze due d'acqua sorgentee casa lamiata per uso d'abitazione del giardiniero, ed anco una cisterna; giusta li beni del m. Angiolo Bennardo CATTANI di Lecce da levante, via pubblica da borea, e vicinale da gerocco vicinale. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 10, sono....................oncie 33,10.

Un'altra nominata Puzzonuovo, in luogo detto Pozzarelle, seminatoria di tomola 4 in semine, con alberi d'olive di cui 1 in fronda; giusta li beni propri da gerocco, i beni propri da levante, e vicinale da borea. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati 5 e grana 50, sono....................................oncie 18,10

Altro sito di riferimento, di sussistenza idrografica, è rappresentata dalla masseria "lu Moru", ubicata nei pressi della chiesa del Carmine, dove vi è stata la presenza di un'enorme cisterna che ha soddisfatto le esigenze non solo degli abitanti dell'Università di Caprarica ma anche dei casali vicini e delle masserie fortificate, o non fortificate, sparse nell'agro.

E' rilevante segnalare, a tale proposito, come nel catasto onciario di Caprarica risulta che le Università (Comuni) di Martignano e Sternatia hanno in gestione due pozzi, siti nella Terra di Caprarica, per i quali pagano le relative gabelle alla Regia Corte, ciò sta a testimoniare che, molto probabilmente, in queste due Università vi è scarsità di acque e, quindi, di pozzelle. Questo è il documento: "...Le Università di Sternatia (p. 307 del catasto) e quella di Martignano (p. 308) possiedono, ciascuna, un pozzo d'acqua sorgente, in feudo della Terra di Caprarica, per la qualcosa pagano distintamente: oncie 2...".

Un certo numero di pozzelle sono state presenti anche in Melendugno in località Vasca, la crutta, Lame (Torre dell'Orso), Patulicche (Borgagne) e nel territorio di Acaya di Vernole San Pietro in Padulibus, Cucuzza, Campo Vetrano, Candile ecc.

Per quanto riguarda la costruzione delle pozzelle il DE GIORGI così scrive: "...La costruzione di queste conserve d'acqua poggia su quello stesso principio adottato dapprima dal PALISSJ e più recentemente dal BARBINET per fornire di acqua quei luoghi che naturalmente ne mancano o la si trova ma a grandi profondità . Se in un terreno costituito da strati relativamente permeabili si pratica uno scavo e le pareti si circondano di muratura composta di pietre filtranti e il fondo si copre di argilla o di bitume o altre sostanze impenetrabili, allora le acque piovane si verranno a raccogliere e depositare negli strati inferiori e dureranno un tempo abbastanza lungo...".

Nel caso delle pozzelle, lo strato permeabile è costituita dalla rozza muratura e dalle marne ferruginose, lo strato inferiore impermeabile è formato dalle argille.

Le volte sono costruite di pietre informi di leccese e di calcare compatto disposto le une sulle altre senza cemento a mò delle pareti dei muri che delimitano e circondano i fondi rustici, e così dalla base fino alla bocca del pozzo.

Una volta scavate le buche nella depressione del terreno, generalmente la profondità varia dai tre ai sei metri, si procede a rivestire le pareti con pietrame informe disposto a cerchi concentrici che, man mano, si restringono verso l'alto tanto da formare una falsa cupola o una campana. Sull'ultimo cerchio si poggia un blocco parallelepipedo con foro centrale che si aggira sui 30-40 cm. di diametro.

Le "pozzelle" non sono collegate tra di loro, ma sono provviste di due a quattro aperture a fior di terra ricavate sui lati del blocco parallelepipedo di chiusura, che generalmente è sopraelevato dal piano di campagna dai 30 ai 40 cm., dalle quali si raccoglie l'acqua piovana che si accumula nell'avvallamento.

Le pozzelle appartengono ad una o più famiglie ovviamente se le pozzelle sono private; ma generalmente si tratta di strutture pubbliche, appartenenti ad Enti pubblici.

Pozzelle ad uso privato sono, invece, disseminate nelle campagne a servizio di Masserie e d'insediamenti rurali più modesti. La masseria pozzelle di Castrignano dei Greci prende il nome, però, dalle pozzelle pubbliche che sono al servizio della gente del vicino centro abitato.

Nel feudo di Caprarica le pozzelle servono oltre all'uso domestico anche per dissetare gli animali d'allevamento. Nel detto catasto onciario di Caprarica del 1744 vi sono pozzelle che rispondono a queste esigenze: "...Di più una Massaria con case di fabbrica, superiori ed inferiori per uso d'abitazione del massaro, e per rigetto dè bestiami, con curti, cisterna, ed ajera nominata...dotata d'Jnfratti territori.

Di più possiede due trappeti da macinar olive, de quali uno attrovasi in ordine, siti uno dentro una grotta attaccata alla sopra descritta Massaria, e l'altro dentro la grotta detta Il Moro con curte, e pozzo accosto; giusta li beni di Leonardo DELLE DONNE, e di Pantaleo D'ORIA. Stimata la rendita del trappeto ordinato: annui ducati 15, sono.....oncie 50".

Le stesse, poi, col passar degli anni, sono state affogate e coperte di terra e hanno creato strade e piazze.

Lo studio delle pozzelle rappresenta quindi un ulteriore supporto per lo studio del territorio, per il rapporto tra viabilità e insediamenti e, soprattutto, per capire di più i problemi della nostra gente, che ha sempre lottato per sopravvivere. Fino agli anni trenta la gente dei Comuni di Martignano, Martano, Zollino e Caprarica si recava alle pozzelle per attingere acqua per tutti gli usi.

Il secolare problema dell'acqua oltre ad avere condizionato l'economia della popolazione salentina in modo particolare l'economia agricola, ha determinato il realizzarsi d'opere che nella loro semplicità e per la loro immediatezza, quasi istintiva, rappresentano un documento di notevole importanza dal quale non si può prescindere se si vuole comprendere e studiare la storia del Salento.

*Â *Â *

- Le Neviere.

Un'altra manifestazione dell'operare umano, un'altra ulteriore necessità della popolazione salentina, dovuta alla scarsa e quanto preziosa acqua piovana, è la realizzazione di opere che, a tutt'oggi, testimoniano la ingegnosità di queste popolazioni.

Esiste, infatti, nei secoli scorsi, in Puglia l'uso di raccogliere la neve e conservarla in apposite costruzioni denominate: "neviere".

Percorrendo le campagne del Salento, ci s'imbatte in alcune grotte o stanze sotterranee coperte da una volta di pietra e da terreno vegetale e, destinate a conservare la neve, caduta durante i mesi invernali.

Scrive il DE GIORGI "...E di queste neviere ve ne sono parecchie in Terra d'Otranto" e questo ci rivela un fatto che si riferisce alle condizioni meteoriche del nostro clima nei secoli addietro, quando l'inverno doveva essere più rigido, e la caduta della neve doveva essere più frequente e più copiosa d'oggi.

Il religioso Giovambattista PACICHELLI, parlando di questo argomento, così rappresenta e descrive la città di Lecce alla fine del XVII sec.: "...Piena è di Giardini con aranci, fiori e frutti diversi, e benchè vi sia quantità d'acqua salmastra, supplisce la dolce, che sorge, con quella dell'area, per le cisterne.

La neve bensì viene portata da Martina, Albero Bello e da Calabria per la strada di Taranto, scarseggiandovi un poco...".

Queste neviere sono scavate nella roccia per una profondità che si aggira dai 5 ai 6 metri, a pianta quadrata o rettangolare con dimensioni fino a 10 metri di lato, queste camere sotterranee sono generalmente coperte con volta a botte ed hanno l'accesso mediante finestrelle aperto su uno dei lati a piano di campagna.

Fin dall'epoca romana, la raccolta della neve o del ghiaccio è un'attività molto praticata e, si protrae fino alla seconda metà dell'ottocento quando si comincia a produrre il ghiaccio artificialmente.

Nel leccese la vendita della neve è testimoniata da alcuni documenti della metà del settecento.

Nei catasti onciari dei Comuni sono riportate frequentemente neviere facenti parte delle masserie. La presenza di tante neviere in provincia di Lecce diventa fondamentale nell'economia locale.

La raccolta della neve, durante le giornate in cui le campagne sono innevate diventa, addirittura, conveniente per i proprietari di masserie che avevano una neviera.

La manodopera viene ingaggiata per raccogliere la neve nei periodi invernali in cui le campagne sono inattive.

La neve raccolta viene sistemata all'interno della neviera evitando di lasciare spazi vuoti o interstizi nei quali può infiltrarsi l'aria e favorire lo scioglimento. Quindi è necessario pressare e rendere uniformi i vari strati di neve. Uno strato di paglia viene messo sulla superficie compatta per creare un'adeguata stanza termica rispetto all'aria circostante.

Quando si vuole prelevare il ghiaccio, si apre la finestrella della neviera, precedentemente, murata a tenuta stagno, si toglie la neve pressata in blocchi squadrati che vengono sistemati in queste casse di legno foderate internamente con una lamiera: le comuni ghiacciaie usate fino a qualche decennio fa.

Una delle neviere più grandi che si conosca è quella che si trova sotto il castello Carlo V, costruito dall'architetto militare Gian Giacomo DELL'ACAYA, di Lecce.

In molte masserie, nobiliari, sparse un po' in tutto il Salento vi erano le neviere. Una "...neviera atta a conservar la neve..." è riscontrabile presso la masseria Favarella, di Acaya, di proprietà nel 1674 del pizzimicolo di Lecce Andrea FAVARELLA, dal quale ha preso, poi, il nome definitivo.

Anche Caprarica ha posseduto le sue neviere; una è posta, a quanto afferma il catasto onciario del 1744, presso una casa-torre, di proprietà di Diego BRUNETTI, patrizio di Lecce (p. 244 del catasto). Il documento recita: "...Possiede il Palazzo con più e diverse camere superiori ed inferiori, stalle, rimesse e nivera con piccolo giardino di delizia, sito fuori l'abitato per uso proprio e del suo agente, quale protrebbesi affittare a ducati 5. Di più accosto a detto Palazzo, un trappeto in ordine da macinar olive, stabilita la rendita per annui ducati 15, sono...oncie 50.

3. La Casa a Corte

La Corte, non esclusiva del Salento, sorge come bisogno elementare ed umano di vita associativa, come concentramento di più unità abitative che si aggregano o per vincoli di consanguineità o per via di rapporti sociali.

La lettura del nostro paesaggio rurale, i cui radi "furnieddhri" hanno funzione non abitativa, ci permette di comprendere le ragioni storiche che in età medioevale determinano esodi massicci dalle campagne e portano alla formazione dei tanti minuscoli agglomerati urbani che costellano la nostra provincia.

Secondo alcuni studiosi, la contrapposizione fra villaggi concentrati e insediamenti isolati deriverebbero dai tipi di colonizzazione originari, e, che l'insediamento concentrato è un fatto molto antico ed è imposto da un'agricoltura intensiva dalle tendenze comunitarie.

Così la colonizzazione romana in Italia ha determinato per la diversa natura dei terreni e delle colture possibili, nel nord la forma dei "centuriati" o dei "castra curtis", mentre, nel sud ha dato vita, soprattutto, al latifondo e alla "Villa rustica".

Questi caratteri sono, ancora, visibili, nei loro elementi originari, nella villa identificata, nei suoi ruderi, nell'area presso l'abbazia di San Niceta in Melendugno, oppure, nella villa, di epoca romana, dove si possono vedere, ancora, parti dell'alzato murario di base. Questa villa rustica è sita presso un vecchio frantoio-ipogeo (il romano "trapetum") posto nelle immediate vicinanze dell'insediamento di Ussano.

L'insicurezza dei viveri sparsi, le insidie della pirateria e della malaria, attestata preferibilmente lungo la costa, le guerre ed i terremoti e, non ultime cause, la prevalenza del bracciantato ingaggiato sul mercato delle piazze; le esigenze padronali di convogliarlo attorno alla propria dimora gentilizia a scopi di utilizzazione e di controllo, dovettero incentivare il cosiddetto "vivere vicatini", ossia l'addensamento in borghi e la nascita della corte come "proliferazione di moduli elementari" attorno a strutte emergenti e, quindi, come cellula costitutiva del tessuto originario dei nostri centri storici di cui rappresenta la tipologia architettonica espressa prevalentemente dalla società contadina.

La casa a corte si configura nel Salento, e quindi anche a Caprarica, come tipo di abitazione caratterizzata dalla presenza di uno spazio scoperto, comune o privato, intorno a cui, si dispongono una o più unità abitative.

Tra le diverse corti merita attenzione la "corte chiusa" con l'affaccio sulla strada con un portone d'ingresso ad arco munito di infisso a due battenti e si giova di un disegno elementare.

Un tipo di corte arcaica, prevalentemente a sud di Lecce, nell'area ellefonica, consiste di un cortile rettangolare con accessori e servizi in comune (cesso, forno, pozzo, pila per lavare, nel quale esistono stanze di circa 30 mq. Fornite sul retro, di modesto ortale.

Questo tipo di corte, con tetti embricati (da imber, che significa pioggia) e a canne e con fosse granarie scavate nel cortile, risulta più diffuso in aree depresse e ad agricoltura cereaticola dove la manodopera è costituita prevalentemente da "braccianti" e mezzadri.

In alcune zone salentine dove vi sono grossi centri abitativi (Galatina, Galatone ecc.) le condizioni economiche sociali sono più agiate, le case a corte sono più articolate e presentano una più evoluta distribuzione di spazi ed accolgono nuovi elementi strutturali e formali.

Rispetto al tipo arcaico, queste corti sono arricchite da scale a varie rampe che conducono ai vani superiori e a quelle deliziose logge sporgenti sovrastanti i portoni che riecheggiano il menianum vitruviano e che dal censore Gaio MENIO, che per primo le adottò come pergulae profectae, prendono il nome di pignani o mignani. Si tratta di balconate, sostenute spesso da mensole robuste e non di rado decorate da cornici, le quali consentivano soprattutto alla donna, di uscire momentaneamente dalla riservatezza della vita della corte per partecipare discretamente e senza essere vista, alla vita del paese.

Nella casa a corte di Martano e di Caprarica, lo storico-filosofo Salvatore GAETANI riconosce analogie con la casa ellenica descritta da OMERO: "Nella casa omerica, un cortile circondato da portici tutto intorno s'apre sulla strada e su uno spiazzale; sotto i portici o rasente il muro vani per le scuderie, mulini per braccio, alloggio di schiavi e di forestieri che chiedono asilo; nel centro del cortile l'altare di Zeus; di dietro un orto o un giardino".

Le stesse caratteristiche le riscontriamo nelle case a corte di Caprarica e Martano. Il cortile n'è la parte principale: su di esso si snodano le abitazioni, le stalle, i magazzini, al centro, al posto dell'altare, un pozzo; di dietro l'immancabile orto.

Un muro alto, bianco di calce, senza alcuna apertura all'infuori di una porta a due battenti, separa l'intimità del cortile della strada, perchè il cortile è sacro all'intimità e alla santità della famiglia. I bambini vi giocano, le galline vi razzolano, le donne vi tessono o filano, le vecchie vi ciarlano, gli uomini si fermano, dopo una giornata faticosa nei campi.

La poesia popolare sovente allude alla corte come sede dei più dolci affetti e di serena espansività , non solo in vita, ma anche dopo la morte; "La fanciulla mi viene in sogno canta la prefica -in una nenia funebre - passeggiando nel cortile e piange perchè sua madre non s'affaccia per vederla".

Affinità strutturali con le corti del periodo rurale, si riscontrano nella corte privata o padronale che consente rispetto a quelle, i caratteri generali. Essa è abitata da piccoli proprietari terrieri e consta di locali più numerosi e più ampi, d'accessori più confortevoli e d'elementi disposti secondo una distribuzione gerarchica.

Caratteristiche difformi dalle dimori contadine si riscontrano in un tipo di abitazione che, pur non potendosi definire corte padronale, con la quale ha somiglianze, deve ritenersi Corte privata per essere appartenuta a famiglie nobili o di latifondisti oppure ad esponenti borghesi, professionisti ed ecclesiastici.

Questo tipo di corte, provvista di mignano e assai diffusa nelle leccese, si presenta come una serie d'impianti complessi ed elaborati che solitamente troviamo descritti nei rogiti notarili sei-settecenteschi come "...paio di case consistenti in sala, camera, horto, cortiglio, cisterna, scala al cortiglio che sale ad un terrazzo lamiato...".

Alla luce di queste considerazioni siamo convinti che le nostre case a corte, siano esse contadine, padronali, gentilizie abbiano un posto considerevole nella storia salentina.

Il lettore potrà ripercorrere un proprio itinerario della memoria, e, riappropriarsi di una realtà ambientale e gergale che va scomparendo, sotto l'offensiva di una moderna tecnologia.

Casa a corte

4. I vecchi Frantoi ipogei

Fino alla metà di questo secolo sono assai diffusi in Caprarica, come in tutti i Comuni del Salento, gli antichi "Frantoi ipogei" ("Trappiti ecchi"), veri antri privi di aria e di luce e nei quali, alla debole fiamma di fumose lucerne ad olio, si muovono, scalzi, i "trappitari" (frantoiani).

Scrive l'ARDITI (Op. cit., p. 104) che Caprarica di Lecce è "...quasi tutta coltivata ad ulivi; e le produzioni in generale sono l'olio..."; il DE GIORGI (Op. cit., p. 34), a conferma del primo, aggiunge che: "...Vi sono in Caprarica 12 frantoj per olio..."; e (Bozzetti cit., p. 335) precisa che a Caprarica: "...La principale industria agricola è l'oleificazione; e l'uliveto difatto circonda tutt'intorno il paese e si estende fin quasi al mare Adriatico...".

Anche in località Ussano, come è stato già detto al Cap. I, paragr. 4°, vi sono i resti di un vecchio frantoio ipogeo il quale è stato conosciuto, in passato, col toponimo "trappitu te Santusì" ovverossia "te Santu Simi".

Si riporta, per comodo, la già citata delibera apparsa sul registro decurionale del Comune di Cavallino, relativa agli anni 1857-1860 (recuperata dal prof. A. GARRISI e gentilmente concessaci), riguardante un inventario dei frantoi siti in detto Comune, a proposito del frantoio-ipogeo di Ussano si legge: "Anno 1857, addì 29 giugno a Cavallino... riunito il Decurionato.... Il Sindaco disse.... Il signor D. Luigi DE LUCA, Agrimensore Cedolato, coll'assistenza degli Agenti comunali ha eseguito la presente operazione. 1° e 2° (omissis) 3°: Un altro trappeto detto S. Simi, distante dal Comune un miglio, e terzo; cioè alla distanza maggiore assai del detto 1/10 di miglio e nella zona meridionale giusto rispetto al Comune stesso. 4° (omissis): osservandosi che anco questi due ultimi trappeti sono al livello inferiore all'ingresso; mancanti di condotti per lo scolo della morchia, come i due prima, e che perciò le morchie si estraggono dai sentinarii e si trasportano altrove con vettura. Sono ancora con Molini a Strettoi secondo gli antichi sistemi. Compenso per la perizia ducati 1 e 80 grana...".

Gaetano MELE di Melendugno (mio nonno), avendo fatto per molti anni "lu Nachiru - il capo frantoiano", di gran fama negli anni 1940-50, ha raccontato che, in passato, il mestiere di trappitaru, dai leccesi è stato considerato poco dignitoso e non vi è stato un solo abitante che si è prestato ad esercitarlo; esso, quindi, è stato esercitato da gente del basso Salento - dai cosiddetti poppiti - i quali hanno emigrato appositamente e temporaneamente per la stagione delle olive. Molti di Caprarica, in passato, hanno esercitato questo mestiere. Al contrario di Lecce, nei paesi, questo mestiere, è considerato di buon livello ed equiparato agli artieri (costruttori dei carretti agricoli) o ai ferrari (fabbri); attualmente, il mestiere di trappitaru, potrebbe corrispondere ad un tecnico e lu nachiru ad un tecnico specializzato.

Il termine dialettale nachiru deriva dall'italiano "Nocchiero". Il nocchiero, come si sa, governa la nave e, in passato, il destino dell'equipaggio dipendeva tutto dalla sua destrezza ed abilità ... così come la buona riuscita di un prodotto oleario, nei frantoi-ipogei, dipende tutto dalla destrezza ... te lu nachiru e dei suoi trappitari.

Il motivo per cui i trappiti sono sotterranei va spiegato col fatto che, d'inverno, in essi la temperatura è meno fredda che nei locali fuori terra e quindi la torchiatura delle olive riesce meglio tecnicamente.

Le macchine olearie di questi antichi frantoi sono costituiti dalla macina e dai torchi. La prima ha una sola ruota ma di grandi dimensioni (sino ad 1,90 di diametro per 0,50 mt. di spessore) e fatta di pietra calcarea locale. Essendo essa priva di palette mescolatrici, un trappitaru deve di continuo riportare la pasta sotto la macina.

I torchi sono attrezzati con l'asse di legno a vite. Per ogni frantoio-ipogeo vi è una macina grande per la prima pressione e con la piattaforma di oltre un metro e quattro piccole per la seconda pressione.

La stretta viene data per mezzo di un'asse mobile, detta in vernacolo "stanga", che s'infila negli appositi fori della testa della vite. Questa, poi, viene fatta girare direttamente dai frantoiani ma verso la fine della pressione, indirettamente, per mezzo di un argano. In altri casi la stanga viene fatta girare da due cavalli. Si usano, generalmente, fiscoli di giunco.

Alla base di ogni torchio è scavata una vaschetta circolare dove si raccoglie il liquido che cola dal torchio. Queste vaschette sono dette angeli dal greco angelos che significa: vaso.

La molitura si fa a fondo e la torchiatura viene eseguita due volte; ogni pressione dura cinque, sei ore. Una torchiatura così prolungata sfrutta quasi bene la pasta, però, ritarda molto la lavorazione. Avviene, perciò, che, specie nelle annate di abbondante produzione, la lavorazione delle olive si prolunga fino ad aprile ed esse restano, talvolta anche per molte settimane, nei depositi dove si alterano ed ammuffiscono, dando così luogo ad olio di pessima qualità .

Le olive si conservano in locali detti camini annessi al frantoio, ammassate in strati, a volte, alti due o tre metri o più. In essi, spesso, il riempimento ha luogo dall'alto e lo svuotamento dal basso per mezzo di apposite aperture.

Naturalmente così conservate, ed a volte per un mese e più, le olive danno, come già detto, olio pessimo che in gran parte viene adibito per l'illuminazione, non solo in Italia ma anche all'estero, dove viene asportato.

Si produce, però, anche olio buono, sia pure in piccoli quantitativi, specie ad uso dei proprietari e dei ricchi. Allo scopo si destinano olive fresche, magari spruate, cioè fatte cadere dall'albero con le mani o battute con una canna e subito raccolte, cernite, spesso lavate e si usano fiscoli nuovi o quasi.

In Caprarica vi sono diversi frantoi-ipogei, alcuni persi alla memoria storica; taluni sono stati da noi rilevati presso l'A.S.L., precisamente nel catasto onciario del 1744 e, perciò, possono essere ricordati e riscoperti:

un tal Francesco LONGO Possiede una chiusa in luogo detto Trappeto del Moro, seminatoria di stoppelli 6 in semine con alberi comuni dentro, ed un albero d'olive, giusta li beni di Diego GARRISI da borea, da gerocco e ponente via pubblica. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annue grana 75 sono..oncie 2,15

Il marchese Fabiano GIUSTINIANI ...possiede due trappeti da macinar olive, de quali uno attrovasi in ordine, siti uno dentro una grotta attaccata alla sopra descritta Massaria, e l'altro dentro la grotta detta Il Moro con curte, e pozzo accosto; giusta li beni di Leonardo DELLE DONNE, e di Pantaleo D'ORIA. Stimata la rendita del trappeto ordinato: annui ducati 15, sono..........................................oncie 50

Il ricco proprietario Diego BRUNETTI possiede di più accosto a detto Palazzo, un trappeto in ordine da macinar olive, stabilita la rendita per annui ducati 15, sono.............................oncie 50

La marchesal camera di Caprarica possiede Trappeti 4 in ordine da macinar olive siti in 2 grotte dentro il Palazzo Marchionale con un giardinetto di sopra d'agrumi di delizia. Stimata la rendita, dedotte le spese di coltura extra: annui ducati ............60.

Due altri frantoi-ipogei sono lungo l'attuale via Matteotti.

5. La situazione politica nel meridione d'Italia ed in Terra d'Otranto nella prima metà dell'ottocento.

Alla fine del XVIII sec. il re Ferdinando IV, per difendere la sua politica ed il suo trono, applica, nel meridione d'Italia, un regime autoritario e poliziesco.

Il popolo si ribella ed aiuta i francesi i quali, il 25 gennaio 1799, entrano in Napoli e proclamano la Repubblica Partenopea che dura appena fino al giugno 1799; il generale Oronzo MASSA, barone di Galugnano, fermo sostenitore della Repubblica, è costretto a firmare la resa e, successivamente viene arrestato e giustiziato; in tutto il Regno le stragi e le uccisioni non si contano.

Il re Ferdinando IV, ripresosi lo scettro regale, regna con maggiore spietatezza, mal consigliato, soprattutto, dalla propria consorte Maria Carolina.

In questo triste scenario il TANZI, scrivendo sulla situazione del Salento (in "L'Archivio di Stato di Lecce", pp. 192-193), afferma: "...In sul declinare del secolo XVIII nella nostra provincia il mondo dei feudi, con tutto l'apparato dei suoi abusi, reggeva e perdurava pienissimo; e in complesso ne usciva uno stato sociale che aveva propri caratteri e presentava fenomeni speciali e distinti. Chi avesse percorsa e esaminata la regione, sarebbe rimasto a prima vista colpito da una cert'aria di decadenza e squallore: le tracce profonde dell'età di mezzo spiccavano evidentissime: le città demaniali s'erano ridotte a cinque soltanto (Brindisi, Gallipoli, Lecce, Otranto, Taranto): i feudi ascendevano a trecento e più, di cui moltissimi disabitati: dovunque s'incontravano manomorte, disuguaglianze civili con un assieme di pregiudizi tradizionali e inveterati, dovunque vincoli fiscali e barriere feudali poste alla proprietà , al commercio e all'industria. La politica assolutista ed unificatrice della nuova monarchia napoletana aveva anche cagionata la piena decadenza di tutto quel complesso di autonomie e istituzioni, di franchigie e privilegi, di cui le nostre Università erano state arricchite dalla Casa Aragonese, dopo la devoluzione dei grandi feudi di Lecce e di Taranto; e gli ordini del reggimento municipale, destinati in origine a proteggere le classi inferiori, ora subivano anch'essi il predominio e l'influenza del baronaggio e delle più cospicue e nobili famiglie cittadine....il popolo taceva e serviva...In tale stato di cose una nuova dottrina che rispondesse alla necessità dei tempi, e richiamasse il cittadino agli altri interessi della condizione etica e politica di lui, doveva fare rapidi progressi....Così avvenne appunto per la Carboneria, la quale, pervenuta nella nostra Provincia insieme con la dominazione francese, si diffuse con mirabile rapidità in tutti i luoghi. Le moltissime associazioni che essa creò in Terra d'Otranto, nella quale si affratellarono tutti i ceti della borghesia, dall'umile contadino al ricco possidente, servirono ad educare le masse alle idee innovatrici della grande rivoluzione; la loro scuola soprattutto ridestò la sopita coscienza politica. La nuova dottrina si adattò alle condizioni storiche locali: non assunse, come in qualche altra parte d'Italia, un carattere antireligioso; e basta a dimostrarlo la circostanza che i più alti gradi delle vendite furono dati ad arcidiaconi, a canonici, a parroci, sacerdoti, preti, monaci, e ad altre persone ecclesiastiche... Nelle vendite della Carboneria agli alti fini morali ben presto si sposarono fini politici: accanto ai concetti di fratellanza, umanità e libertà sorsero quelli di patria e di indipendenza; e si vagheggiarono le forme costituzionali, cui fecero capo le rivoluzioni del 1820 e 1848".

In Terra d'Otranto, dunque, i fermenti di libertà contro il regime borbonico vengono manifestati nel nascondiglio delle società segrete che si sviluppano in ogni Comune.

In questo clima così esasperato, da una parte la gendarmeria borbonica esegue, ogni giorno, arresti e fucilazioni, dall'altra i malviventi ne approfittano per compiere assassinii e ruberie di ogni genere.

Nel 1825 muore il re Ferdinando I ma la salita al trono del figlio Francesco I (1825-1830) non fa cambiare un granchè la situazione economica e politica del meridione.

Tra il 1848-1860 in Lecce, come in tutti i Comuni del Salento, si registrano numerose manifestazioni per la libertà dove si vedono i petti ed i berretti di molti cittadini, laici e religiosi, fregiati di coccarde tricolori.

Scrive S. LA SORSA ("Gli avvenimenti del 1848 in Terra d'Otranto", p. 32), del Salento di quegli anni, "...il cui ambiente è ortodosso in fatto di fede, le nuove dottrine si adattano alle condizioni locali, bandendo dal loro programma ogni parvenza anticattolica, e dando alle Vendite un carattere eminentemente umanitario..."; tra i Carbonari si vagheggia l'ideale di un'Italia libera ed unita. Il concetto dell'indipendenza d'Italia si plasma e si consolida attraverso le tappe del 1799, del 1821, del 1831, del 1848 e, infine, del 1859.

Non solo in Vernole - capoluogo pretorile di questo circondario - ma anche negli altri Comuni che lo compongono (Calimera, Melendugno e Borgagne, Caprarica di Lecce, Castrì di Lecce), l'amore per una nuova patria viene vivamente sentito, come lo dimostrano nel 1848, ad esempio, Calimera col festeggiare la Costituzione, Melendugno con le audacie del sacerdote don Paolo SANTORO, Caprarica col liberalismo del sac. Raffaele PARLATI.

Come scrive, ancora, il LA SORSA (Op. cit., p. 80), in occasione di alcune feste promosse dai liberali, a Calimera, intorno al 1848, il Sac. Raffaele PARLATI di Caprarica si presenta sul pulpito dell'altare maggiore della chiesa matrice, con la fascia tricolore, per parlare, in presenza di una grande moltitudine di fedeli, a favore di una forma di governo costituzionale, non senza lanciare invettive contro il sovrano napoletano indegno di salire al trono.

La votazione del Plebiscito avviene, in tutto il Regno di Napoli, il 21 ottobre 1860 con lo slogan: "Il popolo vuole l'Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale e suoi legittimi eredi"; le Corti di Cassazione di Napoli e di Palermo il 5 novembre 1860proclamano 1.310.266 SI e 10.102 NO per le province napoletane, 432.054 SI e 677 NO per le siciliane.

Per quanto riguarda la Terra d'Otranto, su 111.951 iscritti in tutta la provincia di Lecce, votano per il SI 94.570, per il NO 929, si astengono 16.452.

A Caprarica di Lecce, si registrano, su 260 votanti, 257 voti affermativi e 3 contrari. Tiene un discorso celebrativo il funzionante da Sindaco Paolino GHEZZI e vi assistono, fra gli altri, i decurioni (vedi nota 17) Pantaleo VERRI, Pasquale PARLATI e il capo della Guardia Nazionale, barone Costantino ROSSI.

Il sacrificio umano e patriottico, nelle lotte contro i borboni e nelle tre guerre di indipendenza, fu oggetto di un intervento di sostegno gestito dalla Società Solferino e San Martino e alimentato dal contributo che, su richiesta delle Regie Prefetture, ogni Comune inviava annualmente.

Anche al Comune di Caprarica di Lecce, perciò, il Regio Prefetto di Lecce, in data 15 maggio 1889, invia una lettera chiedendo un contributo per le varie iniziative della società .

Questo è il contenuto della lettera: "R. Prefettura di Terra d'Otranto, Divisione Gabinetto, n° 175. Oggetto: Società Solferino e San Martino. Martirologio italiano/.La patriottica società che s'intitola dalle due gloriose battaglie di Solferino e San Martino ha raccolto e speso sinora circa 300.000 lire frutto di volontarie oblazioni per la costruzione della torre monumentale dedicata alla memoria del Re Vittorio Emanuele II e di coloro che dal 1848 al 1870 combatterono per la patria.

Per ultimare tale torre occorre una somma di 100 mila lire, e, per raccoglierla, la patriottica Società ha, tra gli altri mezzi, pensato di mettere in vendita un libro di memorie patrie intitolato: "il Martirologio italiano". A nome di S.E. il Presidente del Consiglio dei Ministri, ne trasmetto un esemplare alla S.V. con preghiera di farmi tenere la somma di £. Cinque, prezzo del libro, concorrendo così anche cotesto Comune alla grande opera.

Il Prefetto:

Daniele VASTA".

6. I fermenti di sviluppo in Caprarica, nell'ottocento, visti attraverso l'ottica di alcuni atti comunali

Nonostante il XIX secolo sia interessato dalle due rivoluzioni del 1820-21 e di quella del 1848, contro il regime Borbonico, gli amministratori del Comune di Caprarica cercano di sviluppare, all'interno del loro territorio, la struttura urbana e di elevare il livello socio-economico dei loro abitanti.

Attraverso alcuni atti, reperiti presso l'A.C.C., si cercherà di dare un quadro sintetico, quanto più possibile rappresentativo, di quella che è stata, nell'ottocento, l'attività nei vari ambiti d'interesse amministrativo e produttivo.

Dal documento che segue si evince la natura commerciale che anima l'attività produttiva degli abitanti di Caprarica, all'inizio del XIX secolo, e si capisce anche perchè trattano prodotti che poi possono esporre e vendere non solo sui mercati dei Comuni limitrofi, ma anche nelle diverse e già conosciute fiere locali.

Questo è il documento: "L'anno 1860 il giorno 16 dicembre, nella Casa Comunale di Caprarica di Lecce, avanti di noi Paolino LEZZI, 2° Eletto, funzionante da Sindaco, assistito dal cancelliere comunale Arcangelo PARLATI e con l'intervento del 1° Eletto, Salvadore MAZZEI, si procede alla sub hasta deffinitiva per lo appalto del dazio sull'acquavite, sul rosoli, ed altro liquori per l'anno 1861 rimasto provvisoriamente aggiudicato ad Antonio PARLATI per ducati 16 giusta il verbale dei 8 suddetto mese di dicembre sotto le condizioni pregiate nei precedenti atti preparatori soggetti all'approvazione. Visto il manifesto pubblicato il giorno 9 dello stesso mese di dicembre, procedendo noi come sopra abbiamo fatto annunziare al Pubblico sopra detta offerta di docati 16 dal serviente comunale Giuseppe SANTORO, dato ed accesa la prima candela dopo gli avvertimenti(?) del banditore suddetto comparve Domenico GRECO col suo garante, ed offrì ducati 18; indi Pantaleo GRECO ed offrì ducati 19; (altro) Domenico GRECO ducati 20; Pantaleo CASTRIOTA ducati 21; e così proseguendo la gara, tra vari pretendenti ebbero luogo varie offerte l'ultima delle quali fu prodotta da Pantaleo CASTRIOTA per docati 23, sulla quale furono accese tre candele consecutive invitandosi il pubblico banditore e per migliorarla e l'una dopo l'altra si estinsero senza la sopravvenuta altra offerta maggiore, per cui il dazio suddetto dei liquori lo abbiamo dichiarato diffinitivamente aggiudicato al nominato Pantaleo CASTRIOTA, per la somma da lui offerta di ducati 23 colla garenzia solidale di Antonio DELLE DONNE, proprietario domiciliato in questo Comune presente ed accettante tutte le condizioni relative all'appalto del suddetto dazio giusta i precedenti atti preparatori che essi CASTRIOTA e DELLE DONNE dichiarano averne piena conoscenza per cui le accettano, e solidalmente obbligano osservarle ed eseguirle ed all'effetto (...) e tutti i casi fortuiti opinati, ed inopinati, impreveduti e per la esecuzione del presente contratto per patto espresso convenuto, salvo la superiore approvazione. Di tutto ciò si è redatto il presente verbale che si è sottoscritto dal garante DELLE DONNE, da Noi 1° Eletto e cancelliere comunale non già dall'aggiudicatario CASTRIOTA per aver dichiarato di non saper scrivere. Antonio DELLE DONNE garante, Paolino LEZZI 2° Eletto, Salvadore MAZZEI 1° Eletto, Arcangelo PARLATI cancelliere.

Il presente verbale di sub hasta diffinitiva è stato approvato dal Governatore della Provincia lì 10 febraro 1861. Il Decurione funzionante da cancelliere Giovanni MAZZEI. N° 194 registrato a Martano lì 16 febraro 1861, Reg. 1°, Vol. 49, Fol. 27, casella 5^, grana 80. Il Ricevitore G. VIVA.".

A ratifica di questo documento, viene stilata una certificazione, sugli appalti dei dazi relativi al vino ed al liquore, in data 31 dicembre 1860 del seguente tenore: "Certifico io qui sottoscritto cancelliere comunale di Caprarica di Lecce che nell'appalti dei dazi sulla mulitura vino e liquori rimasti diffinitivamente aggiudicati il giorno 16 dell'andante mese di dicembre: il primo per ducati 262, il secondo per ducati 135 ed il terzo per ducati 23 fra i termini di legge non si è prodotta offerta di decima, o asta, ne altra offerta di aumento fin'oggi sotto segnato giorno. Caprarica di Lecce 31 dicembre 1860. Il cancelliere comunale Arcangelo PARLATI. Manca il suggello perchè non si è avuto. Visto il Sindaco ff. Paolino LEZZI. Approvati, Lecce 1 febrajo 1861. Pel Governatore, l'Intendente ff. da segretario generale (illegibile). N° 125, Registrato a Martano il 16 febrajo 1861, Reg. 17, Vol. 49, Fol. 27, casella 6. Dritto grana 20".

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Lo stretto legame che unisce l'attività amministrativa dei consiglieri comunali con il parroco si evince, molto bene, dalla preoccupazione di sistemare, al più presto, alcune strutture religiose, della chiesa madre di "San Nicola", adibite al culto: "Dalla Comune di Caprarica di Lecce, 30 Dicembre 1862. Mandato di esito per docati 6 e grana 24. Il signor tesoriere comunale Pasquale GRECO dalla somma di dogati 10 fissata alla categoria ottava del titolo 26 del bilancio preventivo dell'esercizio 1862, ne pagherà al signor parroco don Nicola MARULLI la somma di dogati 6, e grana 24, e ciò per la ricostruzione del nuovo lanternino in quanto alla lastriera, dipintura magistero ed altro,, come anche per le lastre nuove alla vetrina della sagrestia della chiesa parrocchiale giusta la deliberazione della Giunta Municipale del dì 28 dicembre 1862.

F.to: il Sindaco: Salvatore LUPARELLI

L'Assessore: Paolino LEZZI

Vale per ricevuta per la somma di dogati 6 e grana 24 contenuta nel presente mandato.

Firma della parte prendente:

Nicola Arciprete MARULLI".

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Il signor Pasquale GRECO, tesoriere del Comune di Caprarica di Lecce, paga dai fondi risultanti dal bilancio comunale dell'anno 1863 all'individuo infranominato la somma di £ire italiane 34 o docati 8.

A Luigi GRECO, segretario comunale, il 5 dicembre 1863 viene elargita la somma di £ire 34 per gratificazione per il suo impegno profuso per il rilascio dei biglietti di pubblica Sanità ai singoli individui di questa comunità .

Il presente mandato, emesso dopo delibera del C.C., è firmato dal sindaco Salvatore LUPARELLI viene registrato al n° 1, categoria settima del 05/06/1863.

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L'interesse e la presenza dell'amministrazione locale, per l'organizzazione delle feste patronali, si evince da un mandato di pagamento, di £ire italiane 17, pari a ducati 4, emesso a firma del medesimo già detto tesoriere comunale, dove si rileva come il Comune dia il suo contributo per la Deputazione della festa della ricorrenza del protettore San Nicola.

La somma viene prelevata da uno stanziamento nel bilancio e viene riscossa dai componenti la Deputazione, Angelo PELLE' e Nicola GRECO.

La somma viene registrata al N° 1 del Reg. mandati dell'art. 35, categoria ottava, emesso in data 27 giugno 1864 a firma del sindaco Salvatore LUPARELLI.

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Altro mandato di £ire italiane 48 e centesimi 5, pari a ducati 11 e grana 30 viene pagato a tal Pasquale ERROI quale artefice che ha accomodato la macchina del pubblico OROLOGIO, vitto allo stesso ed al discepolo per quattro giorni, paglia e biada all'asino.

Tale somma viene prelevata dal titolo 1°, art. 30, parte 2^ passivo, emessa il 30 settembre 1867 a firma del sindaco Pantaleo VERRI, dell'assessore anziano Liborio ROSSI (barone) e del deputato delle opere pubbliche Agostino PARLATI.

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Questo è un mandato molto singolare, indicativo della grande solidarietà ed umanità nella società di quel tempo.

Il tesoriere comunale Pasquale PARLATI emette un mandato di £ire italiane 8 e centesimi 50, pari a ducati 2, nella ricorrenza della morte della Guardia Rurale del demanio Giovanni MORCIANO. Alle due Guardie Nazionali per guardarlo in campagna, vengono elargite, £ire 3; ai quattro uomini che lo asportarono da campagna £ire 2 per darli sepoltura; per due messi uno a Martano e l'altro a Lizzanello £ire 2,50; per una elemosina ad un cieco £ire 1. Totale £. 8,50.

La somma viene registrata al titolo 1, dell'art. 48, categoria nona, parte 2^ passivo, emesso in data 20 agosto 1869 a firma del sindaco Pantaleo VERRI e dell'assessore Liborio ROSSI.

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La ricorrenza della settimana Santa è molto sentita dal popolo di Caprarica di Lecce, tanto che il Comune emette un mandato di £ire italiane tredici e centesimi 30 per aver invitato il signor Alessandro PAGLIARINI a recitare la predica della Passione nel venerdì Santo non essendo comparsa al quaresimale.

La somma viene registrata al titolo 1, dell'art. 49, categoria nona, parte 2^ passivo, emesso in data 16 aprile 1870 a firma del sindaco Antonio CUCURACHI e dall'assessore Oronzo Nicola GRECO.

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Nell'ottocento comincia ad avvertirsi la necessità d'istruire e di avviare i ragazzi ad apprendere i primi rudimenti scolastici; anche Caprarica di Lecce è sensibile a questo problema e, non a caso, è stato da noi reperito, presso l'A.C.C., un mandato di pagamento di £ire italiane 62 e centesimi 49 per pagare lo stipendio al maestro elementare, Gregorio NICOLI'.

La somma viene registrata al titolo 1, dell'art. 28, categoria settima, emesso in data 24 febbraio 1872 a firma del sindaco Antonio CUCURACHI e dall'assessore Oronzo Nicola GRECO.

Alla fine del medesimo anno ed in occasione dell'avvicinarsi del Santo Natale, si registra la solidarietà e la sensibilità che gli amministratori civici dimostrano con l'elemosina di £ire italiane 4 elargite alla povera Pasqualina VERRI.

Il mandato è firmato in data 3 dicembre 1872 sempre dal sindaco A. CUCURACHI; cambia, invece, l'assessore anziano che è Antonio TURCO.

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Nel successivo anno si conferma la serietà con cui la civica amministrazione ha preso a cuore il problema della pubblica istruzione, per i ragazzi, emettendo un mandato di £ire italiane 7 e centesimi 50 per il pagamento del primo trimestre dell'affitto della Casa della Scuola maschile al proprietario Raffaele GRECO.

Si sottolinea il fatto come in questo periodo vi fosse l'usanza di dividere le classi in maschili e femminili.

La somma viene registrata al titolo 1, dell'art. 34, categoria settima, emesso in data 1° febbraio 1873 a firma del sindaco Antonio CUCURACHI e dall'assessore anziano Pietro VERRI.

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Gli amministratori si devono interessare anche di pagare l'affitto della stalla dei cavalli ai Reali Carabinieri per gli anni 1872 e 1873 per £ire italiane 20 al proprietario dell'immobile Pasquale GRECO.

La somma viene registrata al titolo 1, dell'art. 34, categoria ottava, emesso in data 30 marzo 1874 a firma del sindaco Antonio CUCURACHI.

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Al problema dell'alfabetizzazione si riferisce pure un mandato di pagamento del 16 aprile 1874 per lo stipendio alla maestra elementare, signora Mariannina GRECO, per la prima quindicina di aprile per £ire italiane 25.

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Come si sa fino a pochi decenni or sono, ogni Comune assumeva la propria Levatrice, in quanto le nascite avvenivano in casa.

Un mandato di pagamento risalente al 22 agosto 1875, del Comune di Caprarica, rileva proprio come già in quell'epoca vi fosse questa consuetudine.

Dal mandato risulta che al signor Luigi GRECO, testimonio, il Comune paga la somma di £ire italiane 12 e centesimi 75 per l'affitto della Casa della Levatrice signora APRILE Vincenza.

La somma viene registrata al titolo 1, dell'art. 41, categoria nona, emesso nella detta data del 22 agosto 1875 a firma del sindaco Pasquale GRECO.

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Fino alla seconda metà del XIX secolo i morti vengono tumulati all'interno di fosse comuni posta in chiese e cappelle.

Dopo la famosa polemica che il poeta Ugo FOSCOLO ha avuto con il PINDEMONTE (vedi: la poesia: I Sepolcri), ...se e in quale luogo è più conveniente tumulare i morti..., polemica scoppiata, anche sulla base della legge napoleonica, in materia, dell'inizio dell'ottocento, anche in Caprarica di Lecce si comincia a parlare, non solo di fosse comuni, ma della costruzione di un cimitero comunale per la qualcosa, come si deduce da questo mandato, viene stipulato un accordo con il limitrofo Comune di Castrì di Lecce per costruire, così come è stato definito, un ...cimitero consortile.

Questo è il documento-mandato: "Mandato di pagamento a favore di Oronzo GRECO, Sindaco. Circondario di Lecce, Comune di Caprarica di Lecce,. Il signor Salvatore VOLPE, tesoriere del Comune di Caprarica di Lecce, pagherà sui fondi risultanti dal bilancio 1881 al sopraddetto Sindaco la somma di £ire 41 e centesimi 45 per le cause qui appresso: per verifica della località proposta per la costruzione del Cimitero consortile con Castrì rata di questo Comune £. 40. Per tassa di vaglia postale intestato al tesoriere Provinciale centesimi 40. Per carta del presente mandato e marca di quietanza centesimi 65. In tutto £. 41,45. Tale somma sarà prelevata dall'art. 46, cat. 3^, titolo 2°, somma stanziata £. 400 tolta la presente rimane disponibile £. 358,55. Si rilascia il presente mandato debitamente quietanzato e registrato sotto al n° 68 del registro mandati. Caprarica lì 11 aprile 1881.

F.to Il Sindaco: Oronzo GRECO

L'Assessore Anziano: Pietro VERRI".

Altro documento concernente materia analoga: "mandato di pagamento a favore di Raffaele MONTINARO. Circondario di Lecce, Comune di Caprarica di Lecce. Il signor Salvatore VOLPE, tesoriere del Comune di Caprarica di Lecce pagherà sui fondi risultanti dal bilancio dell'anno 1881 la somma di £. 45 e centesimi 60 per le cause qui appresso indicate, che mediante il presente debitamente quietanzato ne sarà scaricato nel suo conto esattoriale. Per il pulimento di numero cinque sepolture nel cimitero Comunale perchè le stesse erano quasi piene di cadaveri. Tale somma sarà prelevata dall'art. 46, titolo, 2°, Cat. 3^, del bilancio 1881. Somma stanziata £. 400 pagamenti fatti a detta somma £. 41,45 aggiunta la presente in £. 45,60ammonta a £. 87,05 rimane così disponibile la somma di £ire 312,95. Il presente mandato viene registrato al n° 87 del registro. Caprarica di Lecce, 22 Maggio 1881".

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E' anche il periodo in cui molti Comuni danno il via alla costruzione o sistemazione di numerose strade comunali e provinciali per la maggiore comodità degli abitanti, per avere più facile comunicazione per i propri affari.

Anche il Comune di Caprarica interviene in materia di strade e un mandato del 8 marzo 1882 documenta che il tesoriere comunale Salvatore VOLPE paga al signor Pietro VERRI, Assessore, la somma di £ire italiane 3 e centesimi 60 per n° 2 marche di £. 1,20 ed un foglio di carte £. 1,20 comprati per l'incartamento e memorie spedite alla Deputazione provinciale per la strada Caprarica-Galugnano.

La somma viene registrata al titolo 2°, dell'art. 46, categoria quinta, ed emesso nella detta data del 09 marzo 1882 a firma del sindaco: Oronzo GRECO.

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Una delibera datata di fine ottocento vede interessata la Giunta comunale intorno ad un problema amministrativo-finanziario legato all'aumento dello stipendio degli insegnanti comunali locali.

Questo è il documento: "L'Anno 1887 il dì 30 dicembre in Caprarica di Lecce e nella segreteria del detto Comune si è riunita la Giunta Municipale nelle persone dei signori: Antonio PARLATI, Sindaco. Oronzo GRECO e Pietro VERRI, assessori, con l'assistenza del segretario comunale signor Luigi GRECO. La predetta Giunta legalmente riunita. Vista la Legge 01 aprile 1886 n° 3797 con la quale si aumentano gli stipendi degli insegnanti comunali. Ritenuto che detti aumenti ebbero principio il 1° dicembre 1886 quando già in bilancio era stanziato il vecchio stipendio per gli insegnanti e così pel 1887 non si previde che il nuovo aumento incominciava dal novembre di detto anno. Per tali motivi ad unanimità delibera di prelevarsi la somma di £. 16,66 a favore dell'insegnante Nicola GRECO, e £. 6,66 alla maestra GRECO Marianna per le cause sopra indicate. Che detta somma sia prelevata dal bilancio 1888, Titolo 2°, Cat. 9, art. 57. Data lettura e conferma si è sottoscritto. La Giunta Municipale.

Firmati:

Antonio PARLATI, Sindaco;

Oronzo GRECO e Pietro VERRI, Assessori;

La delibera viene approvata e vistata dal Prefetto di Lecce (firma illegibile) al n° 20145 con la postilla che: "Visto, salvo giustifica in sede di conto". Lecce, 04/01/1888. Il nuovo Sindaco che sottoscrive il visto è Vito CUCURACHI.

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Un'altra delibera tratta di problematiche di carattere generale, corrispondenti ad alcuni dei maggiori bisogni del tessuto comunale.

Questo è il documento: "Deliberazione della G. M., tornata del 10 aprile 1889. Oggetto: Prelevamento di somme dall'art. impreviste del bilancio 1889. (omissis)Vista la nota presentata dal Sindaco riguardante alcune spese sostenute per conto di quest'Amministrazione. Ritenuta regolare detta nota, ad unanimità delibera prelevarsi la somma di £. 48,20 dal bilancio 1889, Titolo, 2°, Cat. 9^, art. 59, e per le cause indicate nel seguente elenco delle spese. Si eroga:

1) Al signor Giovanni PARLATI la somma di £. 12 per compenso all'appaltatore del dazio consumo perchè incaricato a versare nell'anno 1888, 4 rate mensili al capoluogo del consorzio di Vernole.

2) Al signor GRECO Raffaele la somma di £. 5,30 per vari libri, ed 1/5 di petrolio somministrato alla scuola serale.

3) Al signor GRECO Oronzo Nicola la somma di centesimi 80 per un litro di petrolio somministrato alla scuola serale.

4) Al signor Sindaco, PARLATI Antonio £. 1,25 per compra di una toppa per la porta della Casa Comunale.

5) Al Vice Pretore, CUCURACHI Vito la somma di centesimi 75 per aver spedito un messo a Martano per avvisare i Reali Carabinieri che fu scassinata porta della bottega di Pantaleo DELLE DONNE.

6) All'insegnante GRECO Nicola la somma di centesimi 80 per aver comprato mezzo litro di petrolio alla Scuola serale in principio /0,40/. Più n° 4 tubi e gazzettelle per i lumi della scuola serale /0,40/.

7) Al sindaco, PARLATI Antonio la somma di £. 2,40 per compra di calce e giornata d'operaio per far imbianchire la sala per la scuola maschile.

8) Al segretario, GRECO Luigi la somma di £. 3,50 per un'indennità al contrassegnato per assistito alla rivista dei Cavalli e Muli il 2 aprile 1889.

9) Al Sindaco, PARLATI Antonio la somma di £. 21,40 per compra di carta bollata per le deliberazioni della Giunta Municipale, perchè si vogliono su carta bollata di centesimi 60".

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Una successiva delibera di G. M., datata 28 febbraio 1890, ha per oggetto: "Prelevamento di somme dall'art. impreviste del bilancio 1890. (omissis) Su alcune note presentate dal Sindaco cessato per spese portate a pro di quest'Amministrazione, nonchè altre spese da pagarsi ora per l'accomodo della campana grande di questa Chiesa comunale, ed alcuni rimborsi di somme indebitamente esatte. Ad unanimità delibera di prelevarsi la somma di £. 50,46 dall'art. 58, Cat. 9^, Tit. 2° del bilancio 1890 come da spese della controsegnata nota:

1) DE MATTEIS Rosa rimborso di £. 4,31 pagate indebitamente per un'altra di nome e cognome omonimo già morta ed inscritta nel ruolo tassa-famiglia, mentre la sopra segnata DE MATTEIS non vien riportata nel ruolo del 1889.

2) GRECO Vito di Pantaleo rimborso di £. 0,85 perchè erroneamente veniva riportato possessore di un maiale.

3) MURRONE Francesco rimborso di £. 8 per tassa-famiglia dell'anno 1889 perchè nella matricola si segnò col pagamento di £. 30 e al ruolo con £. 38.

4) DORIA Raffaele rimborso di £. 0,60, perchè erroneamente si riportava come possessore di 2 pecore.

5) GRECO Oronzo, Sindaco, spese portate per accomodo dell'asso della campana grande, £. 9.45.

6) Antonio PARLATI, ex Sindaco, per aver pagati n° 4 telegrammi mandati dalla prefettura £. 4,80 per un viaggio pagato al vetturino Giovanni PARLATI £. 2, per un foglio di carta mandato alla Commissione Sanitaria Cimitero £. 0,60.

7) Vincenzo PISANO' saldo acconto di lavori fatti alle finestre della Casa Municipale £. 2.

8) GRECO Oronzo, Sindaco, per una porta fattasi al vano dell'Orologio Pubblico, £. 7,50.

9) GRECO Oronzo, Sindaco, per compra di carta bollata per la dimanda e relativo incartamento per avere il prestito di £. 4.000 per costruzione Cimitero, £. 8.

10) GRECO Oronzo, Sindaco, pagamento 2 telegrammi, a messo a Martano, £. 2,35.

In totale £. 50,46".

7. Il toponimo e lo stemma civico o blasone (25)

Si racconta che quando, nel 1480, i Turchi di Acmet Pascià , dopo aver preso Otranto, seminano terrore e distruzione tra le popolazioni salentine della zona, i pastori che abitano in un piccolo villaggio chiamato Ussano e diversi esuli del distrutto e nobile casale di Rocca si rifugiano con le loro greggi, ai piedi delle "Serre", fondando un nuovo paese.

E' possibile che il toponimo Capra-Ricca (da cui, poi, CAPRARICA), congettura fatta dall'ARDITI (Op. cit., p. 103) anche per Caprarica del Capo, sia derivato dalla presenza, tra i rifugiati, di numerosi capi di questo mite animale

D'altra parte, anche nella seconda metà dell'ottocento, il DE GIORGI e l'ARDITI scrivono "...Gli abitanti son dediti all'agricoltura, buoni d'indole e strenui faticatori. Tengono ed allevano quasi in casa molte bestie bovine e pecorine...".

Secondo altre interpretazioni, è più probabile che il nome del paese sia derivato dal nome di uno strumento usato dai frantoiani per macinare le olive e che era chiamato "Capra".

Ciò potrebbe essere verosimile in quanto anticamente a Caprarica vi sono stati molti frantoi, alcuni dei quali sotterranei (ipogei), come già si è detto in precedenza.

Esiste la tesi, inoltre, che il toponimo abbia avuto origine da un altro attrezzo (pure esso chiamato "Capra") usato per cavare la pietra carparina, presente nel sottosuolo.

Il DE GIORGI (Op. cit., pp. 8-10, 32-34), a tale proposito, scrive "Il sottosuolo è formato di calcare magnesifero duro, denominato pietra leccese, poco buono come materiale da costruzione per la sua ineguale durezza e per la poca omogeneità nella struttura...pietra leccese che si cava (anche da) Caprarica... Se ne cavano pure dei recipienti di forma parallepipeda, detti volgarmente piluni, atti a conservar l'olio e l'acqua; e di questi si fa una grande esportazione in oriente...Altre servono pel taglio delle pietre o macine da frantojo...".

Sul medesimo argomento l'ARDITI (Op. cit., p. 104) precisa "... La pietra appo l'abitato è la leccese, a distanza di un chilometro il tufo ed il carparo. Il terreno vi è fertile...".

Come si vede, varie sono le congetture circa l'origine del toponimo.

L'origine del blasone(vedi nota 25) o arma(26) risponde a quella di comunità .

L'arma di comunità : L'arma di comunità è stata imposta dalla Consulta Araldica, su tutto il territorio nazionale. "Gli stemmi dello Stato e delle amministrazioni governative sono regolati dal Regio Decreto 27/11/1890". Le Provincie, i Comuni, gli Enti morali non possono servirsi dello stemma dello Stato ma di quell'arma o simbolo del quale od avranno ottenuta la concessione o riportato il riconoscimento a norma del vigente Regolamento Araldico".

Abbiamo cercato nell'archivio comunale e presso l'Archivio di Stato di reperire la delibera o un documento in cui si certifichi, definitivamente, l'adozione dello stemma del Comune ma, purtroppo, non siamo riusciti a trovarlo oppure, tesi più verosimile, non è stato mai adottato alcun provvedimento. Purtuttavia, l'ARDITI (Op, cit., p. 104) afferma che già nel 1879 Caprarica "... mette per impressa una capra...".

Come si sa, gli stemmi comunali, come i cognomi, nascono dalle caratteristiche di un territorio, da colture particolari, ecc.; Caprarica, al di là degli atti formali, adotta, di fatto, come simbolo, la capra, se è vero, come è vero, che presso l'A.S.L. esiste un documento notarile del 1814 che raffigura proprio la mite bestiola che, sicuramente, avrà visionato l'ARDITI quando ha compilato, nel 1879, la sua "Corografia" già citata.

Una delibera del Consiglio Comunale di Caprarica, n° 63 del 27/11/1965, Sindaco prof. Francesco GRECO, avvia un progetto - mai portato a termine - intorno alla questione del Gonfalone e blasonatura dell'arma civica in questi termini: "ARMA: d'azzurro alla banda scaccata di tre file d'argento e d'oro. In alto: tre stelle d'oro a cinque punte. In basso: pianta d'olivo, d'argento e verde, nascente dalla campagna verde".

Nel 1995, l'Amministrazione Comunale, Sindaco geom. Massimo GRECO, riprende il progetto e, con delibera n° 10 del 01/03/1995, assume uno stemma ed un gonfalone similari a quanto sopra descritto.

In data 15/04/1996, il Presidente della Repubblica firma la concessione dello stemma e del gonfalone:

"Il Presidente della Repubblica

VISTA la domanda con la quale il Sindaco del Comune di Caprarica di Lecce chiede la concessione di uno stemma e di un gonfalone per uso di quel Comune;

VISTI gli atti prodotti a corredo della domanda stessa;

VISTI i RR. DD. 7 giugno 1943 nn° 651 e 652;

SULLA PROPOSTA del Presidente del Consiglio dei Ministri;

DECRETA

Sono concessi al Comune di Caprarica di Lecce, in provincia di Lecce, uno stemma ed un gonfalone descritti come appresso:

STEMMA: di azzurro, all'olivo di verde, fustato al naturale, nodrito nella collina convessa, fondata in punta, di verde accompagnato in capo da tre stelle di cinque raggi, ordinate in fascia d'oro; al capo scaccato di nero e di argento, di tre tiri e di trenta pezzi. Ornamenti esteriori da Comune.

GONFALONE: drappo interzato in palo, il primo e il terzo di verde, il secondo di bianco, riccamente ornato di ricami d'argento e caricato dallo stemma sopra descritto con la iscrizione centrata in argento, recante la denominazione del Comune. Le parti di metallo ed i cordoni saranno argentati. L'asta verticale sarà ricoperta di velluto dei colori del drappo, alternati, con bullette argentate poste a spirale. Nella freccia sarà rappresentato lo stemma del COMUNE e sul gambo inciso il nome. Cravatta con nastri tricolorati dai colori nazionali frangiati d'argento.

Il presente decreto sarà debitamente trascritto.

Dato a Roma, addì 15 aprile 1996".

* * *

Nel 1997, Sindaco avv. Vincenzo GRECO, il problema viene riaffrontato e, dopo una fitta corrispondenza con l'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segretariato Generale, l'Amministrazione Comunale, con delibera n° 30 del 25/07/1997, dopo aver dichiarato non rispondente alla realtà storica locale l'olivo, richiede la revoca del decreto Presidenziale 15/04/1996 sopra riportato, con la concessione di stemma avente la capra come oggetto principale.

La stessa Amministrazione, con successiva delibera n. 47 del 02/07/1998, sceglie lo stemma con la "capra" come oggetto principale, tra i bozzetti fatti pervenire dall'Ufficio Araldico, dopo che quest'ultimo aveva escluso la eventualità di "aggiungere" la "capra" allo "olivo".

Acquisite le delibere e le note del Comune di Caprarica circa la volontà di ritenere più rispondente ai dati storico-culturali e sociali del paese il simbolo della "capra" e circa la scelta del bozzetto, l'Ufficio Araldico invia il seguente provvedimento:

"Il Presidente della Repubblica

VISTA la domanda con la quale il Sindaco del Comune di Caprarica di Lecce chiede la sostituzione dello stemma conseguito da quel Comune con D.P.R. 15 aprile 1996;

VISTI gli atti prodotti a corredo della domanda stessa;

CONSIDERATA la validità della ricerca che ha consentito la individuazione dello stemma storico di Caprarica di Lecce;

VISTI i RR. DD. 7 giugno 1943, nn° 651 e 652;

SULLA PROPOSTA del Presidente del Consiglio dei Ministri;

DECRETA

In sostituzione dello stemma di cui al citato D.P.R. 15.04.1996, è concesso al Comune di Caprarica di Lecce, in provincia di Lecce, uno stemma descritto come appresso:

STEMMA: di azzurro, alla capra d'argento passante sulla campagna di verde, con l'arto anteriore sinistro alzato, accompagnata da sette spighe di grano d'oro, nodrite nella campagna, quattro spighe a destra, tre a sinistra, la seconda e la terza spiga poste a destra più alte e propinque alla bocca della capra. Ornamenti esteriori da Comune.

E' altresì confermato il seguente:

GONFALONE: drappo interzato in palo, il primo e il terzo di verde, il secondo di bianco, riccamente ornato di ricami d'argento e caricato dallo stemma sopra descritto con la iscrizione centrata in argento, recante la denominazione del Comune. Le parti di metallo ed i cordoni saranno argentati. L'asta verticale sarà ricoperta di velluto dei colori del drappo, alternati, con bullette argentate poste a spirale. Nella freccia sarà rappresentato lo stemma del Comune e sul gambo inciso il nome. Cravatta con nastri tricolorati dai colori nazionali frangiati d'argento.

Il presente Decreto sarà debitamente trascritto.

Dato a Roma addì 04 settembre 1998".

Registrato nei registri dell'Ufficio Araldico, il 23 ottobre 1998 alla pagina 118, è trascritto nel registro Araldico dell'Archivio Centrale dello Stato il 10 ottobre 1998.

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Per vero, gli autori devono sottolineare che, ai loro approfondimenti, nell'armaraffigurante il blasone del casato dei ROSSI-MARTINI (v.: V. SPRETI, Enciclopedia cit., vol. V, p. 808), probabile ramo cadetto dei ROSSI, baroni di Caprarica, nel XVIII sec., nel secondo troncato, appare una capra sormontata da tre stelle.

La raffigurazione di questo secondo troncato è pura casualità oppure le stelle che appaiono nel precedente stemma di Caprarica raffigurante l'olivo (D.P.R. 15/04/1996) e la capra dello stemma attuale (D.P.R. 04/09/1998), sono sintesi coincidente di un reale dato storico ?

Si può solo concludere affermando che quello che era, sostanzialmente, lo stemma araldico descritto dall'ARDITI nel 1879 viene, a distanza di 120 anni, riconfermato.

8. Organigramma dei Sindaci, trovati presso l'Archivio Comunale, che si sono succeduti nel tempo

Caprarica, prima nel ruolo di Università , ha avuto i suoi Sindaci ed i suoi Eletti, ha fatto parte di un Consorzio intercomunale ed è poi divenuta Comune autonomo.

Nel corso della sua storia ha acquisito delle strutture urbane civili (Torre di difesa e di avvistamento, castello, masserie fortificate) e religiose (chiese e conventi), assumendo nell'ottocento una sua identità ben definita come COMUNE.

Nel territorio comunale di Caprarica, come in tutti i Comuni del meridione d'Italia, fino al 1860, regnano i Borboni i quali, come sappiamo, tengono le popolazioni nell'arretratezza più esasperata a qualsiasi livello di vita.

In ogni Comune, compresa Caprarica, governa ancora la classe baronale, con i pregiudizi di una mentalità feudale e che nomina il Sindaco "...che gli pare et piace..."; tuttavia, le leggi napoleoniche che svincolano i Sindaci ed i cittadini dai soprusi dei baroni, sebbene tardivamente, cominciano a produrre i primi effetti, in quanto i Sindaci e gli Eletti, sia pure molto lentamente, si avviano a svincolarsi dal potere baronale e feudale.

Questo è l'organigramma dei Sindaci di Caprarica di Lecce sulla base dei documenti che sono stati rinvenuti:

[A.S.L., Atto del notaio Vincenzo STAIBANO del 10/11/1675 (p. 370)]

1675Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â D'ORIAÂ Â Â Â Paolo

[A.S.L., Scritture Università e feudi, Atti diversi, fasc. 14/2]

1733Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â QUARTAÂ Â Â Vito

05/10/1734Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â CUCURACHI Cataldo

28/06/1742 Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â INGROSSOÂ Donato

[A.S.L., Catasto Onciario del 1744 - (A.S.L.)]

1744                              - GRECO Leonardo, Sindico

[dall'Unità d'Italia fino ai nostri giorni (A.C.C.)]

1860/1861Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â MARULLI Raffaele

1862/1866Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â - LUPARELLI Salvad(t)ore

1867/1869Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â VERRI Pantaleo

1870/Marzo 1874Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â CUCURACHIÂ Antonio

Aprile 1874/1880 Â Â Â Â Â Â Â Â - GRECO Pasquale

1881/1884 Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â - GRECO Oronzo

1885/1888 Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â CUCURACHIÂ Vito

1889/1890 Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â - PARLATIÂ Antonio

Dicembre 1890/1892Â Â Â Â - GRECO Oronzo

1893Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â - PARLATI Salvatore

1896Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Oronzo

1902Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECO Oronzo

1909 Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â MURRONE B.

1913Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â ROSSIÂ B(eniamino)

1915Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECO P.

1918Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â MURRONEÂ B.

P O D E S T A'

1923/1940Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECO Oronzo

COMMISSARI PREFETTIZI

dal 27/3/1943Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â - FAGGIULLI Giuseppe

dal 27/6/1943Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â - MURRONE P.

P O D E S T A'

dal 27/10/1943-1946Â Â Â Â -Â GRECO Oronzo

S I N D A C I

1946/1951Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Â Â Â Â Â Paolo

1951/1956Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Â Â Â Â Â Domenico

1956/1960Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â PENZAÂ Â Â Â Â Â Â Evangelista

1960/1964Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â PENZAÂ Â Â Â Â Â Â Evangelista

1964/1970Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Â Â Â Â Â Francesco

1970/1975 Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Â Â Â Â Â Francesco

1975/1980Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Â Â Â Â Â Francesco

1980/1983Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Â Â Â Â Â Francesco

1983/1985Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Â Â Â Â Â Renato

1985/1990Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Â Â Â Â Â Renato

1990/1991Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â MAZZEOÂ Â Â Oronzo

COMMISSARI PREFETTIZI

1991/1992Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â Â MARCUCCIOÂ Michele

S I N D A C I

1992/1997Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Â Â Â Â Â Â Massimo

1997/Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â -Â Â GRECOÂ Â Â Â Â Â Vincenzo

9. Caprarica durante la prima guerra mondiale

La situazione socio-economica, di Caprarica, durante la prima guerra mondiale, si presenta assai compromessa.

La sua tipologia economica e di insediamento urbano si sviluppa molto lentamente, con grandi difficoltà ed è, sostanzialmente, quella che il Regno d'Italia ha ereditato dall'antico Regno Borbonico, nel 1860.

Caprarica vive e si stringe intorno alla sua chiesa matrice e al suo castello baronale. A Caprarica le case del popolo sorgono in quello che ora è chiamato centro storico.

Caprarica, durante il primo conflitto mondiale, conta poco più di 1.500 abitanti.

La situazione economica complessiva dei suoi abitanti è di estrema povertà e miseria. Le attività lavorative prevalenti sono quelle di contadino e di spaccapietre vi, sono pochi artigiani: qualche fabbro (ferraru), qualche calzolaio (scarparu) e qualche consalimbure.

Per semplice curiosità , si riporta la notizia testuale riportata, in quegli anni, il 18 gennaio 1913, da "La Provincia di Lecce", giornale salentino dell'epoca, da noi reperito presso la B.P.L., "La triste sorte di una bambina: Una bambina di 7 anni figlia di certa CUCURACHI Leonarda, rimasta sola per pochi momenti, si avvicinò al focolare e incautamente prese ad attizzare il fuoco che le si appiccò alla veste; in un attimo fu tra le fiamme e malgrado che alle grida fossero accorse delle vicine, la bambina riportò tali scottature, che dopo poche ore moriva tra atroci spasimi".

10. Elenco dei Caduti di Caprarica di Lecce nella guerra 1915/18

Col sopraggiungere della 1^ guerra mondiale in Caprarica, come in tutti i Comuni, si determina un grande sgomento, soprattutto all'arrivo della cartolina-precetto ai giovani destinati al fronte.

Sono ragazzi nati, tutti, intorno al 1890-1900.

I soldati di Caprarica si battono in molte zone del fronte orientale, sul Monte San Michele, sull'Isonzo, sul Pasubio, sulle alture del Monte Grappa, sulla Bainsizza, nelle trincee del Carso, sul Piave e si distinguono per valore ed eroismo

Molti vi trovano la morte; alcuni risultano dispersi; altri subiscono gravi mutilazioni per lo scoppio di qualche mina o granata vagante. Tutti sacrificano la loro giovinezza ed i loro affetti.

Nel libro "Albo D'Oro", Volume XVIII (Puglie: Provincia di Lecce), edito dal Ministero della Guerra e stampato presso l'Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1938, Anno XVI dell'Era Fascista, compaiono i seguenti cittadini di Caprarica di Lecce, caduti nella Guerra Mondiale 1915-18:

1) APRILE Angelo di Gaetano. Caporale del 140° Reggimento Fanteria, nato il 19/05/1890 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 26 luglio 1915 nell'ospedale da campo n° 240 per ferite riportate in combattimento (p. 14).

2) APRILE Antonio di Pantaleo. Soldato del 136° Regg. Fanteria, nato il 09/03/1895 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 23/12/1915 sul medio Isonzo per ferite riportate in combattimento (p. 14).

3) APRILE Pantaleo di Nicola. Soldato del 217° Regg. Fanteria, nato il 25/09/1896 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 21/11/1916 in Val Posina per ferite riportate in combattimento (p. 14).

4) BELLISARIO Giuseppe di Antonio. Soldato del 47° Regg. Fanteria, nato il 04/12/1889 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 05/07/1915 sul monte San Michele per ferite riportate in combattimento (p. 25).5) CARACCIOLO Salvatore di Michele. Soldato del 144° Regg. Fanteria, nato il 21/03/1891 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 21/12/1915 a Legnago per ferite riportate in combattimento (p. 52).

6) CENTONZE Pantaleo di Oronzo. Soldato del 47° Regg. Fanteria, nato il 24/04/1890 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, disperso il 05/07/1915 sul monte San Michele in combattimento (p. 72).

7) CENTONZE Tommaso di Giorgio. Soldato del 205° Regg. Fanteria, nato il 03/07/1891 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 22/06/1918 a Caprarica di Lecce per malattia (p. 72).

8) CENTONZE Vincenzo di Oronzo. Soldato del 54° Regg. Fanteria, nato il 01/08/1893 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 21/10/1915 sul monte Piana per ferite riportate in combattimento (p. 72).

9) CONTE Vito di Annunziato. Soldato del 1° Regg. Granatieri, nato il 20/09/1896 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, disperso il 09/08/1916 sul monte San Michele in combattimento (p. 90).

10) DELLE DONNE Carmine di Concetto. Decorato di Medaglia d'Argento al valor militare. Soldato del 130° Regg. Fanteria, nato il 30/03/1895 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 19/07/1916 nell'Ospedale da campo n° 0111 per ferite riportate in combattimento (p. 115).

11) DE MATTEIS Gaetano di Agostino. Soldato dell' 86° Regg. Fanteria, nato il 20/09/1894 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 30/10/1915 sul monte San Michele per ferite riportate in combattimento (p. 119).

12) FERRANTE Giuseppe di Giovanni. Soldato del Regg. Genova cavalleria (4°), nato il 03/08/1896 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 16/09/1816 sul Carso per ferite riportate in combattimento (p. 149).

13) FRIGELLI Antonio Donato di Nicola. Soldato del 219° Regg. Fanteria, nato il 05/05/1884 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, disperso il 20/07/1916 sul monte Cristallo in combattimento (p. 157).

14) GRECO Pasquale di Oronzo. Decorato di Medaglia d'Argento al valor militare. Capitano medico di complemento, direzione Sanità militare, del corpo d'armata di Bari, nato il 31/10/1876 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 06/06/1920 in Albania per ferite riportate in combattimento (p. 179).

15) GRECO Lazzaro di Domenico. Solato del 247° Regg. Fanteria, nato il 23/09/1884 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 18/11/1918 a Castelfranco Emilia per malattia (179).

16) GRECO Pantaleo di Salvatore. Soldato del 96° Regg. Fanteria, nato il 24/07/1891 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 14/05/1917 sul medio Isonzo per ferite riportate in combattimento (p. 180).

17) GRECO Pasquale di Vincenzo. Soldato del 76° Regg. Fanteria, nato il 06/01/1879 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, disperso il 14/09/1917 nel settore di Tolmino in combattimento (p. 180).

18) GRECO Vincenzo di Oronzo. Caporale del 148° Regg. Fanteria, nato il 29/04/1893 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 06/11/1915 nell'Ospedaletto da campo n° 73 per ferite riportate in combattimento (p. 181).

19) LEO Nicola di Antonio. Soldato del 47° Regg. Fanteria, nato il 05/12/1891 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 07/08/1916 sul monte San Michele per ferite riportate in combattimento (p. 199).

20) LEO Nicola di Concetto. Soldato del 86° Regg. Fanteria, nato il 22/05/1883 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 07/05/1919 a Caprarica di Lecce per malattia (p. 199).

21) LEZZI Nicola di Vincenzo. Soldato della 64^ Compagnia mitraglieri, nato il 15/02/1891 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 18/03/1917 sul monte Cristallo per ferite riportate in combattimento (p. 201).

22) LEZZI Vito Luigi di Giovanni. Soldato del 47° Regg. Fanteria, nato il 21/10/1891 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 21/11/1915 sul monte San Michele per ferite riportate in combattimento (p. 202).

23) LONGO Giuseppe di Enrico. Soldato del 78° Regg. Fanteria, nato il 24/02/1895 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 17/10/1915 sul monte Pasubio per ferite riportate in combattimento (p. 208).

24) LONGO Nicola di Angelo. Soldato del Regg. Cavalleggeri di Lodi (15°), nato il 21/04/1890 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 03/10/1916 a Lecce per malattia (p. 208).

25) LONGO Vincenzo di Vincenzo. Soldato del 244° Regg. Fanteria, nato il 15/08/1897 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 15/06/1918 sul Piave per ferite riportate in combattimento (p. 208).

26) MAGGIORE Angelo di Vincenzo. Soldato del 33° Regg. Fanteria, nato il 09/07/1893 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 21/08/1917 sul medio Isonzo per ferite riportate in combattimento (p. 214).

27) MAGGIORE Oronzo di Giovanni. Soldato del 19° Regg. Fanteria, nato il 01/03/1896 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 08/10/1918 in Francia per ferite riportate in combattimento (p. 215).

28) MONTINARO Angelo di Giuseppe. Soldato dell'85° Regg. Fanteria, nato il 16/02/1895 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 23/10/1915 sul monte San Michele per ferite riportate in combattimento (p. 257).

29) MONTINARO Leonardo Vito di Pietro. Soldato del 118° Regg. Fanteria, nato il 15/05/1893 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 23/05/1917 in prigionìa per ferite riportate in combattimento (p. 258).

30) MONTINARO Romano di Salvatore. Soldato del 47° Regg. Fanteria, nato il 01/05/1887 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 06/08/1916 sul monte San Michele per ferite riportate in combattimento (p. 258).

31) MORELLO Luigi di Teodoro. Soldato del 214° regg. Fanteria, nato il 01/09/1894 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 19/06/1917 sul monte Forno per ferite riportate in combattimento (p. 259).

32) MORELLO Vito Nicola di Vito. Caporale maggiore del 47° Regg. Fanteria, nato il 15/06/1886 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 25/01/1916 sul monte San Michele per ferite riportate in combattimento (p. 259).

33) MURRONE Liberato di Francesco. Soldato del 97° Regg. Fanteria, nato il 24/04/1893 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 29/08/1916 in prigionìa per ferite (p. 262).

34) PALMARINI Armando di Oronzo. Soldato del 47° Regg. Fanteria, nato il 28/12/1891 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 05/07/1915 sul monte San Michele per ferite riportate in combattimento (p. 279).

35) PERRONE Oronzo Nicola di Pietro. Soldato del 68° Regg. Fanteria, nato il 17/01/1898 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 23/06/1918 a Milano per malattia (p. 294).

36) PROTOPAPA Luigi di Pasquale. Soldato del 85° Regg. Fanteria, nato il 08/07/1896 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 03/06/1918 a Savona per malattia (p. 313).

37) ZECCA Fortunato Oronzo di Carmine. Soldato del 19° Regg. Fanteria, nato il 09/12/1882 a Caprarica di Lecce, Distretto militare di Lecce, morto il 10/10/1916 sul medio Isonzo per ferite riportate in combattimento (p. 408).

A questi eroici caduti, bisogna aggiungerne altri 11 non compresi nell'Albo d'Oro del Ministero della Guerra ma che risultano presso gli elenchi del Comune di Caprarica di Lecce. Essi sono:

CUCURACHIÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Luigi (Tenente)

GARRISI Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Oronzo di G.

GARRISIÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Oronzo di L.

GRECOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Francesco (Capitano Medico - morto in Libia)

GRECOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Ippazio

GRECO Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Oronzo

GRECOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Pantaleo

GRECOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Pasquale (Capitano Medico)

GRECOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Vincenzo di N.

INGROSSOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Pantaleo

MONTINAROÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Donato

Alla fine del primo conflitto mondiale i soldati italiani morti risultano circa 650.000, di cui ne vengono registrati ufficialmente 47 di Caprarica.

Molti, anche se riescono a uscire vivi dall'inferno della 1^ guerra mondiale, muoiono non molto tempo dopo, perchè il fisico, ormai provato e debole, non riesce a difendersi dalla successiva "epidemia della febbre di trincea", comunemente detta "spagnola".

11. Caprarica di Lecce durante la seconda guerra mondiale

La situazione non è migliorata granchè. Il conglomerato urbano è quasi lo stesso della 1^ guerra.

Il pane è razionato e viene istituita una tessera su cui è segnato quello ritirato. Molti contadini ricordano che devono nascondere il grano o altri prodotti che producono (oltre la quota-parte consegnata allo Stato), per sottrarsi al rischio di una ulteriore requisizione, a seguito di eventuali controlli. Sono in molti gli anziani che riferiscono: "... spesso dovevamo rubare a noi stessi i prodotti agricoli che producevamo ... c'era il rischio di vedere tutto il nostro lavoro andare in fumo ...".

A Caprarica, come in tutti i Comuni d'Italia, dal punto di vista politico, governa il Partito Nazionale Fascista. Operano le Regie Guardie (in verità , create dal ministro Nitti, prima del fascismo). Accanto alle regie guardie, agiscono, per l'ordine pubblico, anche le camicie nere, fondate da Benito Mussolini, il cui capo è il sottotenente della milizia o sottocapo manipolo (secondo il loro linguaggio). Il Sindaco viene chiamato "Podestà ". Opera anche la G.I.L. ("Gioventù Italiana del Littorio") nella cui sede, chiamata anche "dopolavoro", si ascolta la radio, i bollettini di guerra e i proclami di Mussolini; talvolta si disponeva anche di un grammofono per ascoltare pezzi di musica classica. Affianca il regime anche l' "Opera Balilla".

Anche i giovani di Caprarica partecipano agli eventi tragici della seconda guerra mondiale, con gli stessi sacrifici ed analogo eroismo dei loro concittadini mandati al fronte durante la prima.

Questo è l'elenco dei caduti di Caprarica durante il secondo conflitto mondiale:

1)Â CALASSO Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Luigi

2)Â CALO' Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Carmelo

3)Â CENTONZE Â Â Â Â Â Â Â Â Donato

4)Â CENTONZE Â Â Â Â Â Â Â Â Donato G.

5)Â CENTONZEÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Tommaso

6)Â CENTONZEÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Vincenzo

7)Â CONTEÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Salvatore

8)Â DELLE DONNEÂ Â Pasquale

9)Â DE VITO Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Nicola

10) DURANTE Â Â Â Â Â Â Â Â Â Antonio

11) FRIGELLI Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Antonio

12) GRECOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Giovanni

13) GRECOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Oronzo di C.

14) GRECOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Oronzo di P.

15) GRECOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Oronzo N.

16) IURLARO Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Cosimo fu Luigi

17) LEOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Nicola fu C.

18) LONGOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Francesco

19) MONTINAROÂ Â Â Â Oronzo

20) MORELLOÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Antonio

21) MORELLO Â Â Â Â Â Â Â Â Â Raffaele

22) PROTOPAPAÂ Â Â Â Â Luigi di A.

23) VANTAGGIATO Salvatore

24) VANTAGGIATO Vittorio

25) VERRIÂ Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Oronzo

***

L'Amministrazione Comunale di Caprarica di Lecce, con delibera C.C. n° 33 del 29/09/2000, ha intitolato alcune vie dell'abitato ai concittadini decorati con medaglia d'argento al valor militare GARRISI Angelo, GRECO Oronzo, DORIA Pasquale ed a PERRONE Vincenzo, sottufficiale dell'Arma, decorato per meriti di guerra.

* * * * *

Per semplice documentazione e per sottolineare gli sforzi delle autorità locali nel rimodernare il paese, si riporta il testo integrale di una delibera comunale dell'epoca:

"Comune di Caprarica di Lecce, Deliberazione del Potestà , n° 18, prot. n° 408 del 30 gennaio 1937. Oggetto: Liquidazione spese per manutenzione delle vie e piazze comunali.

L'anno 1937, nella Casa Comunale di Caprarica. Il Podestà del Comune Sig. Cav. Oronzo GRECO, assistito dal segretario sig. CANTANNA Pietro, ha adottato la seguente deliberazione: Vista la propria deliberazione n° 115 del 05/09/1936 approvata con n° 19108 del 24/09/1936 con cui si chiedeva la preventiva autorizzazione per la spesa relativa alla manutenzione ordinaria delle vie e piazze comunali.

Visto la fattura del sig. MURRONE Antonio per la fornitura e spargitura di mc. 315 di breccia al prezzo di £. 14 al mc., giusta offerta di cui si faceva menzione nella detta deliberazione.

Considerato che a causa delle pessime condizioni delle vie comunali si è ritenuto urgente procedere alle riparazioni delle vie: via Lecce, Calimera, Martano e via Capece, dando incarico allo stesso MURRONE mercè rimborso dell'importo delle giornate lavorative impiegate che ammontano a £. 524,50.

DELIBERA

di liquidare la su detta fattura in £. 4.934,50 per la causale di cui sopra e di emettere il relativo mandato di pagamento a favore del sig. MURRONE Antonio imputandone l'importo su detto al Titolo I, Capo I, Cat. V, art. 45 "Spese per la manutenzione delle vie, strade e piazze comunali" stanziato e disponibile in £. 5.000.

Queste, invece, sono, all'interno della delibera, le giornate degli operai, per conto del Comune, nei mesi di Gennaio e Febbraio 1937:

GRECO Oronzo fu Antonio, giornate 2, £. 10; LEZZI Antonio di Giuseppe, giornate 2, £. 10; MURCIANO Apollonio di Cesario, giornate 4, £. 8; CUCURACHI Antonio di Luigi, giornate 2, £. 5; SARACINO Giuseppe fu Niceta, giornate 2, £. 10; MARULLO Pantaleo, giornate 2, £. 10; CUCURACHI Antonio di Luigi, giornate 2, £. 6; MAZZEO Giuseppe di Giuseppe, giornate 3, £. 9; MORELLO Pasquale di Francesco, giornate 2, £. 9; SALINES Pantaleo di Artidoro, giornate 1, £. 3; GRECO Pantaleo, giornate 1, £. 3; CASTRIOTA Pantaleo di Oronzo, giornate 3. £. 21; APRILE Pasquale di Leonardo, giornate 3, £. 9; SPANO Luigi fu Antonio, giornate 4, £. 20; SPANO Antonio di Luigi, giornate 2, £. 6; CASTRIOTA Pantaleo di Oronzo, giornate 3, £. 21; SARACINO Giuseppe fu Niceta, giornate 1, £. 5; GRECO Raffaele, giornate 1, £. 3; MONTINARO Giuseppe, giornate 1, £. 3; SARACINO Giuseppe fu Niceta, giornate 2, £. 10; CASTRIOTA Pantaleo di Oronzo, giornate 3, £. 21; MAZZEO Giuseppe di Giuseppe, giornate 2, £. 6; MORELLO Pasquale, giornate 2, £. 7; MORELLO Pantaleo, giornate 1, £. 4; GRECO Raffaele, giornate 3, £. 9; GRECO Nicola di Oronzo, giornate 2, £. 6; GRECO Oronzo fu Antonio, giornate 1, £. 5; MURRONE Carmelo di Pantaleo, giornate 1, £. 5; CUCURACHI Luigi fu Lorenzo, giornate 1, £. 5; MURRONE Carmelo, giornate 7, £. 35; CASTRIOTA Pantaleo di Oronzo, giornate 1, £. 5; GRECO Oronzo fu Antonio, giornate 2, £. 10; CASTRIOTA Pantaleo di Oronzo, giornate 4 e _, £. 17; LEO Nicola di Giuseppe, giornate 4 e _ , £. 17; APRILE Pasquale di Leonardo, giornate 4 e _, £. 17; CUCURACHI Nicola di Nicola, giornate 2, £. 10; MARCHELLO Arcangelo di Michele, giornate 2, £. 8; GRECO Oronzo fu Antonio, giornate 1, £. 5; GRECO Oronzo fu Antonio, giornate 2, £. 10; GARRISI Domenico fu Giovanni, giornate 2, £. 10; MURCIANO Cesario, giornate 1, £. 5; CONTE Giuseppe fu Annunziato, giornate 1, £. 15; GRECO Vincenzo fu Raffaele, giornate 1, £. 12; GRECO Vincenzo fu Raffaele, giornate 3, £. 35; GRECO Oronzo di Vito, giornate 2, £. 24; APRILE Pasquale fu Leonardo, giornate 1, £. 5.

Fattura per fornitura e spargimento breccia per lavori di sistemazione strade del Comune di Caprarica di Lecce:

a) mc. 315 di breccia a £. 14 al mc. ..................................£. 4.410,00

b) giornate lavorative impiegate in seguito ad ordine del podestà per urgenti riparazioni e sistemazione cunette vie comunali (via Lecce, via Martano, via Calimera e via Capece).............................. £.  524,50

Totale.... £. 4.914,50"

Vistata e resa esecutiva dal Prefetto di Lecce al n° 6498 del 8 marzo 1937, Anno XVdell'Era Fascista".

12.E' Da ricordare, in Caprarica di Lecce

Nel XVIII sec., il fisico Vito QUARTA (già citato al capitolo III, paragr. 12). Nel secolo successivo il sacerdote Raffaele PARLATI (citato al cap. V, paragr. 5). Nel XX secolo, Leonardo CALO', partigiano (nato a Caprarica il 14/05/1910, morto il 17/10/1980), Oronzo VERRI, canonico (nato a Caprarica il 15/04/1880, morto 21/04/1955), Sura SIGHLIN, medico (nata a Kerson il 29/05/1889, deceduta il 14/09/1946), Luigi VERRI, sacerdote (nato a Caprarica il 21/06/1909, morto il 26/12/1972), Giuseppe GIANCANE, docente (nato a Caprarica il 13/05/1913, morto il 13/08/1979), Antonio SARACINO, docente (nato a Caprarica il 16/03/1915 morto a Roma il 16/04/1991), Francesco GRECO, docente (nato il 04/11/1920, morto il 20/04/1983), Antonio VERRI, poeta (nato a Caprarica il 22/02/1949, morto il 09/05/1993).

Leonardo CALO'

Partigiano della Divisione Garibaldi, in data 4 settembre 1945 riceve, dall'allora Ministro della Guerra, il Diploma d'Onore «in riconoscimento della sua appartenenza durante la guerra di liberazione contro la Germania alla Divisione Italiana partigiana ‘Garibaldi'».

A questo riconoscimento segue quello della "Spomen Medalju", conferitagli in data 24/09/1974 dall'allora Presidente delle Repubbliche Federali Socialiste Jugoslave, Josip Broz TITO.

Il Comune di Caprarica di Lecce, nel 1999, intitola a lui la sala consiliare, nel corso di una solenne cerimonia.

Don Oronzo VERRI

Dopo aver completato gli studi umanistici e teologici presso il Seminario Vescovile di Molfetta, diviene sacerdote e, durante il primo conflitto mondiale, è nominato economo curato e, poi, parroco, dal 1919 fino al 21/04/1955, anno della sua morte.

Tutti coloro che si sono trovati a descriverne la figura, convengono nel sostenere che egli è stato un eccellente oratore, impegnato tanto in politica che negli ambienti culturali. Ha scritto numerosi drammi che ha fatto rappresentare ai giovani del paese.

Sul canonico O. Verri la prof.ssa Maria Fedela VANTAGGIATO ha svolto, nel 1975, un lavoro di tesi di cui si riportano alcune parti essenziali.

« ... A cominciare dal luglio 1921, ogni anno "Papa Ronzu", così è chiamato dai suoi compaesani, prepara una nuova composizione drammatica, a volte riprende drammi che ha fatto rappresentare gli anni precedenti, apportandovi solo delle modifiche.

La popolazione tiene alla novità e alla sorpresa e, ha fiducia nelle capacità di Papa ‘Ronzu. Non per niente in quell'epoca, il parroco è una figura di primo piano nella vita del paese; Papa ‘Ronzu, in particolare, a detta di tutti quelli che lo hanno conosciuto quando era giovane e in buona salute, è dotato di un grande ingegno e di una forte personalità , oltre che di prontezza di spirito e di grande coraggio. Accade, talvolta, che Papa ‘Ronzu punti una sua vecchia pistola a tamburo contro qualche malintenzionato, facendolo stare per sempre alla larga da Caprarica.

Oltre a scrivere i suoi bozzetti drammatici, Papa ‘Ronzu, ne cura l'adattamento scenico e la preparazione degli improvvisati attori e attrici. La preparazione comincia due o tre mesi prima del 16 luglio, le giovani stesse preparano i vestiti per le varie scene, dato che già si spende sulle 700-800 lire per tutte le altre spese che la rappresentazione richiede.

La rappresentazione ha luogo sul sagrato della Cappella della Madonna del Carmine "lu Cumentu", che è molto alto e la gente può vedere bene, si fa di sera, perciò tutto intorno al sagrato si mettono grandi lampade a carburio in modo da illuminare bene la scena.

I drammi sono in versi il più delle volte rimati, con intercalati canti e cori. Nel 1921 fa rappresentare "Alba di gloria o i fiori di Maria" dove in un paesaggio idillico, pastorelle e donzelle in una danza di fiori rendono omaggio alla Vergine Santa. Protagoniste principali dei drammi di Papa ‘Ronzu sono Romana GIANCANE e Maria GATTO, entrambe decedute. Esse sono dotate di una bella voce e di buone capacità espressive, a quanto dicono i loro parenti e chi le ha conosciute, si impegnano per mesi e mesi ad esercitarsi nelle "parti".

Durante la rappresentazione la gente segue la scena con interesse e commozione sia per le belle parole, sia per la bravura degli attori e la perfezione dei canti, sia per lo spirito religioso che aleggia in tutta la rappresentazione.

Nel 1923 viene rappresentata "La Innocente", una fanciulla orfana di madre viene accusata ingiustamente da una sua compagna di averle rubato uno spillo e la trama s'impernia tutta nella dimostrazione dell'innocenza della fanciulla.

Il bozzetto drammatico "I due volti" rappresentato in Caprarica nel 1923 è ricordato da molti per la perfezione degli adattamenti scenici e la coreografia tutta: angeli che si dispongono a forma di croce, di corona, di M ecc.

Dopo il 1924, per alcuni anni Papa ‘Ronzu non produce nulla di nuovo, finchè nel 1929 vede la luce "Atala o l'Ancella di Dio". Questo bozzetto drammatico ha delle innovazioni rispetto ai precedenti, cioè è preceduto da una presentazione, dove le improvvisate attrici pregano il pubblico di essere indulgente nel giudicarle e, seguito da un ringraziamento con una sfumata critica a quello che si è svolto sulla scena.

La fantasia drammatica "La leggenda del lupo" rappresentata nel luglio 1930 è rimasta ben impressa nel ricordo dei molti. Papa ‘Ronzu fa rappresentare "La leggenda del lupo" dalla compagnia "Esposito" che in quell'anno è a Caprarica e la regala alla detta compagnia insieme a "La vita di Sant'Oronzo".

La fine di queste rappresentazioni coincide con lo scoppio della seconda guerra mondiale e l'inizio di una malattia che avrebbe condotto Papa ‘Ronzu alla paralisi degli arti inferiori.

Oltre ai citati drammi egli scrive e fa rappresentare anche delle scenette in varie occasioni. Il 27/05/1924, per esempio, fa rappresentare la scenetta drammatica in occasione della visita pastorale di S. E. l'Arcivescovo di Otranto.

Un altro brillante bozzetto drammatico in occasione della venuta di S. E. il Prefetto di Lecce, Giovanni FORMICA, per l'inaugurazione dell'acquedotto pugliese.

Nel 1930 fa rappresentare dai suoi giovani "Cuor di Balilla" scenetta drammatica in onore di S. E. il Prefetto Giovanni FORMICA; in questa scenetta, già dal titolo, si denota l'omaggio riverente che si porta verso il fascismo che, in quegli anni, domina la scena politica nazionale.»

Alcuni anni prima di morire, don Oronzo VERRI pubblica una raccolta di poesie alle quali dà il titolo di: "Come l'anima mia", introdotte e scelte, dal critico locale Antonio VERRI.

Dott.ssa Sura SIGHLIN

Conosciuta da tutti come "donna Sonia". Dalla Russia arriva a Pavia, dove per due anni frequenta la facoltà di medicina e chirurgia. Si trasferisce all'Università di Napoli e conosce Francesco Greco di Caprarica, studente nella stessa facoltà .

Conseguita la laurea, si sposano il 23/07/1914 e si trasferiscono a Caprarica; nel 1915 nasce il figlio, Dott. Domenico Greco.

Con la prima guerra mondiale e col "richiamo " del marito, "donna Sonia" resta il medico di Caprarica.

Durante l'epidemia di "spagnola", cura amorevolmente tutti, senza alcun compenso e si contagia, ma fortunatamente guarisce. Il marito, colonnello medico in Libia, muore di "spagnola", a 29 anni, nel 1918.

A ricordo del marito, commissiona ad uno scultore di Gallipoli la costruzione del Monumento ai Caduti, completamente ristrutturato nel 1999; la statua che continua ad ornarlo riproduce il volto di una concittadina (Gatto Oronza Maria, 1902-1975).

Allontanata da Caprarica per interessi di un altro medico locale, vince il concorso di Medico Condotto a Cavallino, dove rimane fino alla morte.

Don Luigi VERRI

E' nipote di don Oronzo. Diviene sacerdote dopo aver studiato nel Seminario Vescovile di Molfetta; consegue la laurea in Teologia ed in Lettere, presso la Cattolica di Roma, discutendo in latino una tesi sui dialetti della Grecìa Salentina.

E' particolarmente versato per le lingue straniere, apprende compiutamente lo spagnolo, semplicemente seguendo le lezioni insieme ai suoi alunni di scuola media e giunge a comporre delle sublimi poesie in lingua spagnola.

Alcuni giornaletti locali hanno fotografato tutto l'affetto che la gente di Caprarica ha, ancora oggi, per questo servo di Dio.

Ha sostituito lo zio "Papa Ronzu", nella cura dell'anima della comunità locale ed al suo servizio, dal 1955 al 1958, come Economo Curato; dal 1958 al 1972 egli è il Parroco. Il Cardinale Corrado URSI, compagno di studi di don Luigi, presso il Seminario di Molfetta, nell'intervista riportata da Giovanni DELLE DONNE sul giornaletto locale "25 anni Insieme" (p. 3), così ne descrive la figura e la personalità : "... Ah, il povero don Luigi, grande uomo, grandissimo amico, studioso immenso ... Ah, don Luigi VERRI, grande amico...Troppo presto il Padre Celeste l'ha richiamato a sè ... don Luigi è stato un uomo di cultura immensa. Pochi nella Chiesa potevano vantare la sua preparazione. L'ho conosciuto a Molfetta, in Seminario; io ero più anziano, ma diventammo grandi amici. Dopo il sacerdozio avrebbe dovuto dedicarsi all'insegnamento, questa doveva essere la sua strada. Don Luigi è stato sacerdote per vocazione e parroco per caso... ma la volontà di Dio ci è spesso ignota ... Era un uomo di vasti orizzonti e la parrocchia un mondo troppo piccolo ... a Caprarica ha donato la sua vita. Siategli sempre riconoscenti. Io continuo a ricordarlo sui banchi di scuola, a Molfetta, e dietro la sua scrivania intento a confrontarsi con la sua grande passione, il latino".

Don Luigi Verri

Il Comune di Caprarica, con delibera consiliare n. 33 del 29.09.2000, ha intitolato una nuova strada dell'abitato ai suoi Parroci Oronzo e Luigi VERRI.

Prof. Giuseppe GIANCANE

Frequenta il Liceo Classico ad Urbino e si laurea a Bologna, in lettere classiche.

Insegna a Genova in un istituto religioso e, dopo qualche anno, ottiene la cattedra presso l'Istituto Magistrale "P. Siciliani" di Lecce.

Dopo la guerra, diviene punto di riferimento degli studenti di Caprarica che trovano in lui non solo l'insegnante paziente che li segue nei loro studi, ma anche l'uomo generoso che li aiuta economicamente, nelle iniziative che contano.

La sua casa diviene e luogo di ritrovo, per i giovani studenti del paese.

A lui, particolarmente legato ai problemi dei giovani, viene intitolata una borsa di studio, istituita dalla famiglia che, a partire dall'anno scolastico 1980/81, viene assegnata agli alunni più meritevoli fra coloro che conseguono la Licenzia Media.

L'Amministrazione Comunale ha intitolato al suo nome la Biblioteca comunale con delibera G. M. n° 369 del 29/11/1997.

Prof. Antonio SARACINO

Dopo aver seguito gli studi umanistici, si è laureato in lettere presso l'Università degli Studi di Roma, dove ha vissuto e ha insegnato. E' stato ordinario di Italiano e Storia.

Durante il secondo conflitto mondiale, ha combattuto (decorato) per la libertà ed ha fatto parte anche di un contingente di partigiani.

Ha alternato la sua attività letteraria e di docente a quella di giornalista. Ha pubblicato più di 20 opere.

La sua prima opera è stato un lavoro su Giovan Battista TAFURI, nella storia del Rinascimento; ha al suo attivo più di un migliaio di articoli pubblicati su giornali nazionali. Ha collaborato anche a diverse riviste, a diffusione nazionale.

Non ha rifiutato l'impegno sindacale e risulta tra i fondatori dell'ex SASMI; successivamente, è stato eletto Presidente del collegio dei probiviri dello SNALS (Sindacato Nazionale Autonomo Lavoratori della Scuola) per la regione Lazio e su scala nazionale.

Non ha mai dimenticato la sua terra natìa da cui non si è mai staccato, nè spiritualmente nè materialmente. Nel maggio 1980, per la Capone Editore, ha pubblicato un lavoro storico su "Roca ed il Salento", con il contributo dell'Amministrazione Comunale di Melendugno. Ha pubblicato, anche, "Otranto sentinella della cristianità ".

Ha fondato e diretto riviste ("Rinascita Sindacale" e "Snals notizie"). Ha collaborato, per più di vent'anni, trattando problematiche d'indirizzo scolastico, a "Il Domani" di Palermo.

Prof. Francesco GRECO

E' "il Sindaco" per antonomasia. Si laurea in matematica e fisica a Modena. Insegna a Genova dal 1950 al 1958, quando fa ritorno a Caprarica.

Insegna per lunghi anni all'Istituto Magistrale "P. Siciliani" di Lecce e si dedica all'attività politica, essendo stato tra i fondatori del PRI a Lecce.

Sindaco dal 1964 fino alla sua morte, determina un radicale mutamento dei comportamenti e delle abitudini amministrative, dell'assetto e dell'aspetto del paese.

Sono proverbiali la sua generosità e la sua umiltà , anche nel modo di essere.

A Lui è dedicata una lapide posta sul frontale del Municipio.

Antonio VERRI

Muore prematuramente, per un incidente stradale, quando si avviava a divenire consolidato punto di riferimento della più moderna cultura salentina.

Il "Quotidiano di Lecce", nella sua rubrica "Concittadini" (1995, p. 51), così scrive:

« ... Vittorio FIORE lo definisce "Battistrada storico dell'avanguardia culturale salentina"; è stato romanziere, poeta, pubblicista ed editore; soprattutto, un manager culturale, avendo promosso molti lavori di artisti salentini ed avendo cercato di sprovincializzare la letteratura meridionale contemporanea.

Ha promosso, antesignano della globalizzazione della cultura europea, pubblicazioni e riviste di "estrema provincia" perchè scrivessero, contemporaneamente, artisti e poeti delle più disparate nazionalità (bulgara, tedesca, russa, portoghese, ecc.) per "fare insieme" (come diceva) e per cercare una sintonia spirituale, per corrispondere e scambiare esperienze.

Molte delle sue iniziative ed attività sono state avventure, rischi e sacrifici, anche economici, come succede quando si è fuori dalla cultura tradizionale o accademica.

Ha stampato da sè le sue prime pubblicazioni, su una semiautomatica per manifesti, lavorando giorno e notte; ha compiuto volantinaggio di poesie.

A molti, la sua iniziativa di diffondere, per quindici giorni, in numerose città italiane, un "Quotidiano dei poeti", è sembrata, al tempo stesso, un'impresa folle e stupenda.

Una sua grande originalità è stata, vera rarità bibliografica, l'invenzione di una cartella di cartone, chiusa da uno spago, colma di fogli di artisti (pittori, grafici, musicisti, fotografi, giornalisti, poeti), copie numerate e in parte diverse l'una dall'altra, esplosiva vitalità contenuta a stento da due bulloni ottonati.

Ha sempre rigettato l'idea che la letteratura sia una merce che deve sottostare alle regole della domanda e dell'offerta, alla legge del profitto.

Ha sempre avversato la poesia da passeggio o da paesaggio, cioè quella leziosa e perbenista, buona per i "festival della cultura"; egli è andato sempre alla ricerca delle suggestioni delle parole, del suono, della perdita del loro normale significato e della scoperta di un senso nuovo.

Per tal motivo ha usato la ripetizione, monotona, infinita e incantatrice come la tarantella nostrana; ha inventato parole inesistenti ed indefinite, spesso fondendo il termine colto con quello popolano; tutto ciò al fine di "fabbricare armonia", per tentare un volo metaforico.

Ha fondato e diretto Caffè Greco, Pensionante dè Saraceni e Quotidiano dei Poeti. Ha aderito al Movimento Genetico di Francesco Saverio DODARO, ha collaborato con la rassegna Sudpuglia, diretto On Board.

Ha pubblicato: Il pane sotto la neve (1983), Il fabbricante d'armonia (1985), trasmesso dalla Rai di Bari nel maggio dello stesso anno, La cura dei Tao (1986), La Betissa (1987), da cui Fabio TOLLEDI ha tratto una versione teatrale, I trofei della città di Guisnes (1988), Ballyhoo, Ballyhoo! (1990), E per cuore una grossa vocale (1990), Il naviglio innocente (1990).

Ha realizzato anche "scritture", cioè collages, tecniche miste su legno o tela, brandelli di giornali e pubblicità , dipinti con gusto affine a quello della action painting americana; ed ha creato a Cursi, con un contributo iniziale di circa 3000 volumi, riviste, manoscritti, cataloghi, spartiti ed audiovisivi, il Fondo internazionale contemporaneo Pensionante dè Saraceni, eccentrica ma preziosa biblioteca.

Infine, ha curato le collane letterarie: I quaderni del Pensionante, Spagine, Scrittura infinita (con F. S. DODARO), Abitudini e Cartelle d'autore (con Maurizio NOCERA), Compact type, Nuova narrativa (con F. S. DODARO), Diapositive, Scritture per gli schermi (con F. S. DODARO) e I Mascheroni ...».

L'Amministrazione Comunale, con delibera G. M. n° 14 del 04/02/1999, ha intitolato al suo nome la "sala polifunzionale" annessa all'edificio della scuola elementare.

Caprarica di Lecce vuol dire paese del Sud, sinonimo di Mezzogiorno d'Italia, la vita dei suoi abitanti alla fine dell'ottocento e nei primi cinquant'anni del novecento è quella degli abitanti di tanti altri paesi meridionali. La maggior parte dei suoi abitanti sono contadini, pochi gli artigiani, pochissimi gli studenti e professionisti, un curato, alcuni proprietari terrieri e un barone o un marchese o un duca che dominano il paese.

Anni di sottomissione, di miseria e di fame e, soprattutto di guerre, ben due guerre mondiali interessano questo lasso di tempo. E' vero che i paesi del Sud sono lontani dai campi di battaglia, ma anche qui si sentono le gravi conseguenze della guerra. I paesi si spopolano, restano solo vecchi, donne e bambini, i campi restano incolti per mancanza di manodopera efficiente e, la vita nei paesi ad economia prettamente agricola e pastorale si va come spegnendo. In molti paesi non c'è la scuola e se c'è, è frequentata da pochissimi, perchè le famiglie quasi tutte numerose hanno bisogno di mandare i figli più grandi (sei o sette anni) a lavorare oppure devono badare ai fratelli più piccoli.

L'ignoranza e l'analfabetismo sono l'altra piaga di questi anni infelici. Arretratezza intellettuale e morale caratterizzano, perciò, le popolazioni del Sud e non poche sono le credenze ed i pregiudizi a cui la gente è legata. Si fa spesso ricorso alla magìa, si teme il "malocchio" o "lu ‘nfascinu", ritenuti causa di tante malattie e disavventure, si ha il terrore del diavolo e di esseri strani e malvagi, creati dalla fantasia popolare come "lu laurieddhru" e "l'uru".

Per la cura delle malattie si va dai cosiddetti "curatori", i quali con intrugli magici, con erbe speciali o impacchi tentano di sanare mali ritenuti inguaribili, come "lu male te Santu Tunatu", "lu fuecu te Sant'Antoniu"o sistemano arti rotti o slogati

I comportamenti e il patrimonio di cognizioni delle classi "d'èlite", dei ceti sociali "dominanti" non sono certo uguali ai comportamenti ed al patrimonio di cognizioni del cosiddetto "popolo" e cioè delle classi sociali "dominate", alla diversità sociale, politica, economica, ecc. si accompagna una diversità culturale (di conoscenze e credenze, di usi e costumi, di osservanze e di gusti).

A giusta ragione, Ernesto De Martino chiama la Puglia e in particolare il Salento, "La terra del rimorso", cioè la terra del cattivo passato, dove la gente è stata succube e in alcuni casi lo è ancora, d'antiche credenze e tradizioni.

Pluriclasse - 1921 - Maestri: Donna Bianca e Don Nicola Greco

2. Le Credenze Popolari

Nascita e Morte

Particolarmente significative sono le credenze relative alla nascita e alla morte, due momenti della vita, pieni di eventi inspiegabili e misteriosi, dove si può far spaziare immaginazione e fantasia.

Molte congetture si fanno sul sesso del nascituro, secondo la forma della pancia della gestante, se appuntita prevede la nascita di una bambina, se è più arrotondata quella di un bambino. Un proverbio locale conferma questa credenza:

"Panza pizzuta, pripara la scupa,

panza cazzata, pripara la spata."

La donna incinta che trova un ago, "sicuramente", partorirà una femmina, quella che cade avrà un maschio.

Nel periodo di gestazione, la donna deve avere un'alimentazione più abbondante perchè si pensava che dovesse mangiare per due.

Secondo la convinzione popolare, ogni desiderio della gestante deve essere esaudito per paura delle "ule", delle macchie di colorito rosso vinoso che possono verificarsi sul corpo del nascituro, le più note sono le "ule" di caffè e di fragola. Oggi, il dermatologo le chiama angiomi cutanei. Un altro proverbio popolare conferma questa credenza:

"Fimmina mmaritata, nu puei stare scuscitata".

[Traduzione: Con una donna sposata non si può stare tranquilli, potrebbe essere incinta, perciò deve assaggiare tutto per evitare che compaiano "le ule"].

Il neonato deve essere avvolto nei panni e poi "nfassatu", cioè il corpo deve essere coperto da fasce lunghe tre metri, per poter crescere con le gambe diritte. I bambini vengono fasciati sino ai sette o otto mesi d'età .

Naturalmente non devono mancare medagline e amuletti da attaccare alle camicine o alle fasce contro gli incantesimi.

Per favorire la produzione del latte, la puerpera deve seguire una dieta particolare a base di carne d'agnello, di vitello, patate, verdure e soprattutto carciofi e finocchi.

Nel caso si dovesse ricorrere alla nutrice, il latte di una puerpera bruna è considerato migliore di quello di una bionda.

Numerose sono, anche, le credenze che riguardano la morte. Il canto della civetta è considerato presagio di morte, il guaire lamentoso del cane è l'annuncio di morte per il padrone o per qualche familiare.

Nella bara, prima di deporvi il defunto, si mettono diversi capi di abbigliamento e tutto ciò che può essere utile durante il lungo viaggio nell'aldilà : cappotto, cappello, bastone, scarpe. Secondo l'uso dei popoli antichi, si credeva che tali oggetti sarebbero stati necessari nell'altra vita.

Non si possono seppellire oggetti d'oro o pietre preziose, segno d'attaccamento ai beni terreni e, dunque, impediscono l'entrata in Paradiso.

Il corpo del defunto si colloca al centro della stanza, con i piedi protesi verso l'uscita, per permettere all'anima d'uscire dal corpo, la porta è lasciata socchiusa per tutto il periodo della veglia e, a mezzanotte, si spalanca perchè è considerato il momento del trapasso.

Si crede che, dopo la sepoltura, le anime possano ritornare. Capita spesso che persone più bisognose si recano dai familiari del defunto per comunicare che hanno parlato in sogno con l'anima di un loro parente e che ha dato loro dei messaggi da riferire. Ricevono in compenso olio, formaggio, zucchero o abiti del defunto, perchè i familiari credono che il loro defunto ha bisogno di qualcosa e, perciò, ha voluto mandare a dire che lo stanno dimenticando.

Quando un congiunto piange e ripete spesso il nome della persona cara scomparsa, si crede che l'anima del defunto non riposi in pace e che vaghi in continuazione senza meta.

Il cimitero è fuori paese e come ovunque, si seppellisce per terra, la gente che, d'estate si reca nei paesi vicini, è costretta a passare davanti al cimitero e a volte, vede delle fiammelle sulle tombe e crede siano gli spiriti. I malcapitati non riuscendo a darsi altra spiegazione, paralizzati dalla paura, quando arrivano in paese raccontano la loro avventura e immediatamente si diffonde la voce che al cimitero ci sono gli spiriti. Le fiammelle, i cosiddetti fuochi fatui, hanno origine dalla spontanea accensione dei prodotti gassosi della decomposizione dei cadaveri.

Il progresso e lo sviluppo scientifico hanno cancellato tante di queste convinzioni ma molte costituiscono ancora la base della nostra civiltà popolare, in lenta estinzione.

Lu Luariedhu

Tra le credenze popolari più radicate in Caprarica, nei tempi andati, vi è quella de "lu lauriedhu" o "l'uru". E' una specie di spirito maligno, dispettoso e burlone che arreca danni continui alla casa dove si crede abiti. Si nasconde sugli armadi, dietro i mobili, nei canestri, sotto i sacchi del grano o dei legumi. Molti dicono di averlo visto, ma ognuno gli attribuisce forme strane e diverse, l'unica cosa comune è che sia piccolo come uno gnomo. Spesso colloquia con i padroni di casa, sicuro frutto d'immaginazione e di paura. Si narra che un giorno una donna disperata per le continue calamità che si abbattevano sulla sua casa, tutte attribuite "all'uru", decide di traslocare, una vicina le chiede il perchè e lei:

Cummare, sta cangiu casa pe l'uru

ma da un canestro dove la donna trasporta la biancheria nella nuova casa "l'uru" risponde:

Eccume, quai stau, sta bbegnu cu tie

quasi a conferma che non ci si può liberare delle proprie paure e soprattutto delle proprie credenze.

Si dice che "lu Lauriedhu" mangia il cibo degli animali domestici, facendoli dimagrire e a volte anche morire, se il padrone non riescie a scacciarlo prima. Ma un'anziana signora ha riferito: "A casa mia è successo qualcosa di simile, dicevano che l'uru divorava il cibo del cavallo e dell'asino che tenevamo nella stalla, infatti, questi dimagrivano a vista d'occhio, ma mio padre si è accorto che la stalla era infestata dai topi ed erano loro che divoravano tutto".

Il divertimento preferito del "lu Lauriedhu" è quello di recarsi nelle stalle durante la notte e di fare le trecce alle code dei cavalli. All'alba, il padrone trova, effettivamente, le code dei cavalli intrecciate e si dispera. Una persona che non crede all'immaginario spiritello ha spiegato che i cavalli, nel chiuso delle stalle, si agitano e scuotono di continuo le code che tornando al loro posto man mano s'intrecciano.

Oggi nessuno parla più del "l'uru", ma nel gergo degli anziani è rimasta la frase "...dici ca è statu l'uru?", quando non si trova il responsabile di un fatto accaduto nel chiuso di una casa.

Lu ‘Nfascinu

"Lu ‘nfascinu" è considerata una forza malefica che colpisce, soprattutto, i bambini in tenera età , quando la madre vede il proprio figlio florido e bello, la sua prima preoccupazione è che lo possano "nfascinare". Allora mette, all'interno delle fasce del bimbo, degli amuleti, delle medagline o dei nastrini benedetti per scongiurare le malie delle streghe. Spesso, quando si portano a spasso i piccoli li coprono completamente affinchè non siano colpiti dal malocchio; a Caprarica si è soliti dire "Quidha porta propriu l'ecchi te nfascinu", per indicare la persona capace di provocare il malocchio. I sintomi del "lu nfascinu" si presentano, di solito, sotto forma di vomiti, pallore, capo reclino, indebolimento degli arti, sintomi molto ricorrenti nei malesseri della prima infanzia, quando i bambini non sono ancora in grado di dare una spiegazione dei loro mali.

Ma "lu nfascinu" colpisce anche gli adulti e gli animali che deperiscono senza alcun motivo evidente. In quel periodo ricorrere al medico è oneroso e le medicine non sono alla portata di tutti, perciò si fa ricorso alle esperte di magia, le cosiddette "masciare" le quali tolgono "lu nfascinu", senza alcun compenso. Sono generalmente donne coloro che tolgono lu nfascinu.

Il rito per toglierlo è molto lungo e la formula magica è segreta, trasmessa da madre in figlia, solo a tarda età e nel giorno del venerdì santo. Nella formula pronunciata dalla masciara sono frequenti nomi di santi, come San Rocco, San Cosimo, San Damiano, ritenuti Santi taumaturghi, il nome di Cristo e del Creatore. Superstizione e religione si uniscono così in un rito popolare.

La persona che è "nfascinata" viene portata da queste donne, ma spesso sono loro a recarsi nella casa di chi ha subito "lu nfascinu", se si tratta di animali il rito si svolge nelle stalle.

All'inizio del rito, la masciara fa il segno della croce, mette un piattino vuoto sulla testa della persona "nfascinata", rifa il segno della croce e comincia a recitare la formula segreta, versa dell'acqua nel piattino, immerge l'ago della pasta, "l'acaturu" in una bottiglia d'olio, fa cadere tre gocce nel piattino con l'acqua, se l'olio si spande non c'è lu nfascinu, se l'olio scompare subito è ‘nfascinu recente, se l'olio scompare piano piano lasciando quasi un alone, è un fatto vecchio.

Nuovamente la donna fa il segno della croce e sparge il contenuto del piattino ai quattro punti cardinali. Si ripete il rito per tre volte, durante la stessa giornata, l'ultima volta nel piattino si aggiunge del sale, lo si lascia sciogliere e poi si butta il contenuto nella pianta più rigogliosa del giardino, mentre la donna pronuncia queste parole: "Ieu te tau li mei dolori, tie me tai li toi ardori!". Il rito è concluso, ma si deve ripetere più volte a distanza di qualche giorno, prima che la persona colpita dal malocchio possa essere completamente liberata.

Per difendersi dal malocchio si appende vicino alla porta d'ingresso la falce o una piccola scopa, si dice che costringa le streghe a contarne i denti, operazione impossibile, così sono costrette ad andarsene senza arrecare alcun male agli abitanti della casa.

Ancora oggi si vedono appesi nell'ingresso di una casa un ferro di cavallo, un cornetto o le forbici aperte, tutti amuleti contro il malocchio e si considerano segni premonitori di sventura il gatto nero che attraversa la strada, lo specchio che si frantuma, un recipiente d'olio che si rompe o si versa per terra, tutti strascichi di un recente passato di credenze e pregiudizi, dove sacro e profano spesso si confondono.

3. Tradizioni scomparse

Ogni paese ha i suoi usi, i suoi costumi e le sue tradizioni, alcune perdurano nonostante il passare del tempo, altre sono completamente scomparse, ne resta memoria solo nel vago ricordo di pochi anziani.

1. La serenata

Chi porta più la "serenata" all'innamorata? A Caprarica si facevano anche le serenate a pagamento, mesciu Minicuccio Corina suonava il mandolino e mesciu Carmelo Maggiore suonava la chitarra. La serenata è composta da musiche melodiose, da canti d'amore, da discorsi introduttivi, spesso rimati come questo:

"Ieu su bbinutu, ca ‘nci su mmandatu,

te unu ca te ole mutu bbene,

cu le scinucche ‘nterra ma priatu,

cu bbegnu te le cantu le sue pene.

Ca se lu iti comu a dintatu,

tie tici comu l'aria lu mantene!

Poi salutu tuttu lu ‘mparintatu

puru la icinanza ca ae stu locu,

ca poi salutu tie milu ‘ngranatu,

speru ca te ‘nde portu e cangi locu."

[Traduzione: Sono venuto, perchè sono stato mandato da uno che ti vuole molto bene, in ginocchio mi ha pregato di venire a cantarti le sue pene; se lo vedessi come è diventato, diresti come fa a vivere. Poi saluto tutti i parenti e i vicini e, saluto soprattutto te, bella come una melagrana, spero di portarti via e di farti cambiare luogo.]

Non sempre il messaggero d'amore è ben accettato, può capitare anche di ricevere sulla testa qualche oggetto contundente o un secchio pieno d'acqua o d'altro.

2. La fusciuta

Quando i genitori non sono d'accordo con le scelte d'amore fatte dai figli, oppure le famiglie sono così povere da non potersi permettere una dote o una casa, i giovani fuggono.

Fatti i preparativi per la fuga, comunicano la loro decisione ad un parente o ad un amico fidato, il quale dopo la loro partenza deve darne notizia ai genitori e testimoniare che la fuga è consenziente.

Dopo qualche giorno i fuggitivi tornano a casa, chiedono perdono e trovano sistemazione nella casa dei genitori del ragazzo e si deve celebrare in gran fretta il matrimonio perchè la ragazza è ormai disonorata.

La sposa non può indossare l'abito bianco e il velo, il matrimonio religioso deve essere celebrato di prima mattina, alla presenza dei soli testimoni, naturalmente non ci sono festeggiamenti.

La fuga d'amore esiste ancora oggi, ma non ci sono differenze nelle celebrazioni dei riti nuziali.

3. La Promessa di matrimonio in casa

Le persone nobili o altolocate non vanno in municipio per fare la promessa di matrimonio, il sindaco o l'impiegato comunale delegato si reca in casa della sposa per celebrare il rito.

Dagli atti d'ufficio risulta, come banale giustificazione, che la sposa ha accusato un malore all'ultimo momento che le ha impedito di recarsi in municipio.

4. La Mostra del corredo

Una settimana prima del matrimonio si fa "la mostra te le rrobbe", la madre della sposa invita vicini, parenti ed amici per far vedere il corredo che ha cominciato a preparare per la figlia sin dalla sua nascita. In una stanza si mette in bella mostra tutto il corredo, quando non ci sono tavoli o mobili a sufficienza, si poggiano degli assi su due sedie e si creano dei piani d'appoggio.

"Sta ni tau pannina 10!" significa che il corredo consta di 10 coperte, di 10 lenzuola di sotto, 10 lenzuola di sopra, 10 tovaglie, 10 asciugamani ecc. I capi più belli si mettono più in mostra, si appendono alle pareti con dei fili sospesi oppure per far risaltare il lavoro di ricamo si mette sotto della carta velina colorata.  Per tutta la serata è un via vai di gente che curiosa, apprezza e spesso critica, poi il corredo viene trasferito nella casa dei futuri sposi.  Fare un corredo richiede anni e anni di lavoro e di sacrifici, il corredo è fatto tutto a mano, i telai sono sempre montati in casa e si tesse in continuazione, chi non possiede il telaio chiede alla vicina o a qualche parente di poter usare il suo. Si tessono capi di lino, di cotone o di lana, le lenzuola sono sempre bianche e tessute con un normale intreccio di fili, ma asciugamani, tovaglie e coperte possono essere anche colorati e "a pintu", una speciale lavorazione che produce un tessuto a piccoli quadrati o triangoli, particolarmente pregiato. Oltre alle opere d'arte che si possono fare con il telaio, le lavorazioni più apprezzate sono l'intaglio, il filet, il tombolo, il rinascimento e il ricamo in genere, frutto del certosino lavoro delle donne, anche giovanissime, che la sera al lume di candela ricamano il corredo sognando il giorno del matrimonio, come momento culminante della loro vita.

... ricami ...

5. Il Corteo nuziale

Non si vede più sfilare per le vie del paese un corteo nuziale a piedi, tradizione protrattasi sino agli anni 60.

La sposa apre il corteo al braccio del padre, in sua assenza è accompagnata dal fratello maggiore o da una persona importante del paese, segue lo sposo con la futura suocera o cognata, dietro i compari d'anello e poi tutti gli invitati. Fanno ala al corteo nuziale tutti i bambini del paese, scalzi e mezzi nudi per cercare di afferrare i confetti che vengono lanciati da alcuni parenti degli sposi in segno di buon augurio. Se la famiglia è benestante si lanciano oltre ai confetti, delle monetine.

Di ritorno dalla chiesa il corteo si avvia, verso la casa degli sposi, lungo le strade che percorre si avvicinano donne con vassoi pieni di petali di fiori e di chicchi di grano, simboli di prosperità e di felicità e li lanciano agli sposi. Sulla porta d'ingresso della nuova abitazione, due fanciulle sbarrano il passo con un nastro che gli sposi tagliano come simbolico inizio di una nuova vita.

Corteo nuziale

6. Gli Abiti votivi

Per ringraziare un Santo per una grazia ricevuta, per un pericolo scampato, per una guarigione miracolosa, è usanza di Caprarica vestire i bambini con l'abito del Santo, in particolare di Sant'Antonio.

L'abito votivo consiste in un saio marrone, un cordone bianco in vita e i sandali, alcune volte anche i capelli vengono tagliati alla monacale. Secondo l'entità della grazia ricevuta si stabilisce la durata del periodo durante il quale il bambino è costretto ad indossare tale abito. Sono trascorsi almeno 25 anni dall'ultima volta che tale usanza è stata rispettata in paese.

7. La Quaremma

Il Martedì Grasso, ultimo giorno di Carnevale, si usa preparare una pupa di paglia e stracci: la Quaremma.

E' tutta vestita di nero, con la conocchia e il fuso appesi al fianco, in mano ha una melarancia nella quale si conficcano sette penne prese dalla coda di un gallo. La Quaremma, col capo coperto, è posta sulla terrazza o sugli archi delle corti, dal giorno delle Ceneri fino alla Pasqua.

La pupa sta ad indicare che comincia la Quaresima, tempo di digiuno e di penitenza secondo la religione cattolica, le sette penne sono il simbolo delle sette settimane di Quaresima e si butta via una penna ogni fine settimana. In questo periodo non si celebrano matrimoni, non si organizzano banchetti e feste e ci si astiene dalle carni e dagli altri alimenti ritenuti di lusso.

Fino alla fine degli anni 50 questa tradizione ha continuato ad essere tenuta in vita, in seguito è stato solo un gioco tra ragazzi.

8. Il giorno dei morti: "Me faci li muerti"

Il 2 novembre, dopo la consueta visita al cimitero, per i bambini di Caprarica inizia il divertimento.

Tutti in frotta, con in mano un panierino, i bambini si recano da una casa all'altra chiedendo: "Me faci li muerti!".

Ricevono in dono noci, fichi secchi, cotogne, qualche melagrana, dolci e qualche monetina. Le famiglie che sono state toccate da qualche lutto recente preparano, appositamente, dei dolci da dare ai bambini, in suffragio del loro defunto.

Per un certo periodo, il giorno dei morti, a mezzogiorno "Papa ‘Ronzu" riuniva nel cimitero tutti i poveri del paese e faceva portare loro da mangiare dalle famiglie più abbienti. Questa usanza è, ormai, quasi completamente dimenticata.

di Maria Fedela VANTAGGIATO

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